Le figure professionali più richieste: spazio ai Comunicatori

Per i giovani si avvicina il momento di scegliere il percorso formativo universitario per prepararsi al meglio ad entrare nel mondo del lavoro, così diventa veramente un ottimo spunto di riflessione lo studio appena pubblicato da Tutored che ha lanciato la prima edizione dell’Osservatorio Nazionale sul recruitment online che riguarda i giovani laureati italiani, facendo emergere la grande richiesta dei cosidetti Comunicatori.

Le figure professionali più richieste: spazio ai Comunicatori – Sistema Generale

Tutored è una startup che si propone come nuovo punto d’incontro digitale per studenti universitari e neolaureati con oltre cento aziende e multinazionali dando l’ulteriore possibilità di consultare approfondimenti specifici per orientare il proprio percorso professionale, di prendere parte a webinar formativi e incontri virtuali direttamente con i recruiter delle aziende partner organizzati dalla stessa piattaforma, creando una attività di recruiting basata su avanzati strumenti di analisi dei candidati ritenuti target.

La prima edizione dell’Osservatorio Nazionale sul recruitment online di Tutored pubblica  il quadro delle figure professionali più richieste

 

L’Osservatorio Nazionale sul recruitment online ha considerato i dati raccolti nell’intero anno 2020, degli oltre 500.000 studenti iscritti alla piattaforma e delle interazioni che hanno generato più di 87.000 candidature, facendo emergere le figure professionali più ricercate dalle aziende.

Al giorno d’oggi, anche per il mutamento generale del mondo del lavoro, il settore aziendale e le attenzioni dei recruiter sono orientate all'”Informatica, Tecnologia e Ricerca & Sviluppo”, alle aree del “Commerciale, Vendite, e Pubbliche Relazioni”, della “Comunicazione e Marketing” e della “Consulenza”, ciascuna con peso pari al 10%.

Restano alte le percentuali di annunci relativi alla materie Stem, per arruolare ingegneri per un 38.9%, economisti nella misura del 31.2%, matematici, fisici e statistici per il 10.2%, facendo “scivolare” i laureati in studi umanistici, scienze politiche, contabilità finanza e banking, risorse umane, architettura e design e giurisprudenza in fondo alla classifica delle percentuali che non arrivano all’8%.

Accanto al percorso strettamente formativo, sono fondamentali le soft skills, prima tra tutte quelle legate alle capacità relazionali e di comunicazione, di problem solving, di team working e di organizzazzione, nonché l’immancabile, ormai, conoscenza delle lingue straniere, prima tra tutte l’inglese che viene richiesta ad un livello abbastanza alto in almeno il 54% degli annunci pubblicati.

Francesca Tesoro

Inner Workings: corazón o cerebro?

Paul es un hombre soltero de mediana edad que trabaja en “Boring, Boring & Glum”, hace un tedioso trabajo de entrada de datos y tiene su cerebro constantemente en desacuerdo con su corazón sobre lo que se debe hacer. El primero manda a todo el cuerpo de forma racional y constantemente lo asusta para que no haga nada emocionante y arriesgado, pidiéndole los deseos que su corazón requiere todos los días, el segundo intenta en todos los sentidos encaminarlo hacia lo que es más fascinante y lo que realmente desea. , luego cediendo al control del cerebro.

“Inner Workings”, un cortometraje de 2016, producido por Walt Disney Animation Studios y dirigido por Leo Matsuda, es una historia sobre las luchas diarias entre nuestro cerebro extremadamente racional y responsable y nuestro corazón puramente espontáneo. El protagonista del cortometraje, en realidad, no es Paul sino sus órganos que influyen en su acción en el cortometraje, la atmósfera, el estilo y sobre todo los colores y formas. Visto más de cerca, en el mundo donde el cerebro se siente a gusto, representado por la oficina, todo es cuadrado, rígido y organizado, casi monocromático y con rasgos extremadamente tristes. Al contrario, el mundo del corazón es sinuoso, ruidoso, colorido, divertido y cautivador.
Pero el corazón y el cerebro, como es normal, deben trabajar juntos para ayudar a Paul a encontrar la felicidad y sólo lo conseguirán al final, después de varios intentos, algunos de mandar espasmódicamente, otros de arriesgarse con la misma frenética.


Este cortometraje puede considerarse una exploración psicológica de cómo nuestros miedos y nuestra lógica a menudo entran en conflicto y, en ocasiones, tienen la capacidad de impedirnos lo que necesitamos. En los pocos minutos que se desplaza por la pantalla es absolutamente brillante, rápido y contundente, haciendo preguntas y abordando la brecha del “corazón o el cerebro” de una manera absolutamente realista y perfecta.
En sus cortometrajes, Disney tiene la capacidad de abrir puertas a temas intrínsecos e importantes, adoptando siempre un estilo amable y divertido, haciendo que la gente reflexione, sin perder el espíritu de alegría que se ha transmitido de generación en generación.

Deben considerarse una herramienta de la que aprender algo nuevo y, en este caso, el mensaje más importante es que nuestro cerebro, por sí solo, no puede gobernar el corazón y viceversa.
Ambos deben convivir y hacer que nos comportemos con naturalidad. Cada parte, de nosotros o de nuestro cuerpo, juega un papel fundamental y cada una de ellas no puede vivir materialmente sin el aporte del otro. No solo desde el punto de vista anatómico -que es más que evidente- sino también y sobre todo desde el punto de vista emocional y psicológico.

De hecho, por mucho que se nos eduque desde la niñez para hacer las cosas correctas de la manera correcta y en el momento adecuado, siguiendo la cabeza más que el corazón, es absolutamente importante reconectarnos y recordar a quienes nos rodean la importancia de escuchar incluso la parte más instintiva y oculta de nosotros que, con demasiada frecuencia, dejamos de lado convencidos de que no nos lleva a ninguna parte.
En cambio, en el cortometraje como en la realidad, cuando escuchamos nuestro corazón, terminamos encontrando realmente lo que nos falta, aunque también sea una cosa racionalmente insignificante que sin embargo se convierte en esa carga y la alegría de seguir avanzando.
Por último, un aplauso especial en la historia de “Inner Workings”, ¡la vejiga se merece! Pero ciertamente no te diré por qué, dejándote con otra inspiración para ver este cortometraje.

Después de todo, solo dura seis minutos, lo suficiente y eso podría hacer que dejes todo y salgas corriendo y, de verdad, ¡lo que podría hacerte sentir genial ahora mismo!

Articolo di Francesca Tesoro

Traduzione di Sara Trincali

“La Fisica dell’Anima” di Fabio Marchesi

Avete mai pensato di poter leggere un libro per conoscere e comprendere  la vostra natura umana, interrogandola, trovando anche gli strumenti per fare della vostra mente il vero motore?
In realtà, se avessero fatto a me questa domanda, avrei risposto di no e che era impossibile.
Invece, leggendo “La Fisica dell’Anima” di Fabio Marchesi edito dalla casa editrice Tecniche Nuove, ci si trova tra le mani un indispensabile strumento applicabile contemporaneamente alla propria crescita personale e a quella professionale.

Fabio Marchesi è uno scienziato, ricercatore indipendente membro della New York Academy of Sciences, appassionato e conoscitore di fisica quantistica e filosofia ermetica che, da informatico ed ingegnere, ha sempre cercato il modo di integrare la scienza con la spiritualità. Ha svolto ricerche puntando ad una scienza che coinvolgesse anche gli aspetti spirituali della realtà, con il solo scopo di trovare la massima felicità individuale e collettiva. Divenuto talmente famoso per questa sua ardita ricerca, è stato considerato visionario da molti, ma chiamato alle Nazioni Unite per esporre le sue teorie.

L’autore, enuclea e spiega nel suo testo come applicare quegli stessi principi della fisica quantistica alla vita quotidiana, creando, come è stato definito da molti, un trampolino verso il proprio personale infinito, da scoprire e da attraversare, per migliorare sé stessi in primis e poi coloro i quali ci circondano, con il solo scopo di fornirci un metodo per acquisire consapevolezza di sè e del mondo circostante.
Leggendo i concetti scientifici spiegati con semplicità ma di immediata comprensione, scritti con estrema bravura e luciditá, capiamo come sia necessario integrare noi stessi con ciò che ci circonda, predisponendo la nostra mente al salto evolutivo che ognuno di noi dovrebbe poter fare per non soccombere.

Questo libro è “un’opera coraggiosa e illuminante, che offre una nuova prospettiva da cui interpretare la realtà, grazie alla quale ogni esperienza umana, felice o impegnativa, trova nuove lucide e sorprendenti spiegazioni oltre ogni fatalismo”.
Non parliamo di un manuale new age o di un qualcosa estremamente lontano da noi, ma di un nuovo modo di interpretare e concepire la realtà con vantaggi, individuali e collettivi, applicabili nella nostra vita quotidiana e nel nostro sviluppo professionale e che Fabio Marchesi riesce a spiegare partendo dalle “sensazionali scoperte in campo quantistico avvenute nel secolo scorso che hanno permesso un impressionante progresso tecnologico”. Se infatti ognuno di noi, nelle realtà in cui è abituato a vivere e operare, riuscisse ad espandersi oltre lo “scontato”, potrebbe finalmente convincersi e riuscire a comprendere seriamente come le ambizioni, gli intenti e i desideri possono realizzarsi, veramente.

Del resto, non è con la sola razionalità, ma con stupore e meraviglia che si può giungere all’essenza delle cose e scoprire quanto sia più facile creare la nostra felicità.
Trovo estremamente vero il concetto che noi, in quanto esseri umani, siamo stati tutti educati all’obbedienza e alla paura, figli di una consapevolezza – non nostra naturalmente ma che ci è stata inculcata – che siamo incapaci di fare da soli qualsiasi cosa ma, allo stesso tempo, di essere tutti separati da tutti e gli uni in competizione con gli altri. Insomma, siamo entrati a far parte di un sistema che è di per sé strutturato per creare conflitti e infelicità.
Se invece, cominciassimo a cambiare il nostro modo di pensare e di pensarci, riusciremo a comprendere come, essendo tasselli di un tutto più grande e – per ora – ancora invisibile ai nostri occhi, riusciremo a sentirci maggiormente integrati e facenti parte di una realtà sistemica dove ognuno, con il proprio piccolo apporto, potrebbe fare grandi cose per tutti.

Credo che la parola migliore per definire non solo questo libro, ma il percorso che ci spinge a intraprendere è CORAGGIO.

Coraggio di iniziare a leggere un libro del genere, coraggio per aprire la propria mente, coraggio per comprendere quello che siamo e quello che dovremmo cominciare a fare per migliorare noi stessi e il mondo che ci circonda, coraggio per partire verso la nostra migliore versione di sé stessi.
Perchè “indipendentemente dal successo che una persona sembra o no avere, ciò che differenzia maggiormente le persone felici da quelle infelici risiede nella loro consapevolezza e coraggio. Per portare la propria consapevolezza oltre ciò che gli altri ritengono normale, possibile e impossibile, facile e difficile, giusto e sbagliato, bene e male, serve coraggio. Serve coraggio per seguire le proprie intuizioni, soprattutto quando per farlo bisogna disobbedire alle aspettative di altri. E ci vuole coraggio per scegliere quello che si vuole e per difenderlo e realizzarlo anche quando è diverso da quello che vogliono gli altri.”

Francesca Tesoro

“Inteligencia emocional” de Daniel Goleman: un nuevo lenguaje de emociones

Por Daniel Goleman, periodista estadounidense nacido en 1946, psicólogo especializado en el desarrollo de la personalidad -tema de la que también fue profesor en Harvard-, escritor de temas altisonantes como la neurología y las ciencias del comportamiento para el New York Times y con todo un serie dedicada a la inteligencia emocional y social, la creatividad y el liderazgo, la empatía y la emocionalidad, las fuerzas que componen y constituyen las cosas y las personas sin caer jamás en lo trascendental incomprensible, ya habíamos revisado alguna vez “Liderazgo Emocional” hace.

Hoy sumamos una nueva pieza hablándote de otro libro suyo, que se ha convertido en un best seller y una herramienta de formación transversal tanto por áreas geográficas como por categorías profesionales.
“Emotional Intelligence” publicado por Best Bur es un volumen escrito en 1995 y publicado en América el mismo año que, después de haber traspasado las fronteras nacionales y en un año de haber sido publicado prácticamente en todas partes, sigue siendo profundamente relevante.

Escrito cuando la sociedad civil estadounidense vivía una devastadora crisis social, con un aumento en la frecuencia de delitos violentos, suicidios y uso indebido de drogas que involucraban transversalmente a jóvenes y adultos, este escritor ha puesto sobre papel lo que hoy, a pesar de ser después de tantos años, se puede definir como un excelente manual para curar (también) esos males sociales, prestando mayor atención a la competencia social y emocional de las personas.

Su enorme éxito fue dictado por la capacidad de este escritor para enuclear principios muy simples y viables relacionados con la alfabetización emocional y que se ofrecieron estratégicamente al mundo escolar estadounidense para interrumpir la deriva social que estaba teniendo lugar al creer, por así decirlo, que al enseñar estos “principios sólidos” a los estudiantes, la sociedad adulta también beneficiaría a la sociedad adulta de manera indirecta al principio y directamente cuando esos mismos estudiantes se convirtieran en los nuevos adultos de la sociedad.

Por arriesgada que pueda parecer esta elección, en la realidad de los hechos, el programa de alfabetización emocional dio de inmediato resultados tangibles y duraderos en el mundo estudiantil, logrando elevar la calidad y capacidad de los estudiantes para lidiar con disturbios, escuchar o concentrarse. para frenar impulsos, para sentirse responsable de su trabajo o para cuidar el aprendizaje.

Convertido en un pilar fundamental, no solo en el exterior, del mundo de la docencia, hasta el punto de que actualmente es una de las materias de examen en los cursos de formación de profesores, rápidamente quedó claro que la Inteligencia Emocional también podría cambiar los sectores empresariales para mejor y mejor. gerencial.

Bueno, pero si te pidiera que definieras la inteligencia emocional, ¿sabrías cómo hacerlo?
Como lo definió el propio autor, “Inteligencia Emocional” es aquella “forma particular de inteligencia que permitió a nuestros antepasados ​​lejanos sobrevivir en un entorno hostil y elaborar las estrategias que son la base de la evolución humana, y que pueden ayúdanos a todos a afrontar un mundo cada vez más complejo, violento y difícil de descifrar. La inteligencia emocional te permite gobernar las emociones y guiarlas en las direcciones más ventajosas; es la capacidad de comprender los sentimientos de otras personas más allá de las palabras; impulsa la búsqueda de beneficios duraderos más que la satisfacción de los apetitos más inmediatos “.

Básicamente estamos hablando de un nuevo lenguaje de emociones que se puede aprender y perfeccionar aprendiendo a cultivar y reconocer las propias emociones y las de los demás. Es algo que, en realidad, debe enseñarse a los niños desde una edad temprana porque la inteligencia emocional simplemente se remonta al concepto elemental del “uso correcto de las emociones” que son también un factor determinante para la consecución de éxitos personales y Habilidades profesionales de cada persona. La capacidad, de hecho, de saber utilizar correctamente las propias emociones, saber identificarlas, comprenderlas y gestionarlas, es sin duda la herramienta fundamental para afrontar la vida, tanto personal como profesional, de una forma mucho mejor.

¿Alguna vez te has preguntado cómo nuestras emociones pueden influir en nuestros caminos, nuestras reacciones, hasta el punto de obstaculizar por completo nuestra capacidad de actuar o decidir con claridad? Por difícil que sea aceptar tal cosa, realmente lo es.

Las personas emocionalmente inteligentes son aquellas que practican el autocontrol, el entusiasmo, la perseverancia y la automotivación en la vida cotidiana, creando un sistema de autoconciencia de sus emociones y su forma de pensar.
La autoconciencia la define el propio Goleman como la “capacidad de motivarse, persistir en la consecución de un objetivo a pesar de las frustraciones, controlar los impulsos y posponer la gratificación, modular los estados de ánimo, evitando que el sufrimiento nos impida pensar, ser empático y esperar ”.

Realmente, ¿restablecer estos aspectos en tu vida significa mejorarla drásticamente? Definitivamente si. Para todos los aspectos de los que hemos hablado, hay implicaciones extremadamente positivas que intentamos resumir en este esquema muy rápido.

A la AUTOCONCIENCIA EMOCIONAL corresponde la mejor capacidad para reconocer y nombrar nuestras emociones, comprender las causas de los sentimientos, reconocer la diferencia entre sentimientos y acciones.

Del CONTROL DE LAS EMOCIONES desciende el aguante de la frustración, el control de la ira, la capacidad de expresarlas, lidiar con el estrés, rebajando la sensación de soledad y ansiedad en las relaciones sociales.

ABORDAR LAS EMOCIONES EN UN SENTIDO PRODUCTIVO significa condensar un mayor sentido de responsabilidad, la capacidad de concentrarse en la tarea que tienes delante y de prestar atención, tener menos impulsividad y mayor autocontrol, mejorando los resultados de tus pruebas.

Todo esto se condensa en GESTIÓN DE RELACIONES, logrando tener capacidad para analizar y comprender las relaciones, resolver conflictos y negociar contrastes, adquiriendo mayor autoconfianza y dotes de comunicación, alcanzando un mayor nivel de simpatía y sociabilidad, rebajando el individualismo y aumentando la colaboración en grupos, a través del espíritu de compartir, la colaboración y la voluntad de ser útil a los demás, lo que lleva a una mayor democracia en el trato con los demás.

En resumen, una vez que haya leído este libro, ¡estará técnicamente listo para comenzar este entrenamiento y tomar el camino correcto hacia nuestra felicidad! ¡¡Y sin duda, hacia un nuevo tipo de éxito!!

Articolo di Francesca Tesoro

Traduzione di Sara Trincali

Il Diritto di Contare: per andare oltre ogni limite imposto dagli altri

 

America, anni sessanta. È il tempo in cui gli americani rincorrono i russi per la conquista dello spazio. Ma è anche il tempo in cui persiste e prosegue la segregazione raziale e la contrapposizione, a qualsiasi livello, dei bianchi e dei neri, uomini e donne.
Al centro Nasa, dove vige il maschilismo più assoluto e la distinzione raziale è più che marcata, tre amiche afroamericane Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson lavorano come calcolatrici, considerate non abbastanza brave e competenti (soprattutto perchè nere) per aspirare a mansioni superiori. Così, grazie alla loro perseveranza e capacità di far valere le loro capacità, riusciranno a raggiungere inimagginabili traguardi. Katherine, straordinaria esperta di geometria analitica verrà trasferita nello Space Task Group e parteciperà in modo risolutivo al calcolo delle traiettorie di quello che sarà il volo di John Glenn, il primo uomo americano in orbita intorno alla terra e poi delle successive missioni Apollo.
Dorothy affronterà il suo supervisore – donna bianca – a viso aperto che la ritiene inferiore solo per motivi raziali diventando a sua volta la prima supervisore afroamericana, gestendo il nuovo IBM di ultima generazione che accantonerà definitivamente lavagne, gessetti e le calcolatrici umane (tutte donne di colore).
Mary testardamente e con la volontà di voler essere un ingegnere come tutti gli altri sarà, non solo, la prima donna a frequentare un corso esclusivamente per uomini bianchi ma anche la prima ingegnere aerospaziale afroamericana, ottenendo la specializzazione necessaria per la promozione e contribuendo in modo determinante alla creazione della capsula del programma Mercury.

Il diritto di contare, film di Theodore Melfi del 2016, nella versione originale ha il titolo di Hidden Figures – figure nascoste – ed è basato sul libro di Margot Lee Shetterly intitolato “Hidden Figures: The American Dream and the Untold Story of the Black Women Who Helped Win the Space Race”.
Già questo basterebbe per dare un senso più che profondo a questa pellicola, ma andiamo oltre la “semplice e dirompente” storia che c’è dietro.

Per quanto possa sembrare distante dal nostro modo di vivere oggi, dove tutto sommato siamo abituati a vicendevoli avvicendamenti tra uomini e donne e non ci interroghiamo più sulle difficoltà che ci sono dietro e il sacrificio che ha richiesto a molti o dove, ancora, siamo indifferenti (quasi) all’interrazialità che ci circonda, questo film diventa un fuoco acceso in un deserto buio.

Katherine, Dorothy e Mary con il volto rispettivamente di Taraji P. Henson, Octavia Spencer, e Janelle Monáe, accompagnate sulla scena da Kevin Costner e Kirsten Dunst, danno vita a tante donne e (pochi) uomini che hanno fatto di questa storia un principio per cui combattere, insegnando a farlo, trattenendosi sempre nei confini socialmente ammessi e Concessi ma con il dirompente desiderio e coraggio di infrangerli, a tutti i costi.
Perchè essere una donna in un ambiente esclusivamente maschile che svolge un ruolo socialmente categorizzato per uomini è difficile, ma essere una donna di colore nel periodo in cui le differenze tra bianchi e neri sono ancora troppo marcati e reali e dover combattere per la propria affermazione, è davvero straziante.

Per quanto possa sembrarci irrisorio oggi, abituati alle parità di genere – anche se troppo spesso poco applicata e riconosciuta-, una donna normalmente deve lavorare il doppio e in quel tempo una donna nera doveva lavorare dieci volte di più per vedersi riconoscere la metà del proprio reale valore. Più o meno è quello che succede ancora oggi, solo che siamo troppo distratti dall’accorgercene e, purtroppo, la linea di demarcazione della disuguaglianza e discriminazione è dissolta dal “solo” colore della pelle.

Nel film si parla di oppressione e segregazione, di categorizzazione e marginalizzazione nel mondo del lavoro, perchè già una donna ingegnere fa uno strano effetto, ma alla donna ingegnere di colore viene detto che non può davvero aspirare ad essere ciò che non può essere perchè è a-normale.
Ognuna delle tre protagoniste lotta non solo per sé ma anche per tutte le altre, riuscendo alla fine a vincere. Vincere non qualcosa di straordinario ma per quello che è giusto e che lo era anche prima, solo troppo nascosto dal pregiudizio e dalla diffidenza.

Allora qual è il senso di questo film?

Essere Donna è meravilgioso, nonostante ci sia da faticare almeno il doppio. E quello che ci insegnano le protagoniste di questo film è che essere sé stessi è la miglior cosa che si può fare per raggiungere non solo i nostri obiettivi, ma per farci tutti strumenti per il meglio, nostro e degli altri.
Puntare al meglio, in ogni situazione e sfruttando a nostro favore qualsiasi cosa ci sia da fare, dimostrando non tanto di esserne in grado, ma esplicitando i nostri talenti e facendo in modo che, senza paura alcuna, le persone che ci stanno intorno non ci guardino tanto per il nostro essere, ma diano il giusto perso alle nostre capacità e ai nostri talenti che poi fanno la differenza. In tutto.

E se per caso vi venisse il dubbio che, in fondo, un film che parla degli anni sessanta è assolutamente lontano dai nostri giorni e dalla storia che quotidianamente viviamo, vi invito caldamente a fare due cose: la prima, oggi più che mai, leggete le notizie di cronaca che arrivano dagli esteri, la seconda, osservatevi intorno in ogni ambito lavorativo o, anche, familiare per rendervi conto di quanto ci siano ancora troppe differenze.

Solo allora capirete il vero senso del sacrificio non solo di queste Donne, ma di tutti coloro – Donne, Uomini, giovani, bambini ed anziani – che hanno sacrificato molto di sè per il bene di tutti in qualsiasi ambito e di quanto, a volte, essere visionari non per forza sia una cosa da sottovalutare (nel giorno in cui si accingeva a partire la prima missione spaziale con una navicella privata abortita per il mal tempo).

Francesca Tesoro

“Il Cliente”: spunti di riflessione, dalla pellicola alla realtà

“Il Cliente” è un’avvincente pellicola del 1994, diretta da Joel Schumacher e interpretata da Susan Sarandon, Tommy Lee Jones, Brad Renfro e Mary-Louise Parker, tratta dall’omonimo romanzo di John Grisham.

Il protagonista della storia è Mark, un ragazzino ribelle che, a soli undici anni, conduce un’esistenza particolarmente difficile, cercando di essere un punto di riferimento per il fratellino più piccolo e di dare meno preoccupazioni possibile alla giovanissima madre, sola e con un lavoro precario. Un pomeriggio i due fratelli assistono casualmente al suicidio di un avvocato legato alla mafia statunitense che confida a Mark dove si trova il cadavere di un senatore da poco ucciso e la loro vita cambierà per sempre. Mentre il fratellino è ricoverato in ospedale a causa dello shock e sua madre è assalita dai giornalisti, Mark, messo alle strette dall’FBI, che vuole conoscere tutte le informazioni in suo possesso, decide di rivolgersi a Reggie Love, un’avvocatessa coraggiosa, dal passato difficile, che non ha nessuna intenzione di lasciare in balia delle trame, non sempre trasparenti, della legge, un cliente così speciale come Mark.

Lasciando da parte la trama legal-thriller per lo sviluppo della quale Grisham e Schumacher dimostrano di essere maestri, ciascuno nel proprio ruolo, questa pellicola offre numerosi spunti di riflessione sulla figura del “cliente” a tutto tondo, applicabili a molteplici e variegati contesti, sia in ambito aziendale, sia in ambito imprenditoriale.

Il piccolo, ma estremamente intelligente, Mark, infatti, può essere l’emblema del cliente tipo, difficile e sospettoso, e il rapporto di fiducia che l’avvocatessa Love riesce a stringere con lui, nonostante le difficoltà e il pericolo che entrambi corrono, ha un valore paradigmatico, dimostrando che non tutte le dinamiche che riguardano i clienti sono di natura prettamente economica.

Qualsiasi cliente, infatti, si trova in una posizione di forza, in quanto datore di un generico potere di acquisto, ma, nello stesso tempo, può trovarsi in una posizione di debolezza. Lo stesso Mark, quando si rivolge a Reggie Love, non è pienamente consapevole dei propri diritti e neanche dei propri bisogni, circostanza nella quale potrebbe trovarsi un qualsiasi cliente. Il modo migliore per guadagnare un cliente soddisfatto, che resti affezionato e fedele nel tempo, è renderlo edotto dei propri diritti, seguendolo passo passo e consigliandolo su quali siano le sue reali esigenze più profonde che, andando oltre l’aspetto economico, sono le stesse dell’azienda o dell’imprenditore.

Non sempre, infatti, il cliente sa cosa desidera realmente, così come, a volte, è convinto di avere necessità che invece risultano essere secondarie. Ecco, dunque, che la corretta comunicazione col cliente è alla base di un rapporto di fiducia profonda e soddisfacente. Mark e Reggie hanno spesso scambi di vedute colmi di tensione e la capacità dell’avvocatessa di correre rischi pur di fare gli interessi del proprio cliente che, in ultima istanza, sono anche i suoi, rende alla perfezione l’ideale rapporto che potrebbe esserci tra cliente e azienda a tutto tondo.

Il cliente va difeso e protetto, a costo di correre qualche pericolo. Tuttavia, anche il cliente commette errori, più o meno consapevolmente, ma, con la giusta strategia e facendo appello alla fiducia guadagnata assumendosi i giusti rischi, è possibile condurlo verso le decisioni migliori per tutti.

Pensando alla storia di Mark e Reggie, la quale si prenderà cura di lui come si prendeva cura dei suoi stessi figli, dei quali non ha più la custodia a causa di un passato come alcolista, e cercherà di instaurare anche un rapporto di fiducia con la giovane madre di Mark in difficoltà economiche, si può giungere alla conclusione che un cliente è come un figlio che ha un’altra mamma: è difficile calcolarne il valore e impossibile dargli un prezzo differenti da quello giusto.

Alessandra Rinaldi

“La disciplina dell’imprenditore” di Bill Aulet

“Questo libro è stato ideato come una cassetta degli attrezzi per supportare gli imprenditori alle prime armi – e imprenditori più esperti – a costruire imprese di successo basate su prodotti innovativi. Anche imprenditori seriali con consolidata esperienza in un campo o in un settore specifico, possono riconoscere in questi 24 passi una guida utile per portare in maniera più efficace i prodotti sul mercato.

Come imprenditore, mi sono state utili molte fonti, dai libri ai mentor, e soprattutto la mia esperienza diretta. Tuttavia, non ne ho ancora trovata una unica in grado di unire diversi aspetti in modo esaustivo”.

Siccome nessun manuale prima d’ora ha mai messo insieme teoria e pratica, studio ed esperienza, in modo totalmente esauriente, il carismatico imprenditore Bill Aulet, Direttore Generale del Martin Trust Center for MIT Entrepreneurship presso il MIT e docente alla Sloan School Management del MIT, ha deciso di scrivere un libro che è stato di grande ispirazione per molti manager in tutto il mondo, “La disciplina dell’imprenditore”, edito in Italia da Franco Angeli.

Questo testo, divenuto un bestseller internazionale tradotto in oltre venti lingue, è costituito da quelli che Bill Aulet definisce i 24 passi necessari per creare una start up di successo, seguendo le orme dei migliori, ma anche imparando a percorrere, con coraggio e aspettativa, strade mai battute prima.

Come in un gioco dell’oca 2.0, che non è affatto un “gioco”, l’autore spiega, con stile scorrevole e metodo intuitivo, il “viaggio” che dovrebbe compiere ciascun potenziale imprenditore e come l’imprenditorialità possa essere insegnata e, quindi, imparata da chiunque, con l’umiltà di chi ha profonda fiducia nei propri mezzi, ma anche con la consapevolezza che persino il “fiuto” migliore vada affinato e tenuto in allenamento grazie allo studio e all’esperienza sul campo.  

I primi 24 passi da fare per dare vita a un’attività e gestirla con successo sono suddivisi da Bill Aulet in sei tematiche principali che rispondo ad altrettante domande fondamentali per iniziare col piede giusto:

  1. Chi è il tuo cliente?
  2. Cosa puoi fare per il tuo cliente?
  3. Come acquista il cliente il tuo prodotto?
  4. Come realizzi profitto con il tuo prodotto?
  5. Come progetti e costruisci il tuo prodotto?
  6. Come puoi espandere la tua impresa?

Quesiti solo apparentemente semplici, ma ai quali è necessario impostare risposte il più solide e concrete possibile fin dal principio per non avere falle nel proprio progetto. Ogni tema è costituito da un determinato numero di passi da compiere prima di affrontare il tema successivo e ciascun passo è sviscerato dall’autore anche grazie all’uso di esempi pratici, schemi, tabelle, schede riepilogative e fumetti simpatici ed esplicativi.

Alla fine dei 24 passi del percorso l’imprenditore sarà riuscito a focalizzare meglio e, quindi, a valorizzare la propria idea imprenditoriale, individuando la giusta opportunità di mercato da cogliere e coniugando al meglio gli aspetti prettamente economici e produttivi con le risorse umane che ha a disposizione. L’efficienza, sia nella gestione, sia nella costruzione del prodotto e nella sua promozione a favore del target di clienti, sono gli obiettivi da raggiungere che metteranno in moto il circolo virtuoso che dovrebbe caratterizzare la vita di ciascun imprenditore, tanto per il suo ruolo nella società, quanto per la sua personale soddisfazione, tra empatia e competitività. Un imprenditore disciplinato è un imprenditore che, oltre a costruire un’attività per se stesso, ne comprende e ne valorizza ogni potenzialità anche a favore degli altri, che siano clienti o competitor, in accordo con i valori di un più alto sistema sociale che dovrebbe essere per tutti il terreno fertile su cui seminare il proprio futuro e raccoglierne i frutti.

Maria Tringali

“Cento pagine per l’avvenire” di Aurelio Peccei

“Mio padre fu indotto a scrivere ‘Cento pagine per l’avvenire’ dalla profonda convinzione che l’umanità si dirigesse verso un disastro e che per evitare questa catastrofe era necessario che il mondo cambiasse rotta immediatamente. Da ottimista quale era, mio padre nutriva la speranza che il suo libro sarebbe stato un potente campanello d’allarme per il mondo”.

Con queste parole Roberto Peccei apre la prefazione che introduce la nuova edizione dell’ultimo libro scritto da suo padre, Aurelio Peccei, dal titolo “Centro pagine per l’avvenire”, recentemente ripubblicato da Giunti, assieme a Slow Food Editore e all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, all’interno della collana Terrafutura. Questo testo fu scritto e venne pubblicato per la prima volta nel 1981 da Aurelio Peccei, ex partigiano tra i protagonisti della ricostruzione del dopoguerra italiano e figura di profonda influenza nel mondo scientifico e imprenditoriale a livello internazionale per aver contribuito a fondere culture e realtà solo all’apparenza inconciliabili. Si tratta di un saggio ‘atipico’, che ha il pregio di aver mantenuto intatta tutta la sua attualità e la potenza del pensiero del suo autore, precursore e pioniere, che ha saputo prevedere la gravità della crisi che oggi ci attanaglia e anche suggerire un cammino per superarla.

Secondo Peccei, dal dopoguerra in poi, la rincorsa verso il progresso e la crescita, in primo luogo economica, hanno allargato il campo visivo dell’uomo, accorciandone, però, in un certo senso, l’orizzonte e facendo sì che, nell’arco della propria vita, un singolo essere umano sia testimone oculare di stravolgimenti che, in epoche passate, erano solo immaginabili. Se tutto ciò, da un lato, ha permesso un’evoluzione sempre più veloce, dall’altro, ha provocato un depauperamento delle risorse naturali e dell’ambiente che ci sta decisamente sfuggendo di mano, facendo in modo che lo sviluppo esponenziale delle risorse umane e antropiche sia direttamente proporzionale alla progressiva distruzione del nostro habitat. E saremo tutti d’accordo nel constatare che non può esistere umanità senza un ecosistema idoneo alla sua crescita. L’unico modo per invertire questa tendenza è comprendere fino in fondo quanto l’unione del genere umano, in tutti i continenti e i popoli, ricchi o poveri che siano, sia importante e addirittura fondamentale. Peccei vedeva nella collaborazione a livello mondiale tra le varie nazioni, la quale mirasse a un’uguaglianza non solo formale, ma sostanziale, l’unica imprescindibile strategia in grado di salvare il nostro mondo dalla distruzione. Risorse umane e risorse naturali, dunque, dovevano tornare a camminare insieme, procedendo di pari passo. Negli anni Ottanta del secolo scorso in pochi ascoltarono il grido di Peccei, che oggi suona come un’insolita profezia, per la quale, però, lo stesso autore ci ha indicato la via affinché essa non si realizzi: la cooperazione di tutti per una vita più sostenibile ed egualitaria.

In un viaggio tra Storia e Scienza e con l’aiuto di tavole che spiegano dettagliatamente molti aspetti del nostro cammino evolutivo, Aurelio Peccei guida il lettore in una riflessione su se stesso e sul proprio modo di vivere, aiutandolo a comprendere che , quanto mai oggi, in pieno 2019, abbiamo bisogno di una profonda rivoluzione culturale e “umana” che ci porti verso la consapevolezza della responsabilità di ciascuno di noi, sia come singolo, sia come componente di un gruppo, come un’azienda o una società, nei confronti del nostro pianeta e, quindi, del nostro futuro.

In particolare Peccei attribuisce grande importanza alle nuove generazioni e alla loro capacità di afferrare l’avvenire anche solo grazie a una particolare intuizione e apertura mentale. È in questo spirito di innovazione che l’intera umanità dovrebbe avere massima fiducia, distaccandosi da interessi che la danneggiano.  Secondo Peccei, tra le esigenze fondamentali dell’uomo c’è quella di “imparare a governare l’immenso conglomerato di società e di sistemi, sempre più connessi e interconnessi, che formano il nostro mondo”.  E per farlo c’è un solo modo: imparare e governare noi stessi attraverso una “profonda evoluzione culturale”.

Alessandra Rinaldi

La Mucca Viola di Seth Godin

Nell’immaginario comune, se parliamo di mucca viola la prima cosa che vi viene in mente è quella di una nota marca di cioccolata. Quello è marketing.

E noi oggi parliamo proprio di questo, di un libro scritto da Seth Godin e pubblicato dalla  Sperling & Kupfer che si intitola  La Mucca Viola – Farsi notare (e fare fortuna) in un mondo tutto marrone. Libro molto interessante, valido per esperti del settore o per chi lo ha cominciato a leggere per sbaglio, riguarda sì il marketing, ma da un’altra prospettiva, quella del cambiamento, del miglioramento, della modifica delle strutture aziendali in questa materia e che hanno avuto successo, proprio quando hanno cominciato a sentirsi e comportarsi come la Mucca Viola.

Ma chi è Seth Godin? Partiamo dal presupposto che per quanto possa sembrare un inguaribile visionario, è in realtà fondatore e CEO di Squidoo.com ed è uno dei più famosi business blogger al mondo. Ha cominciato a lavorare nel mondo del marketing abbastanza presto, seguendo le sue idee un po’  sopra le righe ma decisamente vincenti: Brand manager di Spinnaker Software nei primi anni ottanta, fonda con i risparmi la Seth Godin Productions poco dopo, occupandosi di packaging editoriale, creando successivamente la Yoyodyne con la quale ha poi sviluppato via internet tutto ciò che riguarda concetti di permission marketing, viral marketing e di direct marketing. Insomma, uno che del marketing ha fatto la sua missione.

Proprio la sua grande esperienza in marketing, lo ha portato a scrivere – tra i tanti – questo libro che mette nero su bianco la fenomenologia inattesa, straordinaria, entusiasmante e assolutamente incredibile che c’è dietro un prodotto, qualsiasi esso sia. 

In effetti, con il passare del tempo e l’aumentare dei prodotti, produttori, modi di fare e di creare la pubblicità, il mutare del nostro modo di vivere e di farci influenzare è cambiato al punto che la prima cosa scritta dall’autore riguarda le P del marketing che non bastano più.

 

Prodotto, prezzo, promozione, posizionamento, pubblicità, packaging, passaparola, permesso – le P del marketing, appunto – sono gli elementi alla base del marketing che viene prodotto e portato avanti in qualsiasi azienda che produca anche un solo oggetto che necessariamente deve trovare il suo spazio nel mercato. A queste deve aggiungersi, oramai, la P della Purple Cow, cioè la straordinarietà di ciò che vuole essere messo nel mercato.

Perchè per fare marketing serve, oggi, lo straordinario?

Perchè si fa notare, fa parlare di sé, suscita interesse. Soprattutto oggi, dove le condizioni del fare pubblicità ad un determinato prodotto sono cambiate, bisogna rendere straordinario l’ordinario che tutti potrebbero produrre e/o vendere. Allo steso tempo, se renderemo il nostro prodotto straordinario, allora cattureremo tutta una fascia di popolazione che magari era interessata ad altro.

Per quale motivo?

Semplicemente, nella storia del marketing bisogna rendersi conto che ad un certo punto le cose sono cambiate. Prima la pubblicità bastava ad entrare nelle case e nelle teste delle persone, anche perchè lo sviluppo dei prodotti non era  avanzato come oggi, per cui le persone – tra le tante cose – non potevano, in realtà, scegliere lo stesso prodotto nelle svariate declinazioni concorrenti tra loro. Oggi invece i consumatori sono troppo impegnati per prestare attenzione alla pubblicità, hanno una quantità di prodotti simili e collaterali e l’unica domanda che si pongono quando stanno per comprare un determinato prodotto è se possa o meno risolvere il loro problema.

La mucca viola è una strategia, un modo di fare strategia, a maggior ragione oggi dove per formulare una teoria valida di successo, bisogna fare attenzione al mondo reale che ci circonda per meglio capire il motivo che sta alla base dei prodotti che fanno scintille nel cuore dei consumatori. Soprattutto nel 2018, dove i normali mezzi con cui si è fatto marketing fino ad oggi stanno perdendo efficacia. La volontà e il modo che stanno alla base del fare marketing è quella di percorrere la via più rischiosa, sembra un paradosso, ma Godin lo esplicita chiaramente: la via meno rischiosa da intraprendere è proprio quella di rischiare, solo così si faranno cose davvero straordinarie. Il rischio da correre è di fare qualcosa di straordinario, di riuscirlo a fare talmente tale da farlo correre e diffondere come se fosse un virus tra le persone. Per quanto sia vero che il fare marketing è cambiato e che i suoi costi siano mutati, è altrettanto vero che se si ha il coraggio di diventare la mucca viola di una determinata parte del mercato, significherà investire ed avere costi elevati, ma si tramuterà anche in un sistema che funziona. E se il sistema funziona, riusciamo a diventare la purple cow, allora diventeremo ricchi. Impossibile? No. Se il mercato è affollato e seguiamo le regole, falliremo perchè resteremo invisibili e dunque, il rischio più grande è quello di essere prudenti.

Per quanto possa sembrare assurdo, non si sa se realmente la Mucca Viola funzioni, avrà successo o meno quando si decide di intraprendere questa via, ma la verità più assoluta è che a farla funzionare è l’imprevedibilità stessa del risultato, perchè il banale conduce al fallimento, lo straordinario….no!

Il principio della mucca viola, secondo Seth Godin, si applica molto bene alle imprese medio-piccole che vogliono crescere e accrescere la propria quota di mercato, non rimanendo incastrate nel rispettare obiettivi trimestrali, profitti, quote di produzione e la minor percezione di rischio possibile. Sapete qual è la vera differenza tra l’ordinario e lo straordinario in termini di marketing? Le idee straordinarie hanno molte più possibilità di diffondersi delle idee che non lo sono, eppure, sono pochi i coraggiosi che creano qualcosa di veramente straordinario, rischiando.

Qual è il modo per creare la Mucca Viola? È infallibile?

Pariamo dalla cosa semplice: non esiste una formula segreta,  un piano o un manuale che garantiscano un successo certo. Per definizione una autentica Mucca Viola è qualcosa di straordinario nel modo giusto, né più né meno. Al contrario, il sistema è molto semplice: bisogna puntare su qualcosa di assolutamente fuori dall’ordinario, pensare a quali attributi straordinari possa avere questo qualcosa e poi valutare i risultati di marketing e quelli finanziari che si vuole raggiungere. Passando in rassegna le famose altre P, provate a indicare dove potrebbero collocarsi gli attributi straordinari. Così avrete un quadro ben preciso per passare alla fase successiva che consiste nell’immaginare la vostra innovazione.

La Mucca Viola, altro non è che un processo per mettere in luce intenzionalmente o per caso gli elementi che fanno dei prodotti ordinari, prodotti straordinari. 

E il marketing? 

È il prodotto  stesso e viceversa, nel senso che al giorno d’oggi il marketing deve fare parte di ciò che decidiamo di produrre e lanciare sul mercato e non come si faceva prima che diventava una strategia successiva e collaterale, perchè la purple cow ha modificato la definizione stessa di marketing.

Prima, ogni settore di un ciclo produttivo era gestito da diversi soggetti e il marketing era solo il fare pubblicità, comunicando il valore del proprio prodotto che – attenzione – era già stato sviluppato, realizzato e commercializzato. Oggi invece il marketing è l’atto stesso di inventare il prodotto, di progettarlo, di definirne il prezzo, di trovare prima ancora di farlo conoscere al mondo quale sia la strategia migliore per venderlo.

Per quanto tutta questa storia del marketing in cambiamento e della Mucca Viola possa sembrarvi decisamente paradossale, sappiate che all’interno del volume troverete una lunga serie di real cases che dimostrano il contrario testimoniando come questo nuovo modo di fare marketing funzioni. 

Allo stesso tempo, sono sicura, che il vostro sguardo di sorpresa si fermerà proprio sul nome di alcune aziende che tutti noi abbiamo sotto gli occhi ogni giorno e che, scegliendo di essere una mucca viola nella prateria del commercio, stanno avendo successo.

Esattamente come scrive Seth Godin.

Francesca Tesoro

Piccolo manuale delle decisioni strategiche di Mikael Krogerus e Roman Tschäppeler


Se vi dicessero “Esiste un manuale delle decisioni strategiche?”, voi cosa rispondereste? A cosa pensereste? Ma prima di tutto, sapreste definire cosa è realmente una decisione strategica?

Partiamo proprio da questo interrogativo.

Le decisioni strategiche sono scelte che necessariamente interessano un lungo periodo temporale e per questo motivo non sono facilmente modificabili richiedendo un investimento di risorse permanente.

Detta così sembra una cosa complicatissima, invece non lo è affatto, o meglio, non lo è se si ha una rappresentazione grafica davanti agli occhi che permette di sintetizzare mentalmente il percorso che le nostre decisioni potrebbero percorrere e gli obiettivi che, in questo modo, potrebbero essere raggiunti.

Mikael Krogerus, classe 1976 redattore del magazine svizzero NZZ e  Roman Tschäppeler, nato nel 1978 e fondatore del sito di comunicazione guzo.ch, hanno creato questo Piccolo manuale delle decisioni strategiche edito dalla Rizzoli, condensando in un solo testo, una serie di modelli applicabili alla nostra vita reale, qualsiasi essa sia.

Mikael Krogerus e Roman Tschäppeler

Nelle “Istruzioni per l’uso” riportate all’inizio del volume, gli autori scrivono che questo libro è per tutti coloro che hanno a che fare con le persone, dalle maestre d’asilo ai top manager, per prendere le decisioni giuste al momento giusto, per motivare e conoscere meglio sé stessi e i propri collaboratori, per imparare a modificare le cose e riuscire a lavorare in modo più efficiente, per affrontare le situazioni più complicate trovando la soluzione migliore per le piccole e grandi sfide della (nostra) vita.

In questo volume dalle dimensioni tascabili ma dal ben più grande peso finale, sono contenuti cinquanta modelli-matrici, alcuni conosciuti e altri meno, che stimolano la riflessione personale non per fornire soluzioni predefinite e preconfezionate ma soluzioni applicabili. 

Concepito come un quaderno di esercizi, permette al lettore di entrare in sintonia con il modello che si legge, capirlo, metabolizzarlo ed infine provarlo materialmente e se proprio non si è disposti a provarlo materialmente, quanto meno a provarci sulla carta, avendo a disposizione una parte del libro dedicato alla creazione dei propri modelli personali.

Questi modelli, raggruppati in sezioni che disegnano un percorso ben definito – Come Migliorarmi, Come Capirmi Meglio, Come Capire Meglio Gli Altri, Come Migliorare gli Altri – sono un ottimo strumento da attuare quando la mente deve gestire il caos dei nostri pensieri e, per questo, sviluppa sistemi per gestirlo, strutturarlo, osservarlo e superarlo. Lo scopo del modello è quello di ridurre la complessità di quel caos spostando la concentrazione sull’essenziale per dissolverlo. Non è certamente statico, esatto e valido per tutti, ma rappresenta il risultato del pensare attivamente che a sua volta diventa la soluzione, tant’è vero che ogni modello è sempre uguale al proprio osservatore. 

I giovani autori, ai quali tra l’altro si è anche interessato il London Business Forum – un forum on line dedicato a far circolare il pensiero di leader e  pensatori di business di maggior successo su argomenti come leadership, innovazione, benessere e risorse umane – ci suggeriscono anche come leggere questo libro e bisogna dargli decisamente ragione.

Le modalità di lettura sono due, una all’americana ed una all’europea e si differenziano per il comportamento che sta alla base e l’approccio che si preferisce avere nel seguire questo percorso.

Generalmente gli americani prediligono il comportamento definito trial and error, cioè, fai qualcosa, sbagli, impari, fai tua la teoria (dell’errore) e provi di nuovo.

Gli europei invece sono più teorici, perciò seguono lo schema del leggere attentamente la teoria, riflettere su di essa, fare qualcosa, sbagliarla, analizzare l’errore, migliorare, riprovare.

Che uno legga questo Piccolo manuale delle decisioni strategiche all’americana o all’europea, poco importa, l’importante è leggerlo perché i modelli di questo libro sono imbevuti di pragmaticità, semplici e semplificatori, schematici e stimolanti, aperti e fonte di sviluppo. Per noi stessi e per gli altri.

E considerato il famoso Black Friday in arrivo, sappiate che esiste un modello anche per scegliere il regalo giusto, è a pagina 33. Provate a leggerlo e testate il suo funzionamento.

In fondo, fare regali è un terreno davvero minato, chissà che un modello non possa evitarci figuracce!

Francesca Tesoro