“Il segreto dell’infanzia” di Maria Montessori

Il Metodo Montessori spiegato, raccontato e applicato dalla sua stessa creatrice.

In occasione della celebrazione della Giornata Mondiale per i Diritti dei bambini, abbiamo voluto approfondire un argomento di cui già vi abbiamo parlato in Sistema Scuola, in quanto si tratta di un vero e proprio approccio sistemico alla crescita e all’educazione dei fanciulli: il Metodo Montessori. Per farlo al meglio abbiamo deciso di leggere e analizzare direttamente una tra le numerose e più note opere di Maria Montessori: “Il segreto dell’infanzia”, oggi edito da Garzanti. Si tratta, infatti, di uno dei testi fondamentali del Metodo che la studiosa, originaria di Chiaravalle e, come sappiamo, tra le prime donne a laurearsi in Medicina nel nostro Paese, ha scritto partendo dalle sue stesse osservazioni ed esperienze fatte nelle cosiddette “case dei bambini”. Queste nacquero numerose a partire dal 1906, quando Maria Montessori fu chiamata a curare l’organizzazione delle scuole materne per i figli di famiglie operaie di alcuni quartieri popolari romani e divennero ambienti innovativi furono presto conosciuti e imitati in tutto il mondo, circostanza che si verifica ancora oggi.

In questa pubblicazione la Montessori non si limita, tuttavia, a delineare i tratti fondamentali del Metodo scolastico, ma traccia i binari della crescita del bambino fin dalla nascita, analizzando a fondo il ruolo dei genitori nei primissimi anni di vita, al quale, solo successivamente, si affianca la figura dell’insegnante e della collettività scolastica, sempre all’insegna dell’autonomia e delle scelte del bambino stesso, attratto dall’esperienza di vita quotidiana, più che da balocchi, premi e punizioni, tipici dell’educazione dei bambini fino ai primi del Novecento.

Il Metodo Montessori, infatti, non è solo un metodo di educazione scolastica, come abbiamo già appurato, ma un vero e proprio “stile di vita” atto a favorire la crescita del bambino a tutto tondo e che dovrebbe essere applicato, a cominciare dai genitori, fino agli insegnanti e agli istituti scolastici, ma anche e soprattutto dallo Stato stesso e dagli enti pubblici per quanto attiene alla tutela del bambino nella società. È interessante, infatti, l’excursus che Maria Montessori fa circa i diritti del bambino praticamente inesistenti, almeno fino al secolo scorso, per cui solo i bambini più fortunati, che nascevano nelle famiglie “giuste” e non erano obbligati a lavorare in tenerissima età, potevano essere tutelati, anche nei confronti delle famiglie stesse.

Tra i vari “esperimenti” e giochi fatti nelle classi assieme ai bambini da Maria Montessori, ci ha colpito in particolare quello del silenzio. Si tratta di un’esperienza quasi “mistica” che nasce anche dalla convinzione della Montessori che pure bambini di età diverse possono condividere un ambiente scolastico, perché i più grandi possono aiutare i più piccoli, ma, nello stesso tempo, possono anche imparare cose nuove o forse “dimenticate” proprio dai più piccini e in tutto ciò il maestro ha un ruolo di guida che deve interferire il meno possibile nelle dinamiche tra i fanciulli. Un giorno, racconta la studiosa di essersi recata in classe con in braccio una bimba di pochi mesi stretta nelle fasce e molto placida e silenziosa. Chi è genitore o insegnante o semplicemente avvezzo agli ambienti frequentati dai bambini di oggi sa bene quanto il vociare e la confusione troppo spesso la facciano da padroni, quasi come se il silenzio fosse una pratica impossibile per un bambino inserito in un gruppo. Maria Montessori fa notare agli altri bimbi il silenzio della lattante e, in un certo senso li sprona a fare altrettanto dando il via a un “gioco del silenzio” che ha avuto risultati sorprendenti, diventando una piacevole abitudine vicina a quella che oggi potremmo definire “meditazione”. I bambini, infatti, spronati a restare in silenzio, hanno iniziato a percepire con curiosità i piccolissimi e di solito impercettibili rumori attorno a loro, fino a spingersi ad ascoltare con attenzione anche i rumori del proprio corpo, come il respiro e il battito del cuore, allenandosi di fatto e in modo naturale e spontaneo, a mantenere la concentrazione per periodi sempre più lunghi, senza provare alcun disagio.

Per l’adulto che è in grado di vedere e percepire il bambino con occhi diversi rispetto a quelli con cui guarda al resto del mondo, spiega e conclude Maria Montessori, l’infanzia non ha “segreti” e si svela con tutta la semplicità, l’innocenza e l’istinto di cui solo i bambini sono capaci.

Alessandra Rinaldi

Alike: un cortometraggio per riflettere

Oggi vi presentiamo un cortometraggio che ci ha particolarmente colpito per la sua grandiosa semplicità nel passare un messaggio profondamente emozionante.
Alike è un 3D computer animated short film diretto da Daniel Martínez Lara e Rafa Cano Méndez, due ragazzi abili nell’animazione, nella creazione di cortometraggi di vario genere e storytelling vignettistici, che nel frattempo hanno anche creato delle scuole nel settore.
Per creare questo piccolo capolavoro, pubblicato nel 2015, ci sono voluti cinque anni di lavorazione da parte di un team straordinario che è valso, nel giro di poco più di un paio di anni, la nomination a ben 151 premi dei quali ne ha vinti 97, tra cui il premio Goya, ovvero il più importante riconoscimento cinematografico spagnolo conferito ogni anno dall’Academia de las Artes y las Ciencias Cinematográficas, come Miglior Corto Animato del 2016.Iniziato con l’ausilio di applicazioni gratuite on-line ed ex studenti della scuola Pepeland di Daniel Martínez Lara a causa del budget estremamente ridotto, è diventato in breve tempo un miracoloso successo che ha solcato gli schermi in ogni dove del mondo essendo stato visto più di dieci milioni di volte.
A dirla tutta, nel tempo immediatamente successivo, Alike è anche diventato fonte di ispirazione per “Better Together”, un libro per bambini curato da Beascoa e creato da Daniel Martínez Lara, Abel Tébar e Rafa Cano.

Alike concentra in poco più di otto minuti la storia di un padre e un figlio, iconicamente chiamati Copi e Paste e che in inglese significano copia e incolla, i quali vivono in una società dove l’ordine e l’etica del lavoro – per gli adulti – e del conformismo – per i più piccoli – soffocano letteralmente il colore e la creatività dei suoi abitanti. La città nella quale abitano, mossa da una frenesia monotona ed alienata appare, in realtà, come una location desolata e incolore, eccetto tre cose: Copi, Paste e un violinista che suona la sua musica in un parco.

Ogni mattina, Copi e Paste si preparano e, usciti di casa, seguono la massa degli abitanti che si divide tra scuola e lavoro. Usciti in strada, la frenesia, la creatività e la fantasia di Paste si scontrano con la serietà di Copi, responsabile genitore che crede di tracciare l’unica via percorribile per il futuro del proprio figlio.
Ed è su quella stessa strada che, sempre ogni mattina, incontrano un violinista in un parco che suona una melodia incantevole che affascina il piccolo, lasciando indifferente il padre. In quella stessa routine quotidiana, succede che quando il padre lascia suo figlio a scuola e arriva al lavoro perde il suo colore e, nel mentre il figlio, chiuso nella scuola, cerca di essere creativo preferendo e disegnando scarabocchi invece di fare il lavoro scolastico. Ogni giorno si ripete la stessa cosa e, piano piano, quelle regole imposte dalla vita quotidiana iniziano a far scomparire i colori…

In questa animazione, troviamo due elementi fondamentali: il colore, immediatamente evidente anche all’occhio più distratto e il significato intrinseco del cortometraggio.
Il colore viene usato come strumento che metaforicamente identifica in tutta la storia l’esplorazione e il confronto della mancanza di creatività all’interno dell’ambiente e dei personaggi, la stereotipizzazione dei luoghi e delle persone, l’assenza di qualcosa di fondamentale che, in un certo senso, ci rende liberi.

Il significato intrinseco di questi pochi minuti, invece, valgono quanto una lezione di vita.
Primariamente, altro non fa che rappresentare l’alienazione dell’individuo fagocitato dalla società, che ne risucchia e sotterra qualsiasi forma di emozione.
Secondariamente, disegna lo spaccato del mondo di oggi che favorisce l’individualismo, non accetta le idee alternative e la voglia di sperimentare, dove la creatività e il differenziarsi dalla massa che ci circonda diventa (quasi) una missione impossibile, soprattutto in un mondo del lavoro come quello che viviamo oggi.
In ultimo, ma non meno importante, il vero significato non è tanto racchiuso nel fatto (drammaticamente ed assolutamente vero) che la monotonia quotidiana delle nostre vite ingrigisce adulti e bambini, ma la cosa a cui dovremmo fare maggiormente più attenzione tutti, è che stiamo perdendo la bellezza e il vero senso della vita che viviamo ogni giorno, dimenticandoci letteralmente anche delle cose più semplici, come un saluto, un pensiero, un abbraccio o, addirittura, stiamo dimenticando di provare emozioni.
Sì perchè ogni giorno, ingurgitati in un gigantesco ingranaggio, dimentichiamo di dare il giusto peso a quello che ci circonda, non riuscendo più neanche a provare lo stupore per le piccole cose, come se il bambino che abita in ognuno di noi fosse stato rinchiuso in una scatola sottochiave e sotterrato.

Alike è un cortometraggio davvero emozionante e che, a mio parere, ogni adulto indipentemente dall’avere o meno figli, dovrebbe guardare. Allo stesso modo, è tanto semplice da riuscire a veicolare il suo messaggio anche nelle menti più giovani, che troppo spesso perdono – o forse non conoscono addirittura per nulla – il vero significato dell’essere bambini, creativi, felici, spensierati, sempre incastrati in meccanismi avulsi dalla loro età per dimostrare, già da giovanissimi, di avere più stoffa degli altri.

Quello che dovrebbe accomunare gli adulti e i bambini dopo aver visto questi otto minuti è il ritrovare la consapevolezza che il mondo vive e si nutre di immaginazione e fantasia, bellezza, stupore, creatività e dei gesti semplici che troppo spesso dimentichiamo, ma soprattutto che essere liberi di esprimere sé stessi, è indubbiamente il più grande regalo che possiamo fare a noi stessi e agli altri. Soprattutto agli altri, soprattutto se piccolini, perchè magari, diventeranno la speranza di un futuro migliore per tutti.

Francesca Tesoro

“Las 7 reglas para tener éxito” por Stephen R. Covey

Para comprender la profundidad real de “Las 7 reglas para tener éxito”, el texto de Stephen R. Covey, el autor recientemente fallecido, que ha vendido más de quince millones de copias en todo el mundo y fue publicado en Italia por la Editorial Franco Angeli, partimos de su título original: “Los 7 hábitos de las personas altamente efectivas”.

La traducción literal del término hábitos, incluso antes de las reglas, es hábitos, una palabra aparentemente connotada solo por esa connotación negativa que el mundo caótico de hoy le ha reservado, porque representa perfectamente cómo hacer que un cambio se convierta en una regla, necesitamos transformarlo en un hábito, o en algo que se haya convertido profundamente en parte de nuestro ser individual y que haya convertido un nuevo comportamiento en una parte integral de nuestra zona de confort personal.

También personas efectivas es un término interesante para analizar con respecto al término con el que, resumiendo un concepto probablemente más complejo, se traduce a nuestro idioma: éxito. Incluso antes de examinar su significado, el quid en más del significado original es precisamente en el término personas que enfoca la atención en el aspecto “humano”, más que en el “éxito” en sí mismo, casi como si fuera una entidad abstracta. De hecho, las personas son “exitosas” gracias a un conjunto de factores que tienen su punto de apoyo en la eficacia efectiva de las relaciones humanas, exaltando este concepto al extremo.

Incluso solo gracias a este primer análisis intuitivo, entendemos que el texto de Covey no es un simple manual, sino un viaje real que, a partir de las personas, analiza sus formas de ser y percibir su entorno, llevándolos a hacer ese salto cualitativo necesario para hacer los cambios internos de los nuevos hábitos reales, llegando al tan buscado éxito en cualquier campo. Específicamente, gracias a su vasta experiencia y sus estudios a menudo poco convencionales, todos realizados en el campo, el autor ha hecho de este libro un verdadero caso editorial entre los más innovadores del mundo de la literatura gerencial en el mundo de hoy.

¿Pero cuáles son las siete reglas para el éxito de Stephen Covey?

El corazón del análisis del autor parte de los principios comunes a todos los hombres que representan los paradigmas con los que cada uno de nosotros nos confronta todos los días en nuestra vida y camino de trabajo, colocando la necesidad de crecimiento y cambio en el centro de la necesidad del llamado “cambio de paradigma”, que transforma nuestra forma de abordar los problemas y dificultades, especialmente en las relaciones laborales. Entonces, ¿cómo puede el cambio ser una regla o un hábito? El autor define las reglas como un cruce entre conocimiento, habilidad y deseo. El conocimiento es el paradigma de la teoría, la capacidad de la técnica, el deseo de motivación. Según Covey, transformar el cambio en hábito requiere que estos tres aspectos se examinen en profundidad e igualmente.

Las Siete Reglas, específicamente, son el “enfoque integrado, secuencial y coherente para el desarrollo de la eficacia personal e interpersonal” y nos llevan, siguiendo el camino natural de la vida y la evolución humana, “de la dependencia a la independencia y finalmente a la interdependencia “. Al igual que un recién nacido que, por la dependencia total de su madre, aprende lentamente a ser independiente, entendiendo el valor de la autonomía, el adulto, y especialmente el gerente, que además de la responsabilidad de su propia persona, también tiene la responsabilidad de otros trabajadores, proyectos y productos, aprende cómo el camino hacia el éxito pasa por la colaboración, la cohesión y la confianza hacia los demás, sin perder el control de sí mismos. El paradigma del nosotros, como lo define el autor: un “nosotros” más grande y más fuerte que nuestro “yo” que da lugar a las Siete Reglas enunciadas por Covey como un sistema único y coherente destinado a ser repetido con naturalidad si cada uno lo apoya:

1.Sea proactivo: tome la iniciativa
2.Comienza por pensar en el final: camina viendo la meta
3.Dar prioridad a las prioridades: es la voluntad hacer la diferencia
4.Piense en ganar / ganar: si gana, los demás ganan
5.Primero trata de entender … luego hazte entender: primero escucha
6.Sinergizar: canalizar energía positiva
7.”Afilar la cuchilla”: la espiral de la autorrenovaciónDejando a un lado el análisis de cada una de las reglas, cada una resumida en nuestro eslogan, pero en realidad todas muy relacionadas entre sí, lo que hace que este texto sea realmente interesante y lo vuelve útil incluso fuera de los contextos gerenciales es el sentido común y el lenguaje simple que lo caracteriza. También son dignos de mención la gran cantidad de tablas y ejemplos, en su mayoría extraídos de contextos de la vida cotidiana o la formación en el aula experimentados por el mismo autor, gracias a su larga experiencia de vida, junto con consejos prácticos y ejercicios para compartir con los suyos equipo de trabajo y más.Las Siete Reglas para desarrollar la efectividad son un viaje real de aquellos en los que el objetivo cuenta al menos tanto como el camino y se basan en los principios universalmente reconocidos por toda la riqueza interna y externa vista en nuestro papel social.

El objetivo es crear y conocer el centro de nosotros mismos para enfrentar mejor los problemas de la vida cotidiana, desde la vida privada hasta el trabajo, convirtiéndonos en individuos en continuo crecimiento y equilibrio entre raíces y renovación.

Alessandra Rinaldi

Traduzione di Sara Trincali