“Brittany Non si Ferma Più”: quando la perseveranza è la ‘chiave di svolta’

Nell’era della digitalizzazione di ogni cosa che ci circonda, può succedere che una famosissima piattaforma di e-commerce decida, ad un certo punto, di distribuire a livello mondiale film e serie tv, riscuotendo un ulteriore successo. Così, si può credere, sempre a livello personale, che su quella stessa piattaforma si possano trovare solo cose particolarmente sciocche o di livello medio basso e invece, può succedere, com’è successo, di trovare un film davvero interessante e, a dir poco, spettacolare, non certo per i suoi effetti speciali ma per il messaggio che riesce a trasmettere a chi, inconsapevole, lo sceglie tra i tanti.


“Brittany Non si Ferma Più” è il film di cui stiamo parlando, scritto e diretto da Paul Downs Colaizzo, uscito sulla piattaforma Amazon Prime Video il 15 novembre del 2019, che ha incassato nelle prime settimane di programmazione più di sette milioni di dollari vincendo il premio del pubblico al Sundance Film Festival 2019 come Miglior Film Drammatico Americano, anche se è stato presentato come una commedia.

Brittany è una ragazza irriverente e spensierata, ride e scherza con tutti al punto da farsi prendere molto poco sul serio da tutto ciò che la circonda, è abituata a passare le sue serate nei locali bevendo e incontrando gente, amica di tutti men che mai di sé stessa, incastrata in una vita davvero poco appagante. Fino a quando, avviene un incontro-scontro con un medico che, piuttosto che assecondare la sua richiesta di vedersi prescritto un farmaco per il deficit dell’attenzione da usare a scopo puramente ricreativo, la spinge a innescare un cambiamento profondo, anche se con un po’ di brutalità. Così Brittany, apre gli occhi su sé stessa e su quello che la circonda, decidendo di cambiare radicalmente. All’alba dei trent’anni si rende conto di essere molto lontana dalle sue aspettative, dall’amore della sua vita, dalla possibilità di sentirsi realmente felice e, quasi con un po’ di riluttanza – o forse più per il terrore di non farcela -, si pone il primo piccolo obiettivo di correre solo un isolato intorno casa. Partendo in modo un po’ goffo e maldestro, spaventandosi anche di incrociare gli sguardi della gente, arriverà a correre l’anello di Central Park, incontrando altri corridori che da nemici o sconosciuti diventeranno la sua più grande forza propulsiva e, alla fine, la sosterranno tifando per lei miglio dopo miglio quando si ritroverà a vivere il suo più grande obiettivo: correre la Maratona di New York.

Preparandosi per la maratona, tra alti e bassi, piccoli successi e fallimenti epocali, Brittany riesce letteralmente a rimettesi in piedi, riprogrammando interamente la sua vita.

Film nato sul divano di due amici e coinquilini, dove il primo –Paul Downs Colaizzo – vedeva la seconda – Brittany O’Neill– disperdersi in balia di una profonda crisi esistenziale, racconta la storia reale proprio di Brittany – anche se nella pellicola il congnome è cambiato in Folgler-, una donna che è passata da una vita sgangherata e senza soddisfazioni alla sua realizzazione massima, iniziando con un primo piccolo obiettivo: correre solo un isolato intorno casa.

Gli attori Jillian Bell, Utkarsh Ambudkar, Michaela Watkins, e Micah Stock, prestano le loro facce ai personaggi veri, incredibilimente veri, di questa storia reale rappresentando ognuno un aspetto differente della storia di Brittany.

Da quel primo passo, Brittany è cambiata letteralmente, ridisegnando la propria vita personale, lavorativa e professionale per raggiungere il suo grande obiettivo realmente appagata e felice, abbattendo tutti gli ostacoli e i pregiudizi che la riguardavano. E prima che con gli altri, l’ha fatto con sé stessa, diventando addirittura una personal trainer e nutrizionista che, ancora oggi, aiuta i propri clienti usando le proprie esperienze per motivare gli altri, oltre a svolgere il suo attuale lavoro focalizzato sull’organizzazione di aiuti umanitari.

Questo film, ma prima ancora l’intera storia di Brittany, rappresenta una parabola che parte da un’esistenza stagnante ed arriva ad uno straordinario successo personale.

Alla base di tutto però c’è la capacità della – vera – protagonista di mettersi in gioco: programmarsi un piccolo obiettivo e, con perseveranza, portarlo avanti facendolo aumentare smisuratamente.

Brittany, tanto quella reale che quella impersonata magnificamente da Jillian Bell, è la dimostrazione che si possono abbattere tutti i pregiudizi che incontriamo sulla nostra strada e le limitazioni e le difficoltà che ci troviamo a vivere, a volte anche per colpa nostra, quasi come se volessimo autosabotarci, impauriti dal mettere in pratica quel piccolo passo diverso dal solito che potrebbe cambiarci la vita in modo esistenziale oltre che essenziale.

La “vera” Brittany durante la Maratona Di New York

Il cambiamento è qualcosa che sicuramente può far paura e può spaventare, facendoci sentire inadeguati e non pronti.

Il sacrificio necessario per ogni cambiamento potrebbe bloccarci perchè significherebbe perdere troppo di sé.

La perseveranza e la forza di volontà diventano, paradossalmente, i nostri più grandi nemici quando siamo dietro la porta con la mano quasi sulla maniglia e non riusciamo ad uscire fuori per iniziare, trasformandosi poi nei nostri più grandi alleati, insieme al sacrificio e al cambiamento, per arrivare dove avevamo deciso.

Se poi, per nostra fortuna troviamo anche qualche compagno che ci segue in questo straordinario processo, allora oltre che essere realmente fortunati, avremo una marcia in più per arrivare al nostro più grande obiettivo. Qualsiasi esso sia.

La corsa non la fai per vincerla, ma per finirla” è l’assunto di estrema semplicità e profondità che spinge Brittany a iniziare a correre e non fermarsi più perchè, in fondo, non ha iniziato a correre contro qualcun altro, ma lo ha fatto per migliorare sé stessa e la sua vita. Riuscendoci.

Francesca Tesoro

The founder: tratto da una storia vera

The Founder, è un film uscito nelle sale nel gennaio del 2016, tratto da una storia vera e che il regista John Lee Hancock ha saputo e voluto adattare al grande schermo molto bene, senza preoccuparsi eccessivamente di mettere in scena tutta la malignità di un uomo realmente vissuto, nonostante il seducente, familiare e pacato volto di Michael Keaton ad interpretarlo.

Nell’America degli anni cinquanta, come fa un uomo ultracinquantenne, a trasformarsi da venditore di frullatori per milkshake, anche un po’ sfigato, ad imperatore di fast food con un fatturato di milioni di dollari?

Attraverso, una perseveranza fuori dal comune, figlia anche di una decisa ma latente spietataggine, dovuta ai troppi insuccessi ed agli innumerevoli fallimenti che lo hanno condotto in giro per il paese tentando e non riuscendo nella vendita di frullatori per gli innumerevoli drive-in tanto in voga in quel periodo.

Fino alla telefonata con l’ufficio dove lavora e la richiesta da parte di un drive-in di San Bernardino in California per acquistare otto frullatori di quelli che nessuno voleva comprare prima e tutto cambia con la scoperta di un mondo. Ray Kroc (Micheal Keaton) parte con la sua auto per attraversare l’intera America e ritrovarsi di fronte al drive-in questione: un locale all’incrocio tra due strade, una fila immensa, una signora gentile che gli dice di non preoccuparsi per l’attesa perchè sarà breve. La sua incredulità aumenta quando nel giro di pochi secondi e per la modica cifra di 35 centesimi, gli viene servito il pranzo appena ordinato, il tutto nella cordialità più spumeggiante del giovane impiegato che riesce anche a consigliargli dove mangiarlo. E Ray mangia quel panino seduto su una panchina, con le patatine e la bibita nel sacchetto di carta, guardandosi esterefatto intorno, dove gente di tutte le età mangia i panini, assaporandoli come se fossero i più buoni sulla faccia della terra riuscendo, addirittura, a condividere la seduta di una stessa panchina.

Esterefatto, finalmente incontra uno dei due fratelli che hanno inventato questo sistema a cui deve presentare i frullatori da vendere e scopre la cucina del locale.

Piccola, concentrata, efficiente, dove la parola d’ordine è velocità, nella quale ognuno dei lavoratori ha un ruolo preciso e dove tutto è precisamente fatto su misura, dalla quantità di senape alla cipolla, alla bibita nel bicchere, con l’hamburger che corre velocemente lungo il suo percorso ed è assemblato dalla griglia al bancone in trenta secondi.

Ray, estasiato, aiuta addirittura in quel frangente i due fratelli a trovare la quadra sulla cottura delle patatine e decide di invitarli ad una cena per conoscere la loro storia.

I due fratelli (Nick Offerman e John Carroll Lynch) raccontano così come è nata la loro idea, frutto di periodi passati senza soldi e difficoltà per mettere in tavola la cena e di come abbiano avuto l’intuizione di aprire un chiosco, quel chiosco che nel 1940 è il primo Barbeque McDonald. Parlano del successo iniziale e dell’arrivo dei classici problemi dei drive-in, dalla clientela alla lentezza del servizio, dagli errori nella consegna degli ordini alle spese per il personale o i materiali.

In quel tempo l’87% dei prodotti alimentari venduti da asporto erano hamburger, patatine e bibite e la loro hanno intuizione geniale: togliere tutto quello che rallenta, dal personale alle vettovsaglie, dai juebox ai distributori di sigarette, per riconfigurare una attività e rischiarsela tenendola chiusa per mesi. Ricordano di come l’hanno disegnata su un campo da tennis, provando spazi e posizioni, movimenti e passaggi, creando un assurdo balletto degli hamburger, fino a trovare quelli perfetti e vincenti.

Parlano con entusiasmo del primo esperimento di cibo espresso, partito con un fallimento – secondo loro -, perchè la gente non era abituata a scendere dalla macchina per mangiare un panino ma ad aspettare le cameriere che portavano i loro vassoi sui pattini, alla seconda grande inaugurazione, anche quella diventata una scena desolante e surreale.

Parlano della voglia di mollare tutto per ricostituire il classico drive-in e della scoperta di essere diventati famosi grazie ad un bambino che, quando stavano pensando di chiudere tutto, chiede alla finestra di servizio i panini formato famiglia facendogli notare le prime macchine che arrivavano nel parcheggio perchè si era sparsa la voce del nuovo modo di mangiare panini.

Kroc immediatamete ci vede lungo e propone ai due fratelli una affiliazione, per esportare il loro microsistema di cibo espresso in tutta l’America.

I due fratelli all’inizio non ci credono abbastanza, Ray li tartassa, li convince, li accompagna e li asseconda in questo processo di allargamento del piccolo Barbeque McDonald ex drive-in trasformandolo nella nuova chiesa americana, aperta sette giorni su sette, alla portata di tutti con sedi da costa a costa del continente.

Mac non è convinto e non vuole crederci fino in fondo, Dick invece è persuaso del contrario e decidono di stringere un contratto con il lungimirante Ray per creare una nuova azienda, unica, originale e totalmente innovativa senza eguali in tutto il settore della ristorazione.

Tuttavia, ben presto, Kroc diventa estremante ambizioso al punto da mettere da parte tutto e tutti – compresa la propria famiglia – e i fratelli McDonald, troppo ancorati alle loro idee originali e non abbastanza pronti a sostenere i cambiamenti proposti dal tenace socio, impauriti dal non poter mantenere i loro altissimi standard di qualità, si lasciano sfuggire l’occasione.

Così Ray Kroc, spicca il volo facendo proprio e usando l’efficiente sistema dei fratelli McDonald, spietatamente e in modo disgustoso, appropriandosi di qualcosa di geniale per niente suo, diventando per il mondo, l’inventore e l’imperatore del fast food più famoso della storia e che ancora oggi ritroviamo in qualsiasi angolo della terra, ma solo dopo aver rotto quel famoso contratto nel modo più infimo possibile: creando una società parallela, autonoma ed esterna al sistema della ristorazione contro la quale i due fratelli non possono fare più nulla, arrivando addirittura a perderne il nome.

Da quel momento in poi, Ray altro non è che la dimostrazione lampante del capitalista spietato nella sua lungimiranza e nella sua perseveranza, pronto a tutto pur di arrivare al suo obiettivo e di fare profitti perchè “un contratto è come un cuore e può essere infranto”, anche se questo significa passare sul cadavere del proprio matrimonio e togliere la sedia da sotto le gambe di chi aveva inventato il sistema di cibo espresso.

L’unico merito di Kroc è stato quello di aver inventato un concetto, quello di vittoria, perchè il mondo degli affari è un mondo spietato dove ogni momento è visto e vissuto come una guerra.

Perché è una questione di logica. Se si incrementa l’offerta, la domanda arriverà, ci vuole brillantezza per arrivare lontano – dice lo stesso protagonista – , nonostante tutte le fermate inattese che si possono ritrovare sulla propria via.

Ci sono molti segnali che bisogna saper cogliere, saper scegliere e soprattutto mettere in pratica.

Niente al mondo può sostituire la perseveranza, neanche il talento o il genio o l’intuizione, che addirittura diventano meri luoghi comuni. Il mondo è pieno di cretini istruiti e proprio in questo mondo la perseveranza e la determinazione sono onnipotenti e utili a far raggiungere i propri obiettivi. Non è una formula magica, ma è dentro di noi che possiamo costruire il nostro futuro, cambiando la nostra vita e modificando il nostro atteggiamento mentale, per raggiungere la serenità e il successo – recita un disco trovato in una camera di un desolato motel, ascoltato in un momento di depressione del protagonista all’inizio della pellicola.

Ray Kroc rappresenta un animale sociale, utilitaristico, con la parlantina da imbroglione e il sorriso da venditore sempre pronto e vincente, sua arma preferita per aggredire i suoi soci per spodestarli, capace di trasformare la loro forza e disperazione in guadagno per sé stesso, consapevole che senza di loro avrebbe fallito, anticipando le mosse di quelli che sono diventati presto degli avversari.

Niente a questo mondo può sostituire la perseveranza, per cui, siate voi il Ray Kroc della situazione e mai i fratelli Mac e Dick McDonald che avevano inventato un impero e si sono ritrovati con un pugno di mosche in mano.

Francesca Tesoro