“Che vuoi che sia”: mai sfidare il ‘Popolo di Internet’

È senza confini e senza guida. O meglio, troppo spesso va dove lo porta il vento. A volte si infervora come quello che prese la Bastiglia, altre si lascia chiudere gli occhi come in balia di una mano invisibile e, da quando ha la possibilità di incontrarsi e confrontarsi su piazze virtuali efficaci e spietate come i Social Network, è meglio cercare di farselo amico. Stiamo parlando del cosiddetto “Popolo di Internet”, una nuova nazionalità transnazionale, senza cittadinanza e senza passaporto, ma anche senza regole, di cui tutti facciamo parte, sia come esseri umani, sia come lavoratori.

La disavventura in cui si trovano invischiati Claudio e Anna, protagonisti del film “Che vuoi che sia”, diretto da Edoardo Leo, che veste anche i panni dello stesso Claudio, rappresenta alla perfezione il predominio e, allo stesso tempo, la dipendenza di tutti noi da questo strano popolo virtuale, sia nella vita di tutti i giorni, sia per la realizzazione in ambito lavorativo. Con una commedia esilarante, talvolta ai limiti del grottesco, Edoardo Leo e Anna foglietta rappresentano una coppia di giovani italiani come tante, incastrate tra la volontà di metter su famiglia con tutti i crismi e il desiderio di lavorare in autonomia, realizzando progetti per i quali hanno studiato e fatto sacrifici. Mentre Anna è un’insegnante (precaria, che ve lo dico a fare) Claudio è un ingegnere informatico che conosce bene i computer e le dinamiche della rete ed è convinto di dominarle con successo. Ma, quando in seguito a un colloquio di lavoro, gli viene proposto di dare il via a un crowdfunding per verificare quanto il suo progetto risponda alle esigenze dei consumatori, si trova disorientato dal poco riscontro che trova. La sua idea è creare un’App, Lavoro Advisor, che permetta di mettere in comunicazione domanda e offerta di lavoro col semplice uso dello smartphone, un progetto lodevole, ma che sembra non bucare lo schermo del Pc, come si dice, per cui ben pochi sono disposti a dargli fiducia e, di conseguenza, fondi volontari.

Deluso e dispiaciuto, dopo essersi ubriacato a una festa assieme ad Anna, Claudio registra un video che mette online, nel quale sfida apertamente il popolo della Rete: se inizierà ad accumulare abbastanza soldi, oltre a realizzare il suo progetto di lavoro, farà un video hard assieme all’ignara Anna e lo metterà sul Web. Quella che, complice l’alcol, sembrava solo una goliardata da adolescenti, la mattina dopo è già diventata virale e l’interesse e la curiosità del popolo di Internet si scatena. In molti iniziano a donare cifre sempre più alte e anche l’attenzione degli altri Media, in primo luogo della Televisione, non fa altro che ingigantire le conseguenze di ciò che Claudio ha fatto. Anna, inizialmente sconvolta, viene sospesa da scuola, ma poi finisce per convincersi che, pur di realizzare il sogno di una stabilità economica e anche di una famiglia, è disposta a dare in pasto al pubblico un episodio della propria intimità con Claudio, anch’egli sempre più deciso a non tirarsi indietro, fino a un sorprendente epilogo.

Il quesito di fondo, filo conduttore di tutta la pellicola impregnata di un umorismo e di un senso pratico squisitamente italiani, è fin dove siamo disposti a spingerci per realizzarci, sia nella vita lavorativa, sia in quella privata? In tempo di crisi e precarietà economica, si sa quanto questi aspetti dell’esistenza siano binari che, affinché il treno della vita non deragli, devono correre parallelamente senza intoppi: senza incontrarsi, ma anche senza scontrarsi irrimediabilmente, come probabilmente accade a Claudio e Anna.

Per quanto riguarda il mondo del lavoro, oltre al senso di instabilità che il nostro cinema italiano è ormai maestro nel raccontare, anche con un sorriso amaro, è interessante analizzare lo spirito critico con cui si illustrano metodologie che all’estero hanno permesso a molti imprenditori senza mezzi di realizzare i propri sogni, creando realtà lavorative oggi solide. Crowdfunding, Social Network e Web in generale, infatti, più che un luogo di incontro per essere sostenuti e aiutati anche a livello economico, per mettere in piedi un progetto lavorativo alla portata di tutti, sembrano mostri mitologici interessati solo al sesso e al pettegolezzo che chiedono uno scotto da pagare decisamente in contrasto con la dignità dell’individuo, sottolineando quanto il nostro Paese sia impreparato e, in un certo senso, indifferente a certe dinamiche di democrazia e meritocrazia 3.0.

Fortunatamente, a volte, sia per quanto riguarda la nostra vita privata, sia per quanto riguarda le nostre ambizioni lavorative, ci pensa le realtà a spezzare le catene del virtuale, grazie alle sue imprevedibili leggi non scritte e al ruolo imprescindibile del nostro libero arbitrio. Anche perché ciò che in Rete è virale oggi, domani (forse) sarà dimenticato grazie a qualcosa di ancora più virale…

Alessandra Rinaldi

“Il complesso di inferiorità” di Enrico Mattei

“Io proprio vorrei che gli uomini responsabili della cultura e dell’insegnamento ricordassero che noi italiani dobbiamo toglierci di dosso questo complesso di inferiorità che ci hanno insegnato, ovvero che gli italiani sono bravi letterati, bravi poeti, bravi cantanti, bravi suonatori di chitarra, brava gente, ma non hanno le capacità della grande organizzazione industriale. Ricordatevi, amici di altri paesi: sono le cose che hanno fatto credere a noi e che ora insegnano anche a voi. Tutto ciò è falso e noi ne siamo un esempio. Dovete avere fiducia in voi stessi, nelle vostre possibilità, nel vostro domani; dovete formarvelo da soli questo vostro domani. Ma per fare questo è necessario studiare, imparare, conoscere i problemi”.

Queste parole, ancora così attuali, sono state pronunciate nel 1961 da Enrico Mattei, uno dei più importanti industriali italiani del secondo dopoguerra, partigiano e fondatore dell’Eni nel 1953, in occasione dell’apertura dell’anno accademico della Scuola di studi superiori di idrocarburi di San Donato Milanese. Questo e molti altri famosi discorsi dell’imprenditore marchigiano sono stati raccolti nel libro che prende proprio il titolo di “Il complesso di inferiorità”, Edizioni di Comunità ed è il terzo volume di Humana Civilitas, una collana che mette insieme una serie di brevi testi che testimoniano il pensiero di grandi personaggi, donne e uomini, che hanno reso ricca la Storia del nostro Paese nel secolo scorso.

Di famiglia semplice e con un passato da operaio, dopo aver frequentato con profitto l’università, Mattei ricopre un ruolo importante nelle fila partigiane a partire dal 1943. Quando, dieci anni dopo, fonderà l’Eni, Ente Nazionale Idrocarburi, avrà fin da subito l’intenzione di mettere in atto un modello innovativo di cooperazione energetica tra Stati, stringendo accordi che hanno minato il predominio delle cosiddette Sette Sorelle, le più note e forti compagnie petrolifere angloamericane. Appassionato di arte e attento alla formazione e alla ricerca di sempre nuove forme di energia, il lavoro di Enrico Mattei si è interrotto bruscamente quando è rimasto ucciso il 27 ottobre 1962 in un incidente aereo, ma il suo approccio rivoluzionario è ancora vivo nel ricordo di chi, negli anni successivi e fino ad oggi ha cercato di seguire le sue orme e il suo esempio, e lo dimostra l’attualità dei suoi discorsi. 

Al di là delle posizioni politiche e delle mosse imprenditoriali, ciò che colpisce è la volontà di riscatto che l’industriale cerca di comunicare con le sue parole di incoraggiamento e di lode verso il popolo italiano, da nord a sud, spingendosi anche oltre i nostri confini, verso l’Africa, visti i rapporti intensi legati all’uso delle materie prime necessarie allo sfruttamento dell’energia.

I concetti di dignità, collaborazione e affrancamento, sono, secondo Mattei, valori che accomunano i nostri popoli, entrambi sottovalutati sul mercato e, spesso, anche sul piano politico internazionale. L’unico modo per uscire dalla spirale dello sfruttamento è fare dell’autonomia e della fiducia verso il futuro una dote su cui lavorare concretamente attraverso il confronto. A tal proposito la preparazione, lo studio e la ricerca sono elementi fondamentali come i mattoni per costruire un futuro migliore, anche oggi.

Alessandra Rinaldi

“Che fine ha fatto il futuro?” di Marc Augé

Mai come in questo periodo storico, in tutto il mondo occidentale, il concetto di futuro e, soprattutto, la sua percezione, sono mutati a tal punto, da stravolgerne ogni parametro. 

Marc Augé, antropologo francese, africanista di formazione, è stato precursore e, in un certo senso, quasi premonitore di questa rivoluzione che sembra andare oltre il tempo e lo spazio, in particolare col suo testo “Che fine ha fatto il futuro?”, uscito in Italia dieci anni fa per la Casa Editrice Eléuthera.

Le riflessioni che ci ha suggerito questo testo, a tratti cinico, a tratti lirico, a tratti estremamente tecnico, pur nel suo stile scorrevole, ma anche complesso, visti i tanti riferimenti storici, artistici e filosofici, non riguardano solo il concetto di futuro, ma anche quelli di progresso e di economia che, come i due carabinieri che tengono stretto il Pinocchio di Collodi, hanno catturato, in un certo senso, le nostre naturali speranze verso il futuro stesso. Ben prima che iniziasse questa crisi economica che ancora ci attanaglia tutti e ci ha portato alla recessione, Augé ha fatto riflessioni profonde sulla globalizzazione e sugli stravolgimenti economici, soprattutto nel mercato del lavoro e nella sua percezione da parte dei cittadini, da un lato sempre più proiettati verso l’aspirazione ad una ‘cittadinanza mondiale’, dall’altro, forse, incapaci di sostenerne le molteplici difficoltà e la necessaria tolleranza. Per quanto riguarda il concetto di progresso, soprattutto da trenta o quaranta anni a questa parte, l’ingresso a gamba testa di tecnologie sempre più avanzate, sia nella nostra vita quotidiana, sia nei nostri luoghi di lavoro, ha causato un terremoto nella nostra percezione emotiva dell’esistenza, imprigionandoci in un immobile presente per cui è difficile, da un lato ricordare il passato (anche quello più recente) imparando da esso, dall’altro avere fiducia in un futuro migliore, avendo speranza, ma anche volontà di costruirlo adeguatamente.

Come mai questo oggi smemorato e cinico ci possiede a tal punto, si domanda Augé? Viaggiando attraverso il tempo e lo spazio, ma anche attraverso culture e popoli, luoghi e nonluoghi, come li definisce l’autore stesso, egli traccia possibili “cure” a questa “malattia” del nontempo che, come nell’effetto domino, potrebbero trovare efficacia in ogni aspetto della nostra vita, dalle relazioni, ai posti di lavoro, passando per la razionale capacità di affrancarci con spirito critico dai nostri modelli di riferimento creandone di nuovi per le future generazioni. Modelli che abbiano forti radici nel passato e rami rigogliosi, proiettati verso l’orizzonte futuro.

Una delle speranze che suggerisce Augé sta nell’educazione e nella scuola, il più possibile democratica e accessibile a tutti, in grado di formare adulti, ma anche professionisti ed esperti capaci di far comprendere a tutti l’importanza dell’eguaglianza, soprattutto nella comunicazione, anche politica.

“La vera democrazia passa per una chiara definizione delle relazioni egualitarie tra tutti gli individui, tra tutti gli uni, chiunque siano, e tutti gli altri, chiunque siano. Oggi ne siamo ancora bel lontani. Ed è questa la ragione per la quale gli appelli alla violenza, quale che sia l’ideologia che li ispira, avranno sempre un’eco tra i più sprovveduti. Così non è vietato all’antropologo, che cerca di osservare ciò che è, suggerire ciò che potrebbe essere se fosse restituita una finalità al linguaggio politico e se si prendesse finalmente alla lettera l’ideale spesso proclamato dall’istruzione e dalla scienza per tutti. Bisogna pensare al plurale, certo senza dimenticare che non è l’individuo che è al servizio della cultura, ma sono le culture che stanno al servizio dell’individuo”.     

Alessandra Rinaldi

“Shareable! L’economia della condivisione” a cura di Tiziano Bonini e Guido Smorto

L’economia della condivisione o sharing economy è oggi una realtà in forte sviluppo anche nel nostro Paese. Oltre a un sistema economico rivoluzionario che si genera dalla collaborazione tra pari, l’economia della condivisione sta diventando, in molte parti del mondo, un vero e proprio stile di vita, un modo di pensare e di organizzare la propria quotidianità contando sul prossimo, ma anche mettendosi a disposizione del prossimo stesso. Car sharing, bike sharing, home sharing, crowdfounding, co-working e molti altri termini presi in prestito dalla lingua inglese sono parole ormai di uso comune anche per noi, un po’ per sentito dire, un po’ per esperienza diretta.

In “Shareable! L’economia della condivisione”, Edizioni di Comunità, Guido Smorto e Tiziano Bonini hanno raccolto e tradotto assieme a Maria Moschioni una serie di articoli tratti dalla rivista online no profit Shareable.net, nata nel 2009 negli Stati Uniti dalla collaborazione dei maggiori esperti mondiali di economia collaborativa, come guida a questo nuovo modo di vivere e di pensare, ma anche come antidoto alla profonda crisi che, con un preoccupante effetto domino, ha colpito tutto il mondo occidentale in questo ultimo decennio. Questa antologia di articoli vuole fare il punto sui successi e sui fallimenti di questo sistema economico in tutto il mondo, cercando di avvicinare al concetto di economia collaborativa anche noi Italiani, più restii a concederci la possibilità di affacciarci su questo universo di novità che ha per basi il rispetto del prossimo.

Come spiega nella sua prefazione Neal Gorenflo, direttore esecutivo e co-fondatore di Shareable.net e consulente sui temi legati alla sharing economy per istituzioni pubbliche e private in tutto il mondo, la condivisione è una delle attività umane più importanti per diversi ordini di fattori, come la lotta all’esaurimento delle risorse naturali, all’isolamento sociale, al divario tra ricchi e poveri, ma anche allo spreco delle risorse e all’indifferenza sociale verso chi sta peggio. Questo sistema, naturalmente, non relega in secondo piano la proprietà privata, ma la esalta, mettendola a disposizione del prossimo che, a sua volta può mettere la propria a disposizione degli altri e così via. All’interno di questo sistema primordiale, naturalmente, si inseriscono anche le aziende, magari produttrici di strumenti o servizi utilizzabili da tutti come se fossero propri, per poi essere rimessi a disposizione degli altri, una volta terminato l’utilizzo esclusivo. Tutte queste dinamiche permettono di esaltare la sostenibilità dei servizi resi, ma anche di rafforzare un senso di fiducia e rispetto verso “l’altro”, chiunque egli sia, come nostro pari e nostro alleato nella vita di tutti i giorni e non come ostacolo alla nostra completa libertà di espressione e di possesso.

In questa raccolta di articoli, tuttavia, si evidenziano anche i fallimenti di questo sistema economico e la difficoltà di applicarlo in comunità non ancora pronte o in ambiti troppo complessi, oltre alle conseguenze economiche e sociali anche negative che questa economia può avere in determinati casi, come la perdita o la ricollocazione di risorse lavorative e anche di capitale umano.

Maggiormente interessanti sono gli articoli che approfondiscono esempi concreti di città, più o meno grandi, che, in tutto il mondo stanno cercando di mettere in pratica questi modelli, ma anche quelli che raccontano l’impatto che la sharing economy potrebbe avere sulle amministrazioni pubbliche, analizzandone vantaggi e svantaggi in modo puntuale ed equilibrato.

Di sicuro per molti, tra cui i fondatori di Shareable.net, l’economia della condivisione rappresenta un sogno che si realizza ogni giorno: a ogni traguardo raggiunto si aggiunge un nuovo obiettivo da raggiungere. Per altri si tratta, invece, di un vero e proprio incubo, un sistema che mette in discussione status sociali e differenze non solo economiche, pieno di incertezze e punti interrogativi per la sua stessa struttura che mette l’uomo al centro e non i suoi beni. Il pregio di questa raccolta di articoli non è dare una risposta giusta o sbagliata ai dubbi e alle considerazioni del lettore, ma di proporre una guida, un approfondimento fatto dai risultati degli studi e dell’esercizio di molti esperti del settore, in modo tale che ciascuno possa farsi un’idea più consapevole e possa decidere che ruolo avere all’interno di questo sistema economico di condivisione che è già una realtà tangibile in tutto il mondo.

Alessandra Rinaldi

“Populismo e Democrazia” di Alfredo Esposito

“Io non sono più giovane e spesso la sensazione è quella di essere proprio vecchio. (…) Ma tu, caro lettore, forse hai ancora una vita davanti e puoi ancora provarci. Ingiustizia, iniquità, guerra sopraffazione, ignoranza, distruzione ambientale non sono cose inevitabili, non sono scritte nel libro del Fato e tanto meno in qualche legge di natura. Un mondo migliore forse è ancora possibile. Ora tocca a te provarci”.

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Si conclude così, dopo un nostalgico omaggio che ricorda qualche strofa de “Il vecchio e il bambino” di Francesco Guccini, il libro “Populismo e Democrazia”, Youcanprint-Selfpublishing di Alfredo Esposito, fisico e dirigente in una società di servizi informatici, ma anche autore che abbiamo imparato ad apprezzare per la sua capacità di analizzare con lucida semplicità anche le tematiche apparentemente più complesse.

Questo nuovo volume scaturisce dalla curiosità verso alcuni fenomeni geo-politici che stanno caratterizzando l’intero Globo negli ultimi anni e che, quindi, sembrano non avere diretta attinenza col mondo del lavoro, ma che, di fatto, lo influenzano molto. A partire dalla lettura di alcuni articoli che analizzano la crescente sfiducia dei cittadini verso la “competenza” in ambito politico, di cui è stata dimostrazione lampante l’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti, Alfredo Esposito cerca di spiegare quali sono le cause dell’attuale crisi della democrazia. La fuga dalla politica da parte del ceto medio dei cittadini ha provocato l’avanzata del cosiddetto populismo, termine dalla forte accezione negativa dovuta ai presunti fini esclusivamente propagandistici del fenomeno, ma che caratterizza la nascita, in tutto il mondo, di una serie di movimenti politici che si rivolgono alla pancia delle persone, più che alla loro testa e toccano fasce di popolazione profondamente turbate da anni di crisi economica. Ma prima di spiegare più concretamente in cosa consiste il fenomeno del populismo e il suo ingresso nei palazzi del potere, l’autore si sofferma sulla nascita della democrazia, facendo un excursus storico dall’Acropoli di Atene, al secolo dei Lumi, fino ad oggi che, dopo un ventennio di predominio della scienza e della divulgazione, l’ultima crisi economica e il divario sempre più grande tra i mercati della piazza e i tavoli dell’alta finanza, hanno reso la percezione della realtà da parte dei cittadini persino più tragica della realtà stessa, già non facile.

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Il populismo, che nasce dall’esasperazione della democrazia, sta, secondo l’autore, soffocando la democrazia stessa e le radici di questo fenomeno si trovano in primo luogo nella distruzione della scuola pubblica e della cosiddetta televisione generalista, soppiantata da quella commerciale che ha asservito, di conseguenza, tutto quello che è comunicazione e divulgazione giornalistica. Se a tutto ciò sommiamo le mancate promesse di una certa politica e la diseguaglianza provocata dalla globalizzazione degli ultimi anni, oltre al ruolo di Internet e alla manipolazione che solo il Web rende possibile, comprendiamo come, nei secoli la storia sia stata scritta dai vincitori e quanto, nell’ottica populista, sia importante essere “vincitori” tutt’oggi, anche a costo di non avere nessun rispetto dei più deboli. Dall’insieme di queste dinamiche così complesse e così legate fra loro, scaturiscono i problemi della società di oggi, dovuti da una parte alla crisi della democrazia e, dall’altra, all’avanzata del populismo: l’aumento del razzismo, il senso costante di instabilità, l’egoismo, la paura del diverso, la crisi ambientale e il desiderio crescente di riarmo nucleare.

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Seppur apparentemente tortuoso in alcuni punti, il messaggio che Alfredo Esposito vuole dare alle generazioni future è chiaro e nasce dalla consapevolezza del fallimento della sua stessa generazione, quella che poteva fare dei diritti civili e dei valori nati dopo i regimi e i conflitti mondiali una tendenza da non invertire mai più per il bene dell’umanità, ma che in questo ha mancato. Ciò che l’autore vuole trasmettere è tutto nelle poche righe con cui abbiamo iniziato e che sono la sua accorata conclusione nel libro: la democrazia, quella vera, che ha radici di un passato lontanissimo, deve crescere ed evolvere per venire incontro alle generazioni di oggi. Ma anche i giovani che hanno in mano il futuro del mondo devono credere fermamente che valga la pena di sostenere valori e diritti universali a ogni costo e sopra ogni cosa, senza lasciarsi andare alla facile aggressività di chi vorrebbe nutrirsi delle difficoltà della gente schermandosi dietro a un popolo che non avrebbe bisogno di populismo, ma di equità.

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L’elenco delle soluzioni dell’autore è lungo: più istruzione alla portata di tutti, più controllo su mercati e finanza, più attenzione ai diritti delle persone che sono più importanti degli affari, più rispetto delle leggi, più attenzione per l’ambiente e meno sfruttamento e diseguaglianze sociali; ma questo elenco, di fatto, non si conclude, è ancora aperto, come un sogno a occhi aperti che deve ancora diventare realtà. Alfredo Esposito, infatti, ha paura di non distinguere il falso dal vero, come il vecchio della canzone di Guccini, ma crede fermamente che sciogliere il nodo che oggi sembra legare democrazia e populismo sia possibile e dipenda dall’impegno delle nuove generazioni. Magari anche con un pizzico di poesia.

Alessandra Rinaldi

“Cambia testa e potenzia la tua azienda con la cultura digitale” di Rosa Giuffrè

Consulente di comunicazione per aziende, blogger e pioniera della cultura digitale e dell’interazione social nel mondo delle piccole e medie imprese, Rosa Giuffrè mette a disposizione degli imprenditori gran parte della sua esperienza di studiosa della comunicazione nel libro “Cambia testa e potenzia la tua azienda con la cultura digitale”, Dario Flaccovio Editore.

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Questo testo, ricco di spunti di riflessione oltre che di esercizi pratici, anche se ormai un po’ datato nella sua prima edizione del 2015, vista la velocità con cui si sono evoluti negli ultimi anni i rapporti tra mondo delle aziende e comunicazione digitale e social in particolare, è molto più di un manuale per un efficace fai da te della cultura digitale anche nella più piccola azienda. Il fatto di essere stato confezionato non per i professionisti del web, ma per dare delle coordinate irrinunciabili agli stessi imprenditori per sopravvivere a questo momento di crisi economica e di cambiamento, dà senza dubbio a questo libro una marcia in più, vista la semplicità dello stile, diretto e immediato. Al di là del racconto dei casi concreti e degli esercizi consigliati, infatti, la stessa autrice riempie le pagine di aneddoti che l’hanno riguardata in prima persona, impregnando tutto il testo di vita vissuta e quindi sempre moderna, piuttosto che di consigli tecnici a volte lontani dalla realtà.

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Il capitolo che più ci ha colpiti per la sua immortale attualità è quello che racconta, attraverso un’hashtag, il #ComunicarePositivo, sia all’interno, sia all’esterno dell’azienda, sia essa una S.P.A. con milioni di azionisti, sia essa un piccolo esercizio commerciale o una Startup. Come spiega Rosa Giuffrè, collegandosi al concetto di economia della felicità e dando un senso profondo allo slogan citato nel titolo che incoraggia gli imprenditori a “cambiare testa”, comunicare positività innesca il cosiddetto ‘effetto domino’ dal dipendente al cliente. Per farla semplice: un dipendente soddisfatto del proprio ruolo all’interno dell’azienda trasmetterà la positività del clima aziendale agli stessi consumatori in qualsiasi camp0 ed essi saranno maggiormente invogliati, a parità di condizioni, a dare fiducia a chi si pone positivo e propositivo nei suoi confronti. Ciò, naturalmente, deve trasparire attraverso tutte le “vetrine” dell’attività, siano esse sul web, su un social network o su una strada affollata per lo shopping.

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È questa vera e propria interazione reale a rendere il mondo digitale degno di essere definito una ormai sempre più consolidata cultura che va studiata, compresa e utilizzata per valorizzare un più profondo concetto di comunicazione a tutto tondo che, accanto ai fini economici, deve permeare le nostre aziende, fatte di uomini e non solo di prodotti.

Alessandra Rinaldi

Dieci cose da sapere su “Brainbow”

Gnothi seautòn, conosci te stesso.

Gli antichi Greci conoscevano bene il significato profondo di questa esortazione iscritta nel Tempio di Apollo a Delfi e diventata, nel corso dei secoli, con la nascita e lo sviluppo della Filosofia, una massima con cui tutti i sapienti, a partire da Socrate, hanno fatto i conti.

Conoscere se stessi, infatti, è il primo passo per comprendere meglio gli altri e quindi per comunicare. È proprio su questa verità intuitiva, ma sempre innovativa, che affonda le proprie radici Brainbow, un modello comportamentale concepito per gestire e migliorare le relazioni in ogni ambito della vita quotidiana, soprattutto in contesti lavorativi aziendali. Per raggiungere questo obiettivo, il modello Brainbow si propone di definire lo stile relazionale di ogni individuo classificando ciascun profilo attraverso l’uso di colori differenti che rappresentano quattro grandi aree di orientamento delle attitudini del singolo.

brainbow

Ma come nasce il modello Brainbow? Quali scopi persegue e a quali risultati pratici può portare la sua conoscenza e applicazione? Simone Bandini Buti, formatore tra i maggiori esperti di questa metodologia, ci ha aiutato a comprenderlo e ad analizzarlo in dieci pratici punti, in linea col nostro approccio sistemico alla gestione del cambiamento.

 

  1. Brainbow è un modello comportamentale di definizione dello stile relazionale dell’individuo concepito per migliorare la sinergia dei rapporti tra persone, sia in ambito lavorativo, sia nella vita privata;
  2. Si tratta di un modello pratico e intuitivo che aiuta a identificare, analizzare e comprendere il proprio personale stile comunicativo attraverso le risposte a ventotto situazioni stimolo;
  3. Il modello si basa sulle ricerche scientifiche acquisite negli ultimi decenni ed evidenzia i risultati conseguiti dalle varie discipline circa il funzionamento del cervello e della psiche umana;
  4. Il modello individua trentadue tipologie di profilo comportamentali raggruppate in quattro macro aree identificate da colori specifici;
  5. L’obiettivo del modello è semplificare la complessità degli studi compiuti dalle varie discipline scientifiche, facendo una sintesi delle conoscenze finora acquisite al fine sviluppare uno strumento praticamente efficace per migliorare le relazioni della vita quotidiana;
  6. Il primo scopo del modello è quello di supportare l’individuo nella comprensione e consapevolezza del proprio stile comunicativo per favorire l’attenzione e la sensibilità verso i profili comportamentali altrui, facilitando l’interazione tra le persone;
  7. Nella vita privata la conoscenza e l’applicazione quotidiana di Brainbow permette di acquisire maggior fiducia e consapevolezza delle proprie attitudini personali, mettendole al servizio di chi ci circonda e predisponendoci verso la condivisione delle nostre esperienze, imparando anche dagli altri chi siamo e chi vorremmo diventare;
  8. Nei contesti di lavoro, soprattutto nelle dinamiche aziendali di gruppo, Brainbow ci permette di comprendere concretamente, attraverso simulazioni ed esercizi, come le reciproche diversità dei componenti del gruppo siano la vera ricchezza del team, in cui l’espressione di ciascuno è la costruzione di un progetto o prodotto altamente personalizzato e orientato ai risultati;
  9. Nelle relazioni col cliente Brainbow ci permette di comprendere meglio chi abbiamo di fronte attraverso lo studio delle esigenze e delle richieste del cliente stesso, anticipandone perfino i bisogni non palesi, così da ottenerne più efficacemente la maggior soddisfazione possibile;
  10. Brainbow, a nostro avviso, potrebbe essere utile anche nella gestione sistemica di dinamiche di cambiamento all’interno di realtà caratterizzate da profonde complessità sociali, come scuole o ospedali, in cui i rapporti tra individui e gruppi di individui devono far fronte a esigenze che si trovano si piani differenti che è necessario conciliare in modo empatico e costruttivo.

 www.brainbow.it

 

Alessandra Rinaldi

“12 passi per entrare nel mondo digitale” a cura di Umberto Santucci

Dopo aver analizzato il libro “12 passi per ottenere ciò che vuoi”, continuiamo il nostro percorso di studio della collana 12 passi, a cura di Amicucci Formazione – Skilla, edita da Franco Angeli, occupandoci del volume “12 passi per entrare nel mondo digitale”, sempre a cura di Umberto Santucci.

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È possibile, oggi, vivere senza computer, senza tablet, senza smartphone e, soprattutto, senza una connessione a Internet?

È proprio con questa domanda che si apre questo viaggio nel mondo digitale, dimostrando immediatamente come la risposta più semplice sia sì, perché non sono beni necessari come aria, acqua e cibo. Tuttavia si potrebbe altrettanto ragionevolmente rispondere di no, perché si finirebbe per essere completamente tagliati fuori da molte attività e relazioni che caratterizzano il nostro tempo, sia sul piano personale, sia su quello lavorativo.

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Attraverso il collaudato metodo dei 12 capitoli da leggere uno a settimana per tre mesi, questo testo permette, sia ai principianti completamente a digiuno di tecnologia, sia a chi non si reputi un esperto, ma, allo stesso tempo, voglia tenersi al passo coi tempi, di conoscere il mondo digitale con facilità e sicurezza, avendone una panoramica completa, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti inerenti alcune specifiche tecniche di base, i risvolti nel mondo del lavoro, l’archiviazione di dati e, naturalmente, l’importanza della web reputation e della comunicazione e sicurezza informatica, oltre che della scelta delle apparecchiature migliori.

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In aggiunta a schemi, schede ed esercizi, alla fine di ogni capitolo ci sono letture e link consigliati e un riepilogo di quanto appena letto che, di settimana in settimana, permettono di fissare i passaggi fondamentali e le parole chiave.

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Per quanto possa sembrare difficile immaginare che qualcuno totalmente estraneo al mondo digitale possa approcciarsi alla lettura di questo testo, dato che perfino i lattanti, al giorno d’oggi, sembrano imparare a usare correttamente un touchscreen ancor prima di acquisire l’equilibrio sufficiente per compiere i primi passi, lo studio di questo libro è utile davvero a tutti, soprattutto ai professionisti, a prescindere dal settore in cui operano. Tutti noi, infatti, conosciamo e ci serviamo quotidianamente di molti strumenti digitali in modo intuitivo o “obbligato” perché i contesti in cui siamo inseriti ce lo impongono, finendo con l’innescare rapporti di assuefazione e di dipendenza dalla tecnologia, a discapito delle nostre innate capacità di comunicazione e adattamento. Conoscere la differenza tra hardware e software o tra i vari tipi di periferiche o di connessioni e, nello stesso tempo, saper scrivere efficacemente un testo per il Web o una presentazione per un meeting, servendoci di immagini, audio e video in modo funzionale, ci fa comprendere l’utilità profonda di questi mezzi, permettendoci di sfruttarli al massimo come “strumenti” e non come prolungamenti del nostro essere, senza danneggiare la nostra capacità di problem solving e di predisposizione ai cambiamenti che un futuro in cui tempi e distanze sono ormai prossime allo zero, di sicuro, ci riserverà.

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Umberto Santucci, grazie alla sua esperienza, rende interessanti, semplificandoli e arricchendoli di significato, anche gli aspetti più tecnici del mondo digitale, attraverso la lettura di paragrafi brevi e mirati e di un linguaggio immediato, accessibile proprio a tutti. Anche a chi, consapevole del valore umano di una stretta di mano, conosce l’importanza della tecnologia digitale per stringere e mantenere relazioni professionali e personali in tutto il mondo.

Alessandra Rinaldi

“12 passi per ottenere ciò che vuoi” a cura di Umberto Santucci

Lo ha detto anche il poeta greco Costantino Kavafis per bocca dal suo Ulisse: in un viaggio, fisico o metaforico che sia, ciò che conta davvero, oltre alla meta da raggiungere, è il percorso fatto per arrivarci e il cambiamento che ciò ha innescato dentro di noi.

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Questa verità, solo intuita dai poeti, è oggi dimostrata dalla ricerca anche in ambito professionale. È provato, infatti, che per metabolizzare con successo un cambiamento di abitudini, in qualsiasi settore, siano sufficienti dodici settimane, considerate un lasso di tempo ideale per acquisire nuove competenze e raggiungere gli obiettivi prefissati. Sulla base di questa teoria è nata la collana fondata sul metodo dei 12 passi, edita da Franco Angeli: una serie di volumi specifici, composti ciascuno da dodici capitoli da leggere uno alla settimana allo scopo di ottenere un cambiamento significativo nell’arco di tre mesi.

Lo slogan è proprio slow reading, fast learning perché, se tre mesi possono sembrare un periodo lungo, per alcuni, da dedicare allo studio di un testo, seguendo la disciplina di limitarsi a leggere un capitolo alla settimana, i risultati che si possono raggiungere, invece, dal punto di vista delle capacità acquisite, in così poche settimane sono, in realtà, stabili e duraturi.

Il volume su cui ci siamo soffermati è “12 passi per ottenere ciò che vuoi” a cura di Umberto Santucci, esperto di formazione e autoformazione, sia in aula, sia a distanza, che si avvale dei contenuti e dei metodi sviluppati da Amicucci formazione – Skilla, promotrice di questa innovativa collana.

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La prima cosa che ci ha colpito di questo testo è come il titolo di ciascuno dei dodici capitoli costituisca un’esortazione e un consiglio verso chi legge, tanto che i titoli stessi, messi uno accanto all’altro, compongono un vademecum utilissimo da tenere sempre a mente, soprattutto quando ci si approccia a nuovi progetti di lavoro in un contesto aziendale:

  1. Affronta la vita in modo proattivo
  2. Affronta i problemi con una visione sistemica
  3. Raggiungi i tuoi obiettivi con il pensiero strategico
  4. Vai oltre con il pensiero produttivo per generare nuova conoscenza
  5. Semplifica e risolvi le analogie
  6. Moltiplichiamo le intelligenze in rete
  7. Impara ad allenare il tuo pensiero
  8. Mira sempre al risultato
  9. Sii flessibile e mantieni la mente elastica
  10. Sii sempre ottimista
  11. Pensa con creatività
  12. Impara a gestire il cambiamento.

Ognuno dei passi verso la valorizzazione della nostra intelligenza a tutto tondo è corredato da grafici, schemi, tabelle e studio di esempi e casi pratici che mettono al centro del cammino per il raggiungimento dei nostri obiettivi il potere del pensiero come motore insostituibile della nostra vita.

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Visto il nostro interesse per l’approccio sistemico al cambiamento nelle aziende, il capitolo che ha suscitato maggiormente il nostro coinvolgimento è il secondo, dedicato alla risoluzione dei problemi attraverso una visione sistemica. L’analisi di questo approccio inizia con il confronto tra pensiero analitico di derivazione aristotelica, basato sulla logica lineare causa-effetto, e il pensiero sistemico, secondo cui questa logica lineare diventa circolare quando l’effetto influisce sulla causa ed è quindi necessario allargare il nostro orizzonte allo studio di tutto il contesto aziendale e del futuro, se si vuole mirare a ottenere cambiamenti stabili e duraturi, risolvendo le criticità in modo il più possibile definitivo.

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Come ci illustra Umberto Santucci:

“Il sistema azienda è una struttura complessa che interagisce con gli elementi che la compongono, a loro volta strutturati come sub-sistemi interni ed esterni all’azienda. La visione sistemica è la capacità di percepire il proprio ufficio come elemento del sub-sistema di cui fa parte, che a sua volta è strutturato dall’azienda, anch’essa strutturata dal distretto produttivo e così via. È come un uccello capace di scendere a cogliere un filo d’erba e di alzarsi a vedere tutto il campo, il fiume, le colline”.

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Dunque questa visione sistemica occorre ad affrontare più efficacemente i problemi complessi e di varia natura, inserendoli in una rete più ampia, permettendo a tutti i componenti di un gruppo di rendersi conto di cosa comporta il proprio contributo per la realizzazione di un obiettivo, a favore della condivisione e dell’interdisciplinarità, senza mai distogliere lo sguardo dall’armonia del clima globale tra un processo e l’altro.

Alessandra Rinaldi

“L’ottava regola. Dall’efficacia all’eccellenza” di Stephen R. Covey

Dopo aver analizzato “Le sette regole per avere successo”, ci siamo cimentati con un altro testo immediatamente successivo e strettamente collegato al bestseller internazionale di Stephen R. Covey: “L’ottava regola. Dall’efficacia all’eccellenza”, Franco Angeli Editore.

ottava regola

Anche questa volta, prima di analizzare la struttura del saggio, ci siamo soffermati su suo titolo originale: “The 8th Habit: from Effectiveness to Greatness” e ciò che ci ha colpito, oltre alle considerazioni già fatte in precedenza sull’assonanza tra i termini “abitudine” e “regola”, è la parola “greatness”. Sorprende quasi come un termine così colloquiale e di uso tanto comune possa diventare un vero e proprio termine tecnico durante la lettura di questo testo, assumendo tutte le sfumature di significato che lo caratterizzano: dalla grandezza alla forza, fino alla vera e propria eccellenza di fatto di leadership.

Ma come ci si può abituare all’eccellenza? Come non considerare questo stato unicamente come l’happy ending al termine di una lunga carriera di lavoro costellata di esperienze e successi e abituarci, invece, a vivere la nostra personalissima eccellenza giorno dopo giorno al servizio dell’azienda, come una disciplinata e creativa forma mentis?

ottava regola

All’inizio ci è quasi (rispettosamente) sembrato che questa volta Stephen Covey si fosse lasciato prendere la mano e avesse peccato di presunzione, o meglio di troppa fiducia verso il prossimo, tratto che, senza dubbio lo distingueva come comunicatore, come coach e, oggi si direbbe anche come influencer. Tuttavia, come già accennato, la struttura sistematica e, allo stesso tempo, strettamente analitica del testo, corredato di schede riepilogative, box di esercizi e numerosissimi racconti di esperienze acquisite sul campo, rendono questo saggio un meraviglioso manuale per imparare a pensare all’eccellenza, visualizzandola come un modo di porsi, di comunicare e, quindi, di essere, e non come un obiettivo da raggiungere fuori da noi stessi: un percorso di vita, ancora prima che di lavoro, verso il concetto più alto di saggezza.

ottava regola

Diretto, ma profondo, a tratti toccante, a tratti divertente, pur restando un libro estremamente tecnico e scientifico, lo stile di Covey resta confidenziale e riconoscibile, come quello di un maestro che si mette alla scrivania dopo una lezione e lascia qualcosa di scritto ai propri allievi, con lo scopo di farli sentire a proprio agio e non solo all’altezza della situazione, quasi come Socrate, secoli fa. Insomma le regole contano e si possono e devono studiare e imparare, ma sempre facendole proprie grazie ai percorsi dell’esperienza, come in un diario personale, perché, come scrive Covey: la leadership è una scelta, non una posizione.

ottava regola

L’esigenza di questa ottava regola, come spiega l’autore, nasce dai profondi, continui e velocissimi mutamenti del mondo del lavoro, sempre più influenzato dalla tecnologia anche oggi, che vedono nelle sette regole una base necessaria per entrare in gioco e un punto di partenza proprio verso l’eccellenza come dimensione di entusiasmo e di voglia di mettersi continuamente in discussione, esperienza dopo esperienza, guardando alla saggezza come a un valore inestimabile.

ottava regola

Questa ottava regola è trova la tua voce e ispira gli altri a trovare la loro, la vera essenza della leadership costruttiva. Infatti, dopo essere riusciti a trovare la propria voce, non c’è niente di meglio che mettersi al servizio del coro per armonizzare e modulare la melodia del successo. Per ottenere questo risultato che, a sua volta, è una nuova base di partenza, occorre iniziare un percorso di riflessione e consapevolezza improntato non più solo sulla comunicazione efficace, ma anche altruistica nei confronti di chi dipende da noi leader, attraverso la condivisione di valori comuni e strategie. Essere un modello di umanità positiva è, secondo Covey, il modo più alto di essere leader, perché porta a una competizione costruttiva che altro non è che imitazione. Ecco perché Covey prende spesso nuovamente in prestito il mondo dell’infanzia e anche della scuola per molte sue lezioni. La saggezza è empatia, ma anche autorevolezza verso gli altri e autoconsapevolezza di sé stessi.

ottava regola

Il testo si conclude con alcune utili appendici che focalizzano concretamente alcuni consigli su come affrontare alcuni momenti di cambiamento del contesto e del clima aziendale. A questo proposito è stata interessante l’analisi dei vari tipi di intelligenza che risiedono in ognuno di noi e di come, valorizzare la cosiddetta “intelligenza spirituale” dia benefici concreti anche sull’intelligenza pratica, mentale ed emotiva, come un unicum indispensabile nel curriculum di tutti noi.

Alessandra Rinaldi