“Ricominciare dalla Crisi”: un libro inaspettato

Ricominciare dalla crisi”, a cura di Massimo Orlandi e Paolo Ciampi, edito dalla Romena – Casa Editrice, quinta edizione della collana “Le parole e il silenzio”, è senza dubbio un libro inaspettato.

Inaspettato, prima di tutto perché lo abbiamo incontrato nella foresteria di un monastero ed era stato scelto per altro, invece, leggendolo ci si è rese conto che avrebbe dovuto avere uno spazio in Sistema Generale.

Inaspettato, per ciò che racchiude. In realtà questo libro, è la sintesi di un viaggio fatto di incontri che – nello specifico di questo titolo – sono avvenuti nel 2011 in alcuni dei luoghi più suggestivi del Casentino, permettendo ad un pubblico divenuto sempre più numeroso, di interfacciarsi con – cinque, per la precisione – presenze autorevoli e diverse per sognare con occhi nuovi e ridare slancio al quotidiano.

Inaspettato, per le tematiche affrontate e le personalità con cui si sono svolti gli incontri.

Le riflessioni riportate nel volume sono quattro, non con l’intento di recriminare e replicare talk show già visti che parlassero, indagando, la grande crisi economica di inizio secolo, ma con l’obiettivo di analizzare la possibilità del futuro e dei suoi bisogni, descrivendolo come un ragionevole punto di riferimento, attraverso speranze, valori e idee.

Le personalità che hanno fatto parte di questo viaggio, invece, sono assolutamente diverse tra loro ma decisamente complementari.

Silvia Ronchey, storica bizantinista e docente di filosofia classica e civiltà bizantina all’università di Siena, ha partecipato all’incontro che ha preso il titolo “La storia Siamo Noi”. Pier Luigi Celli, laureato in sociologia, imprenditore e dirigente d’azienda che per molto tempo ha gestito incarichi di direzione delle risorse umane, è stato direttore generale dell’università Luiss Guido Carli ed ha affrontato la “Fame di Futuro”.Vandana Shiva– ecologista, attivista, scienziata e filosofa – e Wolfgang Fasser – musico terapista e fisioterapista, non vedente – hanno invece parlato del “Ritorno alla Terra”.Roberto Mancini, docente di filosofia teoretica all’università di Macerata, ha dato una lettura diversa della crisi, completando il volume con l’ultima sezione intitolata “Più Forti della Crisi”.

La storia Siamo Noi”

Silvia Ronchey, durante il suo incontro avvenuto nell’aprile del 2011, ha parlato del passato, sicuramente per la sua identità di storica, ma soprattutto perché conoscere la storia non è solo prezioso, ma necessario, essendo l’impalcatura del nostro presente.

Guardare al passato per migliorare il presente, ha un valore provocatorio, ma un fondo di verità. Del resto, non si può ragionare senza considerare che l’esperienza del passato e l’impalcatura del presente – o del futuro – possono reggersi solo su una solida memoria che assicura realtà e consistenza. Studiare il passato, analizzarlo ed elaborarlo nella sua complessità, come dice la Ronchey, è necessario per avere un futuro. Si progredisce attraverso la bellezza della ricerca che è come un cammino, sicuramente faticoso, ma che produce cambiamenti tanto internamente quanto esternamente. Ed anche se l’epoca attuale condiziona la – nostra e personale – ricerca storica, la storia  fa il presente e un bravo storico deve comportarsi un po’ come un giudice che in modo obiettivo ascolta e determina l’istruttoria. È indubbio che la storia divenga un veicolo di cambiamento, soprattutto in un periodo come quello di oggi – nel nostro 2019 più che mai – dove la globalizzazione e la velocità delle informazioni ci distraggono, di deviano, ma soprattutto abbassano violentemente la nostra soglia di attenzione facendoci perdere la bellezza di un percorso di apprendimento meditato.

Fame di Futuro”

Una delle prime domande che si è sentito porre Pier Luigi Celli nel maggio del 2011, è stata quella di uno studente che gli ha chiesto se fosse meglio seguire i propri sogni o se, al contrario, era meglio metterli da parte scegliendo un atteggiamento più pratico e quindi preferire un indirizzo universitario che garantisse un lavoro.

Tanto allora quanto oggi, lo stato d’animo della generazione ricompresa tra il post liceale e il “lavoro stabile”, è ancora di un grigio scuro che non sta bene a chi avrebbe tutte le forze e la voglia di spingere fino in fondo sull’acceleratore dei sogni.

Siamo di fronte a un paese distratto che ha poca cura dei giovani, dei loro bisogni, delle loro necessità e del loro futuro. Siamo di fronte ad una generazione che si sente tradita. E proprio sull’onda di questo tradimento, reiterato aggiungo io, Pier Luigi Celli ha rivolto ai giovani un appello: riprendersi in mano il destino che gli è stato sottratto smontando qualche luogo comune sulla ricerca del lavoro.

I giovani non possono permettersi di demordere ed anzi devono puntare sulle qualità apparentemente poco valutate e valorizzate: la curiosità, l’entusiasmo, le proprie passioni.

Quelli che sono giovani ma ce l’hanno fatta, sono coloro che hanno avuto spazio, quelli che sono stati messi nella condizione di sbagliare e rischiare, perchè un problema dei giovani di oggi è che, se nessuno si prende cura di loro e li aiuta ad ambientarsi nei vari ambienti che vivono e non li sostiene nei progetti che fanno o nelle idee che hanno, non sapranno da che parte andare. E questa responsabilità spetta agli adulti. Celli lo dice chiaramente e senza mezzi termini. Conoscere le persone e parlare con loro significa guardare oltre la radiografia che rappresenta il cv di quella stessa persona e viceversa. È parlando e conoscendo le persone che ci si rende conto della loro storia e delle capacità che lo renderanno adatto o meno al ruolo. È una cosa di una importanza fondamentale. Perchè siamo uomini e donne fatti non solo di razionalità, di sapere e competenze, ma anche di sentimenti e passioni che sono il nostro motore animativo e che concorrono a completare e determinare il nostro modo di essere.

Per fare il manager, ci ricorda Celli, o qualsiasi ruolo per il quale si immagini che ci sia qualcuno al di sotto della nostra catena operativa, c’è bisogno di una testa larga, generosa, pensante. È necessario un pensiero critico che analizzi le cose prima di farle e che se ne chieda il senso. Invece, siamo stati costretti a sviluppare un pensiero altamente operativo, tecnico, immediato e produttivo che ci porta a fare le cose meccanicamente e senza chiederci il senso.

E ancora, nella discussione sono emersi altri due concetti che oggi affrontiamo sempre di più perché ci rendiamo conto che vengono meno e, invece, potrebbero diventare la soluzione per superare questa crisi sistemica nella quale ormai ci siamo impantanati: i “cervelli” che scappano altrove e lo spirito di gruppo, che si intrecciano tra loro.

La fuga dei cervelli, il problema importante non è che li perdiamo e basta, è che per quanto possano scapparne dall’Italia non ne importiamo abbastanza per creare quell’auspicabile scambio e ricambio culturale, perchè fondamentalmente, perdiamo i migliori che non trovano soddisfazione – non solo economica – nel loro paese.

Allora, una soluzione per affrontare la crisi, secondo Celli, sarebbe quella di alimentare un numero di persone sempre maggiore che vogliono provare a superarla questa crisi, dove alcuni falliranno, altri riusciranno, altri ancora daranno vita a cose diverse. Ma questo sarà possibile solo quando si riuscirà ad insegnare ai nostri ragazzi a essere imprenditori di se stessi e a porsi meglio sul mercato, riuscendo a negoziare la propria competenza.

D’altronde, se si mettono i ragazzi nella condizione di poter fare qualcosa, loro lo fanno e lo sanno anche fare bene, ma bisogna assumersi il rischio di lasciarli fare.

In gruppo è meglio, perchè ognuno ha qualcosa di diverso da mettere in pratica e ci si completa a vicenda. Ma il mondo del lavoro è cambiato tantissimo e la prima difficoltà è quella di prendere coscienza e consapevolezza che da soli non si va lontano, al contrario e a qualsiasi livello la propensione a giocarsi la propria vita in solitaria è cresciuta tantissimo.

Ritorno alla Terra”

Due percorsi estremamente differenti collegano queste due personalità così simili: Vandana Shiva ecologista, attivista, scienziata e filosofa, icona mondiale delle battaglie per la difesa della biodiversità e Wolfgang Fasser musico terapista e fisioterapista, non vedente, che predilige uno stile di vita essenziale a cavallo tra la toscana e il Lesotho dove pratica la professione in favore dei più deboli. Ciò che li accomuna è il sentimento che la terra è il “luogo dove la vita ci parla” e l’idea che per affrontare i guasti del presente, non serve chissà quale medicina ma un atteggiamento ben preciso: sgonfiare l’ego dell’uomo, chiedendogli di abbassarsi quanto basta per tornare a sentire la voce della terra.

Per noi, questi concetti potrebbero sembrare completamente lontani da qualsiasi logica. E invece è il contrario. Hanno ragione quando sostengono che sia necessario creare una cultura alternativa, fatta di rispetto per noi e per il futuro di chi verrà, della natura e del nostro pianeta, per la biodiversità. Vandana Shiva ci ricorda che dovremmo prendere anche un po’ esempio da questa biodiversità che è intelligente, creativa e che fa moltissimo per noi. Come dovremmo abbandonare l’illusione della crescita economica legata alla realtà dell’abbondanza che esiste nella normale concezione di tutti.

Hanno ragione entrambe quando dicono che la natura è oramai vista solo come una fonte materiale da sfruttare per interessi economici e non come colei che produce la capacità creativa degli esseri umani. La natura è la prima grande maestra che ci insegna, ci fa capire chi siamo ed è tanto piena di analogie con ogni singolo individuo che, solo mettendoci in suo ascolto, potremmo capire semplicemente la vita aiutando le persone a riscoprire la loro capacità di ascolto.

Come in natura la diversità è una ricchezza nelle relazioni, la stessa cosa dovrebbe essere tra i suoi abitanti, riuscendo a rivisitare e riesaminare tutte le idee della ricchezza, dell’economia, delle comunità e delle relazioni, abbandonando l’ossessione per i soldi che oscura la vita di comunità e le sue relazioni.

Più Forti della Crisi”

Roberto Mancini è un filosofo per il quale la filosofia significa saper leggere le logiche di costruzione dell’esperienza della vita individuale e della società. È il tentativo di decifrare le logiche di costruzione dell’esperienza, permette di non essere dominati da logiche che non si conoscono e di cui nemmeno ci si rende conto. Per quanto possa sembrare assurdo, l’essere umano è in continuo movimento e la filosofia è concreta, è coltivazione della sensibilità e della lucidità necessaria in questo movimento perpetuo.

La crisi della nostra società, non è una crisi sorta solo sull’onda del crack delle banche e dei mutui americani, è la rappresentazione di un sistema che non ha – più – i fondamenti di giustizia e che quindi produce, vive e fabbrica crisi a ciclo continuo. Parliamo di un sistema che ha dimenticato completamente il senso, il significato e il valore del fattore umano – ricordate ? – dove le persone non sono più tali ma diventano, a seconda dei casi, risorse o esuberi. Un sistema che ha messo da parte qualsiasi modo di intendere la vita che non sia legato all’economia, che ha dimenticato la differenza tra un fine da raggiungere e uno strumento per raggiungere il fine, un sistema che ha dimenticato di riconoscere la dignità delle persone, delle relazioni del mondo naturale.

E siccome le crisi sono tutte senza memoria, il primo passo dovrebbe essere proprio quello di recuperare la memoria delle crisi che nel passato si sono verificate, perchè siamo pronti a cercare le soluzioni alle crisi, ma dimentichiamo sempre di analizzare le cause che le hanno generate. Abbiamo perso il senso della bellezza del radicamento etico e dell’orientamento interculturale, nel nostro agire e nel nostro essere.

Roberto Mancini durante il suo incontro avvenuto nell’ottobre del 2011, ha citato sorprendentemente Simone Weil, quando ha detto “una civiltà fondata su una spiritualità del lavoro sarebbe il grado più elevato di radicamento dell’uomo nell’universo”.

Abbiamo dimenticato uno dei bisogni ancestrali dell’uomo, quello di poter convivere in un ordine armonico interiore, sociale, civile, con la natura, perchè l’uomo e la donna sono fatti di relazione ma ci siamo lasciati convincere che invece siano solo re(l)azione.

Nell’armonia si sviluppa la libertà ed è un dato di fatto che intelligenza della speranza, metodo e l’integrità delle persone, sono tre elementi fondamentali e ricorrenti che troppo spesso vengono messi da parte. Bisognerebbe uscire dalla logica di isolamento e competizione, risvegliando in noi la corresponsabilità del mondo comune e per la cura dell’integrità delle persone.

Ciò che ci vuole, è il cambiamento ed è un processo che richiede diversi passaggi.

Primo, il risveglio: riconoscendo che le logiche dominanti non sono adeguate, il mondo sarà cambiato quando le persone si renderanno conto che saranno felici e si prenderanno cura degli altri.

Secondo, la creazione di zone franche dove non contano più le cose materiali ma si da vero valore e peso alle persone.

Terzo, cambiare la nostra esistenza quotidiana, recuperando il buon funzionamento della vita sociale, l’educazione, l’economia, la politica e l’informazione di un tempo.

Il cambiamento è ostacolato dallo sguardo e dal cuore chiuso con cui ogni mattina affrontiamo quel pezzo di vita. Ognuno di noi ha una serie di doveri, dare peso e valore alla nostra libertà, al nostro percoso, alla nostra dignità e non lasciare, mi permetto di concludere, che il primo sciacallo incontrato sulla via ci convinca di tutt’altro, riuscendo magari anche a farci cambiare idea, atteggiamenti e convinzioni.

E di questi sciacalli ne sono piene le pagine di giornale, i telegiornali e le strade.

Buona lettura!

Francesca Tesoro