“L’alfabeto del leader” di Paolo Iacci

Paolo Iacci, autore di numerosi volumi di management e sviluppo delle risorse umane, professore dell’Università Statale di Milano, grazie alla casa editrice Guerini Next, ci regala un fantastico volume dal titolo “L’alfabeto del leader”.

Questo sorprendente libro, con una struttura piacevolmente schematica, mette nero su bianco concetti che diventano l’abbecedario di chi è o potrebbe ritrovarsi a capo di aziende e personale, qualsiasi siano le dimensioni dell’una e dell’altro.

Il lettore, quasi disarmato dalla semplicità di ciò che legge, si ritrova a comprendere concetti prettamente manageriali che non avrebbe mai osato capire, soprattutto se chi legge non è un manager né tantomeno è avvezzo alle linee politico-organizzative del fare impresa.

Decisamente uno scrittore fuori dal comune Paolo Iacci che, con singolare bravura, sfrutta le lettere dell’alfabeto come ossatura del volume rendendole i titoli di ogni capitolo, secondo il normale ordine conosciuto dai bambini fin dalla prima elementare.

Così, partendo dalla A ed arrivando alla Z, vengono enucleati attraverso favole,  storielle semiserie, leggende, massime e stralci di opere scritte in epoche diverse da autori diversissimi tra loro, quei concetti manageriali che dovrebbero essere conosciuti da tutte le classi dirigenti.

Iacci, usando questi stratagemmi, riesce a delineare in modo inesorabile la realtà aziendale, organizzativa e sociale di chi dovrebbe dirigerle.

Come scrive Gianfranco Rebora nella prefazione, l’autore “sa essere pungente, mordente, incisivo, ma riesce a svolgere questo ruolo con la leggerezza dell’ironia evitando la trappola del moralismo”.

In questo libro è il Manager al centro di tutto e diviene un condensato di concetti ad esso collegati.

“M come Merketing”

Si crede generalmente che il marketing sia una cosa strettamente moderna, legata al nuovo modo di fare impresa, ma in realtà non è così.

Uno dei primi casi di marketing, ci racconta Iacci, è stato quello della diffusione della patata originaria dell’America che quando fu importata dai Conquistadores in Europa non era per niente ben vista, per tutta una serie di motivazioni che io stessa ho scoperto leggendo il libro.

Ebbene,  ci vollero quasi duecento anni, ma da quando nel 1767 fu organizzata una grandiosa cena regale alla reggia di Versailles tutta a base di patate, alla presenza di nobili e illustri ospiti internazionali che nel frattempo erano stati istruiti per adornare se stessi e le proprie casate con i fiori di patata, questo tubero bitorzoluto fu sdoganato al punto tale che i raccolti furono depredati dalle folle. Il gioco era fatto.

“A come AAA (Classe Dirigente Cercasi)”

La sferzante ironia di Achille Campanile delle sue «Tragedie in due battute», uno stralcio del Libro dell’Inquietudine di Pessoa e il ritratto di Telemaco fatto da Recalcati, diventano gli strumenti per descrivere il sentimento delle imprese italiane. Al di là di ogni metafora, le nostre imprese sono alla ricerca di una classe dirigente capace, coraggiosa e progettuale che abbia l’autorevolezza di padri (i manager)  disposti ad assumersi la responsabilità del futuro dei propri figli (l’azienda).

“N come Navi (scuola)”

Questo è il capitolo che mi è piaciuto di più e mi permetto – l’autore non me ne voglia- di riportare per intero la storia che lo apre, anche se apparentemente sembra distaccato dal titolo.

Lo sciacallo, ritenuto un animale squallido perchè si nutre di carcasse altrui, ha fatto scuola sulla pelle del leopardo.

Il sillogismo tra questa storiella presa dal trattato di Artha Shastra sull’arte di governare e le navi scuola, è perfetto.

Iacci riconosce che uno dei problemi della società aziendale italiana è proprio la mancanza di queste così dette navi scuola che insegnino ai più giovani cosa significa e come deve essere un manager. Una volta, scrive l’autore nel proseguo del capitolo, l’azienda forgiava il proprio manager con uno stile talmente riconoscibile e inconfondibile che guardando la persona si capiva subito chi lo aveva cresciuto professionalmente. Oggi, la mancanza di questa volontà, diventa una debolezza tanto del pensiero manageriale italiano che del sistema produttivo ed economico, perdendo così la capacità di sedimentare il pensiero strategico e funzionale che – una volta – portava al successo le imprese italiane.

“A come AAA (Classe Dirigente Cercasi)”


Lo scrivano Bartleby di Herman Melville, ad un certo punto della sua vita professionale nello studio del notaio dove esercitava, ad ogni richiesta che gli veniva fatta, inizia a rispondere categoricamente, in modo assoluto e con ferma gentilezza «Preferire di no». Praticamente come dare un rifiuto assoluto e definitivo senza ulteriore possibilità di cambiare la cosa.

Bene, questa è in estrema sintesi l’aria che talvolta si ritrova nelle imprese italiane dove, tralasciando anche la crisi che può aver dato il colpo di grazia, c’è un profondo estraniamento umano tra i vari settori che compongono l’impresa stessa. Allora, se non c’è un riconoscimento profondo tra il lavoratore e la ”istituzione azienda” – e viceversa -, come si può pensare che ognuno possa considerarsi come unico e insostituibile per il successo di tutti?

“G come Governance”

Iacci parla di quattro leggi: la Legge di Murphy,  la Legge di Parkinson,  il Principio di Peter e le Leggi di Cipolla.

Non ho certo l’intenzione di svelarvi quale di queste leggi sia di chi, ma vi lascio con il dubbio di verificare personalmente come queste stesse leggi abbiano precisi e quotidiani riscontri in ogni organizzazione, nonostante siano considerati idioti passatempi quando invece hanno una sorprendente valenza e applicazione pratica. Soprattutto nelle aziende.

“E come Eudemonia”

Ammetto di essermi sentita un po’ ignorante leggendo questo libro, perché io, che ho frequentato il liceo classico, non avevo idea di cosa fosse l’Eudemonia.

Vi tolgo dall’imbarazzo e vi dico subito che, con questo termine, nella antica filosofia greca veniva indicata la condizione della ricerca della felicità quale fondamento dell’etica  e fine ultimo dell’esperienza umana.

Sapevate anche che questo concetto è espresso in maniera indiretta e in modo perfetto nella fiaba di Italo Calvino intitolata «La camicia dell’uomo contento»? Leggetela, è all’inizio di questo capitolo.

Filosofia greca e fiaba di calvino per dire cosa? Che gli imprenditori di oggi, arrivati ad un certo punto si fermano, vivendo di rendita e credendo di aver raggiunto il massimo. É l’inizio del declino e della perdita. Dovremmo essere tutti un po’ più “Eudomoniomici”.

“R come Retribuzioni”

Anche qui ho scoperto una storia che ignoravo, scritta da Jorge Luis Borges, tratta da L’Aleph, che parla di un re babilonese che chiamò alla sua corte i migliori maghi e architetti per costruire un labirinto talmente complesso che avrebbe convinto gli uomini prudenti a non sfidarlo. Allora un re degli arabi, dopo averlo provato si sentì talmente offeso e confuso da implorare l’intervento divino per salvarsi, dopo di che saccheggiò il regno di Babilonia e fece prigioniero il ‘collega reale’ per poi abbandonarlo nel proprio deserto.

Poco più avanti Iacci scrive che la storia di questi labirinti rappresenta una morale presente ed applicabile a moltissimi ambiti della nostra vita, individuale e sociale.

Così viene costruito e magistralmente spiegato il sillogismo di tutto ciò che ruota intorno alle retribuzioni, ai pericoli della stabilità dei conti aziendali, alle alluvioni normative in materia e a quei pochi punti fermi ancora presenti, nella speranza che le nuove impostazioni retributive  possano, si spera, ridare credibilità al ceto manageriale.

Ecco, sfruttando le sole parole che compongono la parola Manager, vi ho dimostrato la bravura di Paolo Iacci nel riuscire a veicolare, con il suo approccio interpretativo, i comportamenti diffusi nella quotidianità delle realtà aziendali, criticandoli e suggerendo, per ognuno di essi, una visione differente, trasformandoli in insegnamenti pratici di grande attualità.

In fondo Paolo Iacci, usa l’alfabeto e delle favolesche – più o meno – similitudini per arrivare ad un risultato preciso: spiegare quando e perché le imprese non funzionano.

Senza dimenticare, ovviamente, di dare qua e là suggerimenti semi seri che se correttamente interpretati, diventano una soluzione per il manager.

Ecco dunque, il Compendio semiserio per manager colti.

Francesca Tesoro