Istituti Tecnici Superiori: il nuovo passe-partout per i giovani

Gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) sono stati introdotti dal Dpcm del 2008 con la riforma della scuola e rappresentano, ormai, in modo consolidato un passe-partout per i giovani nel mondo del lavoro, forse anche più delle Università. Percorsi di Istruzione Terziaria di eccellenza e ad alta specializzazione tecnologica post diploma, rappresentano la sinergia e l’integrazione della formazione con il lavoro con le politiche industriali prevedendo percorsi formativi riferiti alle aree tecnologiche considerate prioritarie per lo sviluppo economico e la competitività del Paese.

Con un bacino di iscritti che si aggira intorno ai ventimila studenti di cui “solo” 3.761 si sono diplomati nel 2019, rappresentano un ottimo trampolino di ingresso nel mondo del lavoro per i giovani.

Il miglior modo per i giovani per accedere al mondo del lavoro: gli Istituti Tecnici Superiori

Il monitoraggio annuale effettuato dal MIUR e INDIRE ha dismostrato come, nonostante la pandemia e il lockdown, l’80% dei diplomati degli ITS ha trovato lavoro entro un anno dal diploma e, dato ancor più sorprendente, nel 92% dei casi l’impiego è stato una prosecuzione naturale del persorso “aula-onthejob” svolto dagli studenti. Il 60% dei contratti che hanno impegnato questi diplomati, sono nella maggiorparte dei casi a tempo indeterminato o in apprendistato, quindi, da ritenersi assolutamente stabili anche grazie all’Industria 4.0.

Istituti Tecnici Superiori: il nuovo passe-partout per i giovani – Sistema Generale

Il punto di Forza degli Istituti Tecnici Supriori è sicuramente la flessibilità organizzativa e didattica, il 41% delle ore del percorso formativo vissuto in stage e il 27% nei laboratori, nonché il fondamentale partenariato instaurato con 83 Fondazioni Its che fanno da anello di congiunzione tra la scuola e il mondo del lavoro.

Nonostante il mondo del lavoro, in via generale, si sia dovuto scontrare con la pandemia, la richiesta di super-tecnici da parte delle imprese italiane, in realtà, non è diminuita andando in contro tendeza soprattutto in quei settori chiave come il metalmeccanico, la moda, il legno arredo, il chimico-farmaceutico, dove all’alto tasso di domanda di personale specializzato non è stato possibile reperire soggetti qualificati e formati per ricoprire le posizioni vacanti.

La considerazione che viene riservata – dalla scuola, dalle famiglie e dai ragazzi – a questi istituti superiori post diploma non è ancora quella giusta, considerato che forniscono tantissime e validissime opportunità ai nostri giovani, soprattutto per accedere direttamente al mondo del lavoro, dove si stima che alle imprese servano quasi ventimila diplomati ITS ed invece, ogni anno, ne arrivano poco meno di cinquemila.

Francesca Tesoro

“Che vuoi che sia”: mai sfidare il ‘Popolo di Internet’

È senza confini e senza guida. O meglio, troppo spesso va dove lo porta il vento. A volte si infervora come quello che prese la Bastiglia, altre si lascia chiudere gli occhi come in balia di una mano invisibile e, da quando ha la possibilità di incontrarsi e confrontarsi su piazze virtuali efficaci e spietate come i Social Network, è meglio cercare di farselo amico. Stiamo parlando del cosiddetto “Popolo di Internet”, una nuova nazionalità transnazionale, senza cittadinanza e senza passaporto, ma anche senza regole, di cui tutti facciamo parte, sia come esseri umani, sia come lavoratori.

La disavventura in cui si trovano invischiati Claudio e Anna, protagonisti del film “Che vuoi che sia”, diretto da Edoardo Leo, che veste anche i panni dello stesso Claudio, rappresenta alla perfezione il predominio e, allo stesso tempo, la dipendenza di tutti noi da questo strano popolo virtuale, sia nella vita di tutti i giorni, sia per la realizzazione in ambito lavorativo. Con una commedia esilarante, talvolta ai limiti del grottesco, Edoardo Leo e Anna foglietta rappresentano una coppia di giovani italiani come tante, incastrate tra la volontà di metter su famiglia con tutti i crismi e il desiderio di lavorare in autonomia, realizzando progetti per i quali hanno studiato e fatto sacrifici. Mentre Anna è un’insegnante (precaria, che ve lo dico a fare) Claudio è un ingegnere informatico che conosce bene i computer e le dinamiche della rete ed è convinto di dominarle con successo. Ma, quando in seguito a un colloquio di lavoro, gli viene proposto di dare il via a un crowdfunding per verificare quanto il suo progetto risponda alle esigenze dei consumatori, si trova disorientato dal poco riscontro che trova. La sua idea è creare un’App, Lavoro Advisor, che permetta di mettere in comunicazione domanda e offerta di lavoro col semplice uso dello smartphone, un progetto lodevole, ma che sembra non bucare lo schermo del Pc, come si dice, per cui ben pochi sono disposti a dargli fiducia e, di conseguenza, fondi volontari.

Deluso e dispiaciuto, dopo essersi ubriacato a una festa assieme ad Anna, Claudio registra un video che mette online, nel quale sfida apertamente il popolo della Rete: se inizierà ad accumulare abbastanza soldi, oltre a realizzare il suo progetto di lavoro, farà un video hard assieme all’ignara Anna e lo metterà sul Web. Quella che, complice l’alcol, sembrava solo una goliardata da adolescenti, la mattina dopo è già diventata virale e l’interesse e la curiosità del popolo di Internet si scatena. In molti iniziano a donare cifre sempre più alte e anche l’attenzione degli altri Media, in primo luogo della Televisione, non fa altro che ingigantire le conseguenze di ciò che Claudio ha fatto. Anna, inizialmente sconvolta, viene sospesa da scuola, ma poi finisce per convincersi che, pur di realizzare il sogno di una stabilità economica e anche di una famiglia, è disposta a dare in pasto al pubblico un episodio della propria intimità con Claudio, anch’egli sempre più deciso a non tirarsi indietro, fino a un sorprendente epilogo.

Il quesito di fondo, filo conduttore di tutta la pellicola impregnata di un umorismo e di un senso pratico squisitamente italiani, è fin dove siamo disposti a spingerci per realizzarci, sia nella vita lavorativa, sia in quella privata? In tempo di crisi e precarietà economica, si sa quanto questi aspetti dell’esistenza siano binari che, affinché il treno della vita non deragli, devono correre parallelamente senza intoppi: senza incontrarsi, ma anche senza scontrarsi irrimediabilmente, come probabilmente accade a Claudio e Anna.

Per quanto riguarda il mondo del lavoro, oltre al senso di instabilità che il nostro cinema italiano è ormai maestro nel raccontare, anche con un sorriso amaro, è interessante analizzare lo spirito critico con cui si illustrano metodologie che all’estero hanno permesso a molti imprenditori senza mezzi di realizzare i propri sogni, creando realtà lavorative oggi solide. Crowdfunding, Social Network e Web in generale, infatti, più che un luogo di incontro per essere sostenuti e aiutati anche a livello economico, per mettere in piedi un progetto lavorativo alla portata di tutti, sembrano mostri mitologici interessati solo al sesso e al pettegolezzo che chiedono uno scotto da pagare decisamente in contrasto con la dignità dell’individuo, sottolineando quanto il nostro Paese sia impreparato e, in un certo senso, indifferente a certe dinamiche di democrazia e meritocrazia 3.0.

Fortunatamente, a volte, sia per quanto riguarda la nostra vita privata, sia per quanto riguarda le nostre ambizioni lavorative, ci pensa le realtà a spezzare le catene del virtuale, grazie alle sue imprevedibili leggi non scritte e al ruolo imprescindibile del nostro libero arbitrio. Anche perché ciò che in Rete è virale oggi, domani (forse) sarà dimenticato grazie a qualcosa di ancora più virale…

Alessandra Rinaldi

Made in Italy: rappresentazione della precarietà

 

Che vi piaccia oppure no, che ascoltiate la sua musica o meno, Luciano Ligabue all’inizio di quest’anno ha presentato al mondo cinematografico il suo terzo film. Dopo Radio Freccia e Da Zero a Dieci, è arrivato il tempo di Made in Italy.

Pellicola,  prodotta dalla Fandango, distribuita dalla Medusa, nata nelle more dell’omonimo e precedente (concept) album del 2016, ha avuto la capacità di infrangere un tabù, raccogliendo quattro candidature ai Nastri d’Argento e vincendone uno, incassando tre milioni di euro nelle sole prime due settimane di programmazione.

Girato in poco più di un mese nell’estate del 2017 e arrivato nelle sale a gennaio, è un film crudo e vero che, con estrema schiettezza, inquadra e porta sugli schermi il disagio della precarietà di un uomo di mezza età.

Riko (Stefano Accorsi), cinquantenne della provincia emiliana è un uomo che ha sempre vissuto seguendo gli schemi preordinati della società al ritmo del tempo. Ha una moglie (Kasia Smutniak) che ama nonostante le reciproche scappatelle, ha un figlio che sarà il primo della famiglia ad andare all’università, ha un lavoro che non ama fare ma che fa bene perchè è comunque il suo lavoro ed era il lavoro di suo padre e prima ancora del nonno, come la casa in cui abita e che non potrà più mantenere. È un uomo attaccato in modo viscerale al suo paese, al suo gruppo di amici, alla sua realtà, fin quando anche lui non viene toccato dai tagli al personale nel salumificio in cui lavora e la sua crisi di mezza età diventa una crisi esistenziale molto più profonda e lacerante. 

Stefano Accorsi, è molto bravo ad impersonificare questo personaggio che, a detta dello stesso Ligabue, rappresenta un uomo attaccato alla vita, al suo mondo fatto di amici, casa e famiglia, al paese provinciale, stufo della sua ripetitività e delle ingiustizie quotidiane che riceve, che subisce la stanchezza esistenziale generalizzata e generazionale. Tratti questi che emergono continuamente nelle scene dei film e rappresentano il pensiero di ognuno di noi.

Riko, altro non è che la rappresentazione di una storia specifica che racconta lo spaccato della società odierna legato alla precarietà del mondo del lavoro e delle persone di mezza età che vivono questa tragedia nella loro vita. E con loro, le famiglie.

Perchè quando un uomo perde il suo lavoro, di conseguenza, perde la propria identità, diventando fragile e sentendosi inutile, fino a quando non prende coraggio e decide di cambiare – anche se poi nella realtà non succede così tanto spesso quanto si creda-.

Made in Italy è un film sentimentale,  perchè racconta il punto di vista di un uomo semplice, un qualunque operaio radicato nel suo paese e nel suo amore familiare che, per quanto distorto, lo caratterizza, finchè non decide di cambiare ed emigrare altrove, per salvare più che sé stesso il proprio matrimonio, la propria casa, la propria identità e dignità, per rispondere a quell’esigenza di cambiamento che ha come punto di svolta un evento drammatico prima e l’arrivo di un nuovo figlio immediatamente dopo.

Allo stesso tempo questo film è la fotografia dell’Italia contemporanea, assuefatta al un non prendersi le proprie responsabilità da una parte e all’essere abituati a subire dall’altra.

Gli attori (Stefano Accorsi, Kasia Smutniak, Fausto Sciarappa, Walter Leonardi, Filippo Dini, Tobia De Angelis, Alessia Giuliani, Gianluca Gobbi), guidati dal regista e dalle canzoni dell’album, mettono in scena il paese di oggi, rappresentando egregiamente uno spaccato della società, completa di tutti gli aspetti umani e materiali che normalmente viviamo nel nostro mondo normale. Un mondo bello agli occhi di tutti, ma che diventa cupo e triste agli occhi di chi è precario lavorativamente e corre il rischio di perdere tutto, compromettendo quanto si è costruito nel tempo. Negli occhi di Riko/Accorsi si legge la disperazione dell’essersi perso, la necessità di ritrovarsi, la volontà di volersi ribellare, l’amore di una moglie che fa di tutto per farlo tornare alla vita vera, il capannello degli amici intorno, ognuno con le proprie normali difficoltà.

Quando si entra in una spirale di terrorizzante senso di perdita, l’unica via per salvarsi diventa il cambiamento e se non si può cambiare nel proprio paese, si prova oltreconfine, nonostante le persone ti continuino a chiedere cosa ci fai lì?

Allora si ricomincia a vivere, ripercorrendo le tappe belle della propria vita per riprendere il controllo che si era perso, cambiando nel modo in cui prima non si era immaginato, risvegliandosi convinti di fare qualcosa che prima non si avrebbe avuto il coraggio di fare, ricostruendo quello che si era perso.

E per quanto non si possa dire che la vita è come un film, almeno per un momento possiamo vivere l’idea di ritrovare la stessa speranza di Riko nel riprendere il proprio controllo, per stare bene.

Francesca Tesoro

 

Legge di Bilancio 2018: lavoro e sostegno alle imprese

Nelle pagine digitali di Sistema Generale spesso abbiamo affrontato temi legati al lavoro e, visti i tempi ormai maturi, abbiamo pensato di concentrarci nuovamente su questo aspetto.

Questa volta però lo faremo, dati alla mano e più tecnicamente.

Infatti  dal 1° gennaio di questo anno, è in vigore la Legge di Bilancio 2018, comprensiva del bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e quello pluriennale per il triennio 2018-2020.

Tale combinata legislativa, contempla argomenti che vanno dal lavoro al turismo passando per le politiche volte al sostegno della famiglia e alle imprese.

Durante la conferenza stampa di lancio della nuova manovra di bilancio ad ottobre 2017, il Governo ha presentato la previsione degli investimenti in favore delle politiche per i giovani, specificando l’utilizzo di 300 milioni per il 2018, 800 milioni per il 2019 e 1,2 miliardi nel 2020, prevedendo inoltre come strutturale lo sgravio fissato al 50% per incentivare le occupazioni dei giovani. L’obiettivo è quello di garantire ai giovani la possibilità di entrare nel mondo del lavoro, dipendente o autonomo che sia, abbreviando il lasso temporale tra il raggiungimento del titolo di studio e il primo impiego, passando per la stabilizzazione dei contratti di apprendistato, senza sottovalutare il passaggio del concetto di “giovane” dagli under 30 agli under 35 (anche se solo per il 2018).

Una previsione importante dunque, per rimettere in piedi il nostro paese permettendo ai giovani di potersi costruire una propria strada lavorativa qui senza il bisogno di emigrare altrove.

Legge di Bilancio 2018 

Prima di tutto, spieghiamo cos’è la legge di bilancio.

Si tratta di un documento contabile preventivo previsto dalla Costituzione all’art.81, con il quale viene comunicato al Parlamento la previsione delle spese pubbliche e delle entrate previste per l’anno successivo, non introduce nuove tasse e spese ma anticipa le coperture finanziarie necessarie per gli interventi legislativi dell’anno successivo.

Ora, analizziamo la Legge di Bilancio 2018 concentrandoci sugli aspetti collegati al mondo del lavoro e delle imprese rimandando, per chi volesse, alla lettura dell’intero testo normativo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Lavoro e Formazione 

Sono riconosciuti sgravi contributivi pari al 50% per i datori di lavoro privati che assumono lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato, per un periodo massimo di trentasei mesi. Tale sgravio che spetta per i giovani non occupati già a tempo indeterminato con il medesimo o con altro datore di lavoro under 30, si estende anche agli under 35 purchè assunti entro il  31 dicembre 2018.

Lo sgravio contributivo sale al 100% per quei datori di lavoro privati che assumono gli studenti già entrati negli ambienti aziendali grazie all’alternanza scuola-lavoro o ai periodi di apprendistato.

Per  coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali under 40 invece è stato previsto l’esonero contributivo.

Permangono le dispense contributive stabilite nel 2017 per l’assunzione delle donne, dei soggetti over 55 e dei lavoratori in cassa integrazione.

Aspetto di grande novità è poi la previsione delle agevolazioni per favorire l’assunzione di lavoratori in procedura di ricollocazione, per i quali è previsto uno  sgravio contributivo parziale e l’introduzione di incentivi per le cooperative che assumono donne e rifugiati.

Sono inoltre stabiliti la promozione e il coordinamento delle politiche per la formazione, il cofinanziamento del Programma Erasmus, la proroga al 31 dicembre 2019 per l’istituto sperimentale dell’APE volontaria con l’ampliamento dei beneficiari dell’Ape sociale, le assunzioni straordinarie nelle Forze di Polizia e Vigili del fuoco, nonché il rinnovo dei contratti della Pubblica Amministrazione.

Sostegno alle Imprese

Con la manovra 2018 vengono destinati 330 milioni di euro per il periodo 2018-2023 al sostegno dei finanziamenti agevolati per gli investimenti delle micro, piccole e medie imprese.

Viene previsto un credito di imposta  del 40% fino a un massimo di 300.000 euro per la formazione del personale dipendente nel settore delle tecnologie rientranti nel Piano Nazionale Impresa 4.0.

E’ istituito il Fondo Imprese Sud dal valore di 150 milioni di euro per la crescita delle piccole e medie imprese e altri duecento milioni di euro sono invece stati destinati alla garanzia del credito gestito dal Medio Credito Centrale – Banca del Mezzogiorno.

Previsto inoltre uno stanziamento per il Fondo per la crescita sostenibile per le grandi imprese in difficoltà finanziarie, con l’intento di fornire un sostegno economico concreto per agevolare la continuazione delle attività produttive e mantenere stabili i livelli occupazionali.

E’ stato poi istituito un Fondo per lo sviluppo del capitale immateriale, della competitività e della produttività, per finanziare progetti di ricerca e innovazione da realizzare in Italia dal valore di 5 milioni di euro per l’anno 2018, 125 milioni di euro per il 2019 e 175 milioni di euro per il 2020. L’Ente Nazionale per il Microcredito sarà beneficiario di un contributo annuale di 600 mila euro a decorrere dal 2018 per la creazione della nuova auto imprenditorialità e del lavoro autonomo per garantire l’accesso agli strumenti di micro finanza. Infine, è stato deciso di rifinanziare con 7 milioni di euro per il periodo  2018-2020 la quota delle risorse stanziate per l’ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane destinandoli all’Associazione delle camere di commercio italiane all’estero per sostenere la promozione del Made in Italy e attrarre investimenti di partner stranieri.

Insomma, le ottime previsioni per un 2018 favorevole ci sono. Vedremo cosa ci racconteranno i dati di fine anno.

Francesca Tesoro

“Lavoro” di Stefano Massini

Lavoro: nel terzo millennio come suona questa parola?

Si può parlare di lavoro in molti modi e il libro di Stefano Massini, edito dalla Il Mulino, intitolato “Lavoro” esplora i meandri di questo concetto da una prospettiva del tutto inedita.

Leggendo questo testo, sembra decisamente di essere seduti in una platea teatrale, di fronte un palco, sul quale Massini con maestria e semplicità racconta le varie sfaccettature di questa parola diventata nel tempo un vero e proprio concetto.

Stefano Massini, consulente artistico del Piccolo Teatro di Milano, ha analizzato nei vari capitoli di questo il libro il significato intrinseco e profondo di questa parola, mantenendo uno stile simpatico, nonostante scriva di una cosa al quanto difficile.

Usando figure storiche conosciute dai più, siano esse realmente esistite e nate dalla penna di indiscutibili scrittori, rappresenta agli occhi di tutti un sentiero tanto impervio quanto suggestivo.

Citando personaggi che vanno da Cicerone a Prometeo, da Karl Max a Sant’Agostino, da Robin Hood al Dr. Jekyll e Mr Hyde, l’autore delinea l’idea e il senso del lavoro associandolo ogni volta ad un particolare aggettivo qualificativo.

“Una parola scura”.

Si delinea la considerazione che nel tempo il lavoro è stato oscurato da una patina opaca, riportando il pensiero umano dal disincanto all’aspetto critico e polemico, andando a coincidere in senso figurativo con una ferita scoperta e dolorante.

“Una parola complessa”.

Lavoro è un sostantivo che identifica tanto una azione che il suo prodotto o quel luogo in cui le azioni vengono svolte per arrivare a produrre un determinato elemento, più o meno aleatorio, con fatica e costi non solo economici ma anche fisici e mentali.

“Una parola vitale”.

Lavoro quindi sono” è un postulato molto concreto e fisiologico che identifica come ognuno di noi lavori per la necessità di procurarsi un sostentamento e pochi lo fanno per esclusivo piacere. Si esplicita così una delle tante corruzioni della parola lavoro, che perde il suo essere un naturale bisogno per diventare addirittura un valore di eccezione e, in certi casi, di eccellenza.

“Una parola ingombrante”.

Il lavoro, nel tempo, ha perso il suo essere strumento per sopravvivere ed è diventato quasi l’identificativo di uno status simbol, venendo percepito come un dovere con l’esclusiva funzione di maturare un reddito, svuotato del suo valore più intrinseco a livello relazionale.

“Una parola tecnica”.

E’ innegabile che la tecnologia sia diventato un elemento portante della nostra società da terzo millennio. A livello concettuale e fattivo la tecnologia ha assunto un ruolo (apparentemente) imprescindibile, radicale e irreversibile, per cui sembra quasi che senza più tecnologia non esista lavoro o tipologia di esso normalmente esercitabile. In modo del tutto speculare, l’inquietante presenza della tecnologia sempre più qualificata disarciona l’essere umano cosciente e pensante dalla funzione lavorativa, con la deificazione della macchina a scapito della manodopera umana.

“Una parola straniera”.

Nella nostra era di contaminazione lanciata al galoppo, ci si imbatte sempre più spesso in declinazioni di provenienza anglosassone di tutto ciò che è e riguarda il lavoro. Il rischio concreto di perderne i veri e tradizionali significati, con tutto quello che storicamente comportano, allenta il più profondo legame tra mestieri e territorio, snaturando gli uni e gli altri: work, job, flexibility on job, job on call, voucher work, job sharing, work in progress, task forces, think thank e così via.

“Una parola scordata”.

Si, perchè un tempo il mestiere era un crisma difficilmente scalfibile, un momento essenziale per essere e sentirsi uomini e donne liberi. Oggi il lavoro viene percepito come un obbligo, quasi un peso, un qualcosa di limitativo, sinonimo di sforzo, ingiustizia sociale e mal digerita sottomissione. Quando c’è.

In effetti, per quanto anacronistico possa sembrare, in una Repubblica fondata sul lavoro si assiste alla contrapposizione tra il lavoro e i diritti del lavoratore spesso considerati accessori, se non inutili in certi malaugurati casi. Un lavoro agognato per il quale, sfido a dire diversamente, si troverà sempre quello più disperato e disposto a scendere al compromesso peggiore, a scapito di sé stesso e della retribuzione, pur di lavorare.

Nella fitta giungla del lavoro, dei lavoratori, del senso di oppressione di chi lo ha e la disperazione di chi lo perde o la ricerca spasmodica per averne uno, appare chiaro come la sintassi del lavoro abbia perso la sua grammatica umana.

Perdendo lei è come se si fosse perso tutto quel senso di speranza nel futuro, accrescimento personale, familiare e professionale, nonché la voglia di migliorare se stessi ed ambire sempre più in alto, per essere delle persone migliori.

Massini conclude il suo libro con l’inquietante paradigma che tutti noi abbiamo almeno sentito una

volta per televisione, dove le persone di Taranto dicevano dell’Ilva “Uccide, certo, ma ci dà da vivere”.

Un frammento contraddittorio e disperato dell’idea del lavoro, che prima aveva un senso, rappresentava qualcosa di veramente importante e custodiva un vago sentore di origini preziose, ma che oggi è più vicino ad un ricordo lontano e sbiadito.

Francesca Tesoro