“Sun Tzu – L’arte della Guerra”

Oggi facciamo un salto in un tempo davvero lontano per proporvi uno strumento più attuale di quanto si possa pensare. Parliamo di Sun Tzu L’arte della guerra edito dalla Mondadori tra gli Oscar Bestsellers,  un manuale per tutti coloro i quali desiderano cambiare il proprio modo di gestire i conflitti,  le contese in affari o, più semplicemente, la vita quotidiana.

Trascrizione del pensiero strategico seguito circa duemila e trecento anni fa in quella che oggi corrisponde alla Cina settentrionale da un gruppo di generali militari, custodisce tra le sue pagine una antica saggezza e, sorprendentemente, tutte le sue virtù.

Ciò che emerge da questo trattato sulle strategie militari, è l’insegnamento di come conquistare senza aggredire, mostrando un sano, corretto ed efficace modo di superamento dei conflitti, qualsiasi essi siano, personali o sistemici, estesi o limitati.

In effetti, il Sun Tzu parte dalla verità di fondo che il conflitto è integrante della vita umana, si trova tanto all’interno quanto all’esterno di noi e che, per quanto cerchiamo di evitarlo, dobbiamo saperlo affrontare direttamente.

La conoscenza di sé alla quale conduce questo testo, comprende la consapevolezza di quali siano le nostre forze e, intimamente, ci guida alla padronanza della nostra mente. Essenzialmente, in una società che ci porta a vivere situazioni dove è impossibile evitare conflitti ed aggressioni – non solo fisiche, si intende – diventa fondamentale imparare a riconoscerle e gestirle in modo diretto negli ambienti in cui ci troviamo, siano essi di lavoro o familiari, senza ignorarli, soffocarli, negarli o cedendo nella volontà di arrendersi ad essi. Del resto è innegabile che il miglior comportamento difronte a queste situazioni sia l’acquisizione di tutti i dettagli che le compongono, fornendoci così anche la soluzione migliore, fermo restando la capacità di viverla ed analizzarla con una certa apertura mentale.

I principi de L’arte della guerra non sono applicabili ad un solo ambito, ma il suo linguaggio può essere parafrasato ed applicato in modo eguale alle diverse situazioni che viviamo singolarmente.

Gli elementi centrali che costituiscono il Sun Tzu sono la conquista del nemico intero e intatto, la figura del comandante saggio e le circostanze storiche nelle quali questo trattato si è sviluppato e sono sempre loro che ci offrono gli strumenti per interiorizzare le parole di un mondo lontano, trasformandole in un insegnamento pratico per il presente.

“Conquistare intero e intatto il nemico”

Il  Sun Tzu trova applicabilità nell’unicità di ogni singolo caso, avendo alla base il processo di identificazione che bisogna “conquistare intero e intatto il nemico”. Per quanto lontano dalla nostra concezione occidentale ed odierna, questo assunto significa conquistare il (nostro) nemico – qualsiasi esso sia – in modo da mantenere intatte sia le nostre che le sue risorse, portando così non alla distruzione totale ma lasciando qualcosa su cui ricostruire.

Mentre  il concetto di distruzione, non ha bisogno di spiegazioni essendo normalmente condiviso che ad essa non segue opera di ricostruzione possibile, “conquistare intero e intatto il nemico” è un modo di essere, di vedere ma soprattutto di agire poiché da esso derivano le nostre azioni e la sua applicazione dipende dalla consapevolezza delle circostanze attuali e della situazione che viviamo nel nostro presente. Leggendo le pagine che scorrono tra le mani, ci si rende ulteriormente conto che è il punto di vista a fare la differenza, cioè la prospettiva dalla quale si vedono le cose. Quando riusciamo ad assumere un punto di vista equilibrato rispetto la situazione che stiamo vivendo, davanti ai nostri occhi si apre un mondo del quale possiamo identificare chiaramente le varie parti che lo compongono, le relazioni che insistono tra i vari suoi elementi e il loro ruolo all’interno dell’insieme. Del resto il Sun Tzu identifica il mondo come un insieme unitario composto da una moltitudine di componenti variabili e connesse tra loro.

“Il saggio comandante”

La saggezza di questo trattato, per la sua origine, è rivolta a colui che detiene il comando durante una battaglia, facendo costantemente riferimento alle sue abilità e al buon senso del condottiero. Il comandante saggio è una figura che parla con autorità e agisce con vigore, è colmo di risorse ed in armonia con le strutture profonde del mondo, capace di dominare il campo di battaglia e con una spiccata audacia. Le concezioni che possono sembrarci lontane e irraggiungibili, in realtà, possono essere applicate alla nostra vita quotidiana e, attraverso la descrizione di questo comandante saggio, il personaggio mitico che viene ritratto, diventa nei fatti un modello umano e raggiungibile che concretamente avvertiamo di poter emulare e che può guidare le nostre azioni anche nelle sfide più complicate.

“Il collegamento con la tradizione”

Per quanto paradossale può apparire, il Sun Tzu è intimamente legato alla tradizione bellica dell’antichissima Cina e alle circostanze storiche del tempo in cui ha visto la sua genesi, ma il valore del suo messaggio riesce a travalicare i confini del tempo e dello spazio. Il suo contenuto e la sua forma, mostrano intrinsecamente come sia possibile far trasmigrare questi insegnamenti lontani nel tempo di oggi. Questo è possibile perchè il Sun Tzu sottolinea il ruolo della conoscenza nel perseguire la vittoria, identificando nella forza già esistente e appartenente agli uomini e alla natura l’arma principale per il successo. L’insegnamento che riceviamo da questo testo è sistemico e di insieme, enucleando in sé un punto di vista – diverso – delle strutture che compongono il mondo, soprattutto il nostro intimo e personale, nonostante racchiuda in sé contenuti e tradizioni storicamente specifiche.

Per le sue caratteristiche,  Sun Tzu L’arte della guerra, è spesso adottato come strumento di formazione negli ambienti scolastici e universitari per spronare all’eccellenza gli studenti e, addirittura, nel mondo aziendale e manageriale. Infatti, a partire dagli anni novanta dello scorso secolo, improvvisamente le grandi aziende,  piuttosto che distruggere i competitor, capirono e cercarono di attuare ed intraprende una linea ispirata alla collaborazione per ottenere maggiori profitti, ispirandosi alle tecniche, alle strategie e alle tattiche riportate in questo trattato militare come se la competizione aziendale fosse, metaforicamente, una guerra nella quale sopravvivevano e vincevano i manager  in grado di applicare questi antichi precetti cinesi. Questo testo può essere definito, in modo trasversale, come il manuale più letto dai capi militari e politici, dai manager dell’industria e della finanza, dalle persone comuni e dagli studenti di prestigiose scuole non solo di management o di miglioramento personale.

Insomma, anche se vecchio di migliaia di anni,  questo libro, ci immerge in una profonda saggezza che ci mostra come affiancarsi in modo autentico a principi tanto antichi quanto moderni, imparando ad affrontare i conflitti che incontriamo nella nostra vita, illuminandoci sull’utilità e la pratica della saggezza della non aggressione,  un sapere fondamentale che appartiene all’uomo fin dalla sua origine, anche se oggi non sembra più così.

Francesca Tesoro

Manageritalia a Genova per l’Assemblea Nazionale

Immagine tratta da manageritalia.it

Il 7 e 8 Giugno scorso, a Genova, si è svolta la novantatreesima Assemblea Nazionale di Manageritalia, intitolata “Navighiamo insieme ai Genovesi”, che si è distinta, ancora una volta, non solo per la partecipazione e l’impegno dei suoi esponenti, ma sempre più per l’obiettivo di contributo sociale e antropologico che l’Associazione vuole dare nel momento di grande difficoltà che il Paese sta attraversando. Riteniamo, infatti, che solo grazie a un investimento nelle capacità di guida e di innovazione nelle varie aree di azione può concretizzarsi una possibilità di successo e di rinascita.

Ormai da diverso tempo, ho l’orgoglio di far parte di questa comunità di managers, pionieri di un nuovo senso di responsabilità verso la responsabilità di essere cittadini del nostro Paese e, per approfondire tutte le tematiche trattate in Assemblea, vi invito visitare il seguente link:

https://www.manageritalia.it/it/attualita/assemblea-federale-genova

Maria Tringali

“El mundo que nace” de Adriano Olivetti

Adriano Olivetti fue uno de los pilares de la historia italiana después de la Segunda Guerra Mundial. Su eclecticismo lo acercó a la planificación urbana, la psicología, la sociología y la cultura en sus diversas formas. Su “fábrica de ladrillos rojos”, que comenzó como un microcosmos, se convierte en parte de un proyecto más grande, la Comunidad, y luego en una visión profética que involucra el concepto universal de civilización. Esta visión surge de una lectura general de algunos de los escritos del empresario de Ivrea recogidos en el libro “El mundo que nace”, Edizioni di Comunità, editado por Alberto Saibene. Según Olivetti, la base constitutiva de la civilización está formada por las cuatro fuerzas esenciales del espíritu: Verdad, Justicia, Belleza y Amor. La ausencia de uno de estos cuatro elementos determina la no existencia de la civilización. Esta concepción olivetiana, purgada por el componente religioso vinculado a la voluntad de afirmar la civilización cristiana y contextualizada en la realidad actual, podría, y tal vez debería, considerarse como un conjunto de valores a los que hacer referencia.


Olivetti escribe:

“Nadie renunciaría a la nueva civilización, a esta era del hormigón armado, los motores, los antibióticos, la radio y la televisión”. Nadie volvería, no digo siglos, pero ni siquiera cincuenta años. No había luz eléctrica, las enfermedades infecciosas cosechaban vidas jóvenes […] en breve, la condición humana era extremadamente más severa que en la actualidad. Y el mundo se dirige hacia días más brillantes y felices, pero con una condición: que las inmensas fuerzas materiales puestas a disposición del hombre hoy estén dirigidas a objetivos, a objetivos espirituales. De lo contrario, el poder de los átomos, en lugar de construir la nueva civilización, podría con sus misiles controlados por radio y sus bombas de hidrógeno destruirla para siempre “.

El empresario entendió que la sociedad se dirigía hacia la supremacía de la lógica mecánica y hacia la destrucción progresiva de los valores humanos, por lo tanto, había tratado de reconstruir los cimientos de la civilización a partir de su fábrica, que habría servido de modelo para la creación de la Comunidad. Según un proyecto detallado en este libro.


En el pensamiento olivettiano, la comunidad se opone a la cultura, el respeto y la justicia a la lógica del beneficio.

Al leer este libro y pensar en el mundo de hoy, cada uno de nosotros puede entender cómo las palabras de Olivetti suenan proféticas. En una sociedad en la que las empresas luchan por mantenerse a la par de la evolución tecnológica, lo que hace que cualquier innovación se vuelva demasiado rápidamente obsoleta, donde la competencia conduce a la exasperación, el hombre parece haber olvidado los “impulsos espirituales” mencionados en Emprendedor de Ivrea.

La civilización debe reconstruirse y la lógica del máximo beneficio debe ir acompañada de un sentido común que conduzca de nuevo a una sociedad de “escala humana”.
El punto de vista de Olivetti, desarrollado después de la Segunda Guerra Mundial, todavía se puede aplicar a la situación actual. Esto significa que la evolución leída por el empresario ha progresado pero aún no se ha alcanzado el abismo, por lo tanto:
“La civilización occidental se encuentra hoy en medio de una larga y profunda labor, hasta su elección final”.

Cecilia Musulin

Traduzione di Sara Trincali

Crescita economica: facciamo il punto su Roma e sul Lazio con Manageritalia

Nel Lazio, nei primi tre trimestri del 2018 la crescita dei livelli di attività è stata più debole di quella registrata l’anno precedente. 

Nel comparto industriale il fatturato è moderatamente cresciuto e gli investimenti sono aumentati. Dopo la forte crescita del 2017, le esportazioni sono diminuite, anche a causa della flessione nei comparti della metalmeccanica e della chimica. Nel settore delle costruzioni, invece, la produzione ha ristagnato, mentre in quello immobiliare le compravendite sono aumentate a un ritmo inferiore di quello medio nazionale facendo aumentare la diminuzione dei prezzi. 

Dal punto di vista economico, il Pil del Lazio ha registrato una flessione doppia (-6%) rispetto alla Lombardia (-3,3%) ma, nonostante questo, Roma si attesta nella media nazionale a livello provinciale (attorno al -6%) mentre Milano cresce di un punto. Volendo citare in alternativa i termini pro-capite a Roma la flessione è ben più marcata (-15%) rispetto a quella nazionale (-9%), nonché di Milano (-6%).

Dall’inizio della crisi Roma versa in uno stato di regressione in termini di Valore Aggiunto, che segna una riduzione pari a circa il 5%, a differenza di Milano che invece marca un incremento dell’1,5%.

Diverso, fortunatamente, è il discorso legato all’imprenditoria. Infatti, sono 657.855 le imprese registrate al 31 dicembre 2018 nella regione Lazio, pari al 10,8% del totale delle imprese italiane e, se nello stesso anno le iscrizioni sono state 39.543 e le cessazioni 29.322, non si può non sottolineare un saldo positivo di 10.221 imprese. Con questi dati ed in termini assoluti, il Lazio è la prima regione italiana per crescita del numero delle imprese, seguita da Campania e Lombardia. 

In via generale, tutte le province del Lazio registrano un valore positivo e superiore alla media nazionale (+0,52%), con Roma capofila in Italia che, nel 2018, ha registrato un +1,81% – pari a 8.916 imprese in più -, facilmente traducibile con il tasso di crescita più alto tra le province italiane e più del triplo rispetto alla media italiana. 

Se le società di capitali rappresentano ancora la percentuale maggiore di imprese registrate nonostante il continuo calo che si è avuto nel corso degli anni, va sottolineata la continua crescita delle imprese individuali.

Spostando l’analisi sul mercato del lavoro, l’occupazione è aumentata (+1,2%) ma a un tasso inferiore a quello registrato nel 2017 e, al calo degli occupati nei servizi e nelle costruzioni, si è contrapposta una crescita nell’industria e in agricoltura. L’aumento ha interessato i lavoratori dipendenti, soprattutto a tempo determinato e contemporaneamente si assiste all’aumento del tasso di disoccupazione che tocca quota 11,9%. Questo dato dipende anche dalla riduzione del fenomeno dello scoraggiamento, cioè dell’entrata nel mercato del lavoro da parte di popolazione attiva fino a quel momento rinunciataria, motivo per il quale i dati evidenziano una diminuzione del 4,3% degli inattivi.

A questo punto un doveroso accenno va fatto ad uno dei settori produttivi che alimentano l’economia di Roma, e cioè il turismo, perché prendendo spunto dai dati di performance della capitale, possiamo fare una panoramica sul posizionamento mondiale di Roma relativamente a 6 indicatori. 

Tra gennaio e agosto le presenze turistiche nella Città Metropolitana di Roma sono aumentate del 3,1% su base annuale, rappresentando circa il 90% del totale regionale.Nonostante le potenzialità nel turismo, va detto che Roma si posiziona al 4° posto – dietro Berlino – per numero di pernottamenti con un trenddi crescita in rallentamento a differenza della media europea. La permanenza media degli stranieri negli esercizi ricettivi con un range che va dai due ai sei giorni, rappresenta una curva negativa considerevolmente inferiore ad altre capitali europee – si pensi che Londra e Amsterdam hanno una permanenza media di rispettivamente 6,2 e 3,9 giorni -. Analogamente, analizzando l’indice delle conferenze e degli eventi business, che rappresentano una componente ad alto valore aggiunto della filiera turistica in termini sia economici che strategici, dove lo spendinggiornaliero pro-capite è circa 5 volte quello di un turista tradizionale, Roma si posiziona solo 20esima come numero di eventi. A titolo meramente esemplificativo, gli eventi in questo settore organizzati sono stati appena novantasei nell’anno 2016, pari a circa la metà di quelli organizzati nella città di Parigi.

Prendendo ad esempio i due benchmarkrappresentati da Parigi e Londra per fornire una panoramica del posizionamento di Roma, si riporta la situazione relativamente a 6 indicatori.

Una situazione certamente non esaltante e che fotografa in maniera impietosa lo stato di Roma. Riassumendo: Roma è una città che non ha saputo rimanere agganciata al treno delle principali capitali europee in termini di branding, innovazione, qualità della vita e cultura ma, nonostante questo, riesce a distinguersi per il maggior numero di imprese e di lavoratori, anceh se la ricchezza prodotta risulta essere inferiore.

La velocità del cambiamento nell’economia, le nuove tecnologie, le tipologie contrattuali meno “solide” stanno creando un senso molto forte di incertezza sulle prospettive reddituali future delle famiglie e in particolare dei giovani che restano i più penalizzati in termini di opportunità lavorative. I numeri presentati testimoniano infatti una riduzione delle SpA (-13%) e un’esplosione della micro-impresa in settori a basso valore aggiunto come Commercio ambulante (+30%) e Affittacamere (+150%). Molte grandi aziende stanno riposizionando e modificando le loro strategie di investimento, penalizzando Roma che in questa fase non gode di una buona immagine come “città d’affari”. Ma, oltre all’impatto negativo delle grandi imprese che lasciano la città, il danno più rilevante deriva dalle nuove imprese che non riusciamo ad attrarre. In controtendenza ai dati sopra citati, invece, abbiamo segnali di sviluppo consistenti che si registrano nel mondo delle start up innovative e nell’economia della conoscenza, con un utilizzo di forza lavoro qualificata ben al di sopra della media nazionale. Nel Lazio, tra il 2012 e il 2016, la quota di occupati in possesso di una laurea si è attestata in media al 26,1%, determinando un valore più contenuto della media UE-28 (33,0%) ma superiore alla media nazionale (20,2%). Roma è il primo polo universitario italiano per numero di studenti (14% del totale), con il gruppo economico-statistico che conta il maggior numero di iscritti, anche se poi nel World University Ranking Roma si posiziona al 65° posto.

La capacità innovativa del Lazio è più elevata della media nazionale, grazie a una buona dotazione di capitale umano occupato di elevata scolarizzazione e specializzazione e alla ricerca svolta dalle istituzioni pubbliche. Malgrado ciò, appare persiste un sentimento di minor soddisfazione per l’attività innovativa delle imprese.

Roma può contare su una rete di circa 20 tra incubatori ed acceleratori, 12 Fab Labs, 5 Technology Transfer Centers, più di 50Smart Working Centerse più di 20 associazioni ed istituzioni con specifici programmi imprenditoriali dedicati alle start uptecnologiche.

Alla fine del 2018 nel Lazio erano iscritte al Registro delle imprese delle Camere di Commercio 1079 start up innovative, circa il 10% del totale nazionale, di cui 969 localizzate nella provincia di Roma, rendendo così questa regione la seconda per numero di start updopo la Lombardia (2417).

l’importanza di questi dati, ha portato Manageritaliaa presidiare da alcuni anni il settore delle start upinnovative, con iniziative nazionali e progetti territoriali. 

Lo scorso anno è iniziato in versione sperimentale un progetto che chiamato “Start Up & Hope”, con l’intento di portare nelle ultime classi delle scuole superiori la metodica più innovativa oggi presente per creare start up. Il progetto ha avuto come partner l’Associazione Nazionale Presidi e Lazio Innova e, per facilitarne l’ingresso nelle scuole, il progetto è stato presentato ammissibile all’iniziativa governativa “Alternanza scuola-lavoro”.

Sono state così realizzate sessioni informative/formative in 26 istituti superiori di Roma e del Lazio, incontrando più di 1200 studenti. Le idee presentate dagli studenti, attraverso progressivi filtri che ne hanno definito meglio le caratteristiche e la fattibilità, hanno dato vita a 16 idee progettuali. Di queste sei sono diventate progetti d’impresa e, alla fine del processo di affinamento e selezione, due dei progetti sono stati portati in pre-incubazione presso Lazio Innova.

Roberto Saliola


“La disciplina de un empresario” de Bill Aulet

“Este libro fue pensado como una caja de herramientas para apoyar los empresarios novicios – y emprendedores mas expertos – a costruir empresas de éxito basados en productos innovadores. Tambien los emprendedores seriales con consolidada experiencia en un campo o en un sector especifico, pueden reconocer en este 24 pasos una guía útil para traer de una manera mas efectivo los productos en el mercado.
Como empresario, me fueron útiles muchas fuentes, de los libros a los mentores, sobre todo mi experiencia directa.  Sin embargo, no he encontrado uno aún unica capaz de fusionar diferentes aspectos exhaustivamente.”

Como no hay manual antes de ahora ha puesto nunca junto teoría y práctica, estudio y experiencia,de una manera totalmente exhaustiva, el carismático empresario Bill Aulet, Director General de Martin Trust Center for MIT Entrepreneurship en el MIT y profesor a la Sloan School Management de MIT, decidió escribir un libro que fue una grande inspiración para muchos gerentes de todo el mundo, “La disciplina de un  empresario”,  publicado en Italia  por Franco Angeli.

Este texto se convirtió en un best seller internacional traducido a más de veinte idiomas,  consiste en lo que Bill Aulet ha definido los 24 pasos necesarios para crear una strart up de éxito, siguiendo los pasos de los mejores, pero también aprendiendo a caminar, con coraje y expectativa, caminos nunca antes golpeados.

Como en un juego de ganso 2.0., que no es un “juego” en absoluto,  el autor explica, con estilo deslizante y método intuitivo, el “viaje” que todo empresario potencial debería hacer y cómo se puede enseñar el espíritu empresarial y, entonces, aprendido por cualquiera, con la humildad de los que tienen profunda confianza en sus propios medios, pero también con la conciencia de que incluso el mejor “instinto” debe refinarse y mantenerse en entrenamiento gracias al estudio y la experiencia en el campo.

Bill Aulet divide los primeros 24 pasos a seguir para crear una actividad y gestionarla con éxito en seis temas principales que responden a la mayor cantidad de preguntas fundamentales para comenzar con el pie derecho:

1.¿Quién es tu cliente?
2.¿Qué puedes hacer por tu cliente?
3.¿Cómo el cliente compra su producto?
4.¿Cómo obtienes ganancias con tu producto?
5.¿Cómo diseñas y construyes tu producto?
6.¿Cómo puedes expandir tu negocio?

Preguntas aparentemente simples,pero a lo cual es necesario dar desde el principio las respuestas más sólidas y concretas posibles para no tener fallas en el proyecto. Cada tema consta de una serie de pasos a seguir antes de abordar el siguiente tema y cada paso es diseccionado por el autor también gracias al uso de ejemplos prácticos, diagramas, tablas, hojas de resumen y cómics comprensivos y comprensivos.

Al final de los 24 pasos, el empresario podrá enfocarse mejor y, entonces, para mejorar su idea de negocio, identificando la oportunidad de mercado adecuada para aprovechar y combinando los aspectos puramente económicos y productivos con los recursos humanos disponibles para ellos.
La eficiencia, tanto en la gestión como en la construcción del producto y en su promoción a favor de los clientes objetivo, son los objetivos a alcanzar que pondrán en movimiento el círculo virtuoso que debe caracterizar la vida de cada empresario,son los objetivos a alcanzar que pondrán en movimiento el círculo virtuoso que debe caracterizar la vida de cada empresario,Tanto por su papel en la sociedad, como por su satisfacción personal, entre empatía y competitividad. Un empresario disciplinado es un empresario que, además de construir personalmente para sí mismo, comprende y evalúa todo potencial, incluso un favor de los demás, ya sean clientes o competidores, de acuerdo con los valores de un sistema social más alto que debería ser para todo el terreno fértil sobre el cual sembrar su futuro y cosechar los beneficios.

Maria Tringali

Traduzione di Sara Trincali


“Noam Chomsky – Venti di protesta” con David Barsamian

Il libro di oggi è senza dubbio fuori dai normali canoni di Sistema Generale, sia per i temi trattati che per la modalità con cui è stato scritto. Edito dalla casa editrice fiorentina Ponte alla Grazie e pubblicato nell’ottobre del 2018, “Venti di Protesta – Resistere ai nemici della democrazia” raccoglie una serie di interviste di Noam Chomsky raccolte da David Barsamian in un periodo che va dal giugno 2013 allo stesso mese del 2017, la maggior parte avvenute realmente, un paio raccolte via mail.

Il primo, Chomsky, classe 1928, è un linguista, un filosofo e scienziato cognitivista, tra i massimi teorici del linguaggio viventi e fondatore della grammatica generativo-trasformazionale, nonché docente emerito del Massachusetts Institute of Technology con alle spalle una lunghissima sequela di pubblicazioni di straordinario livello.

Il secondo, Barsamian, decisamente più giovane essendo nato nel 1945, è un attivista, fondatore e  conduttore radiofonico di una radio alternativa americana nata dalla frustrazione per la mancanza di voci progressiste, giornalista indipendente rispettato in tutto il mondo per analizzare i problemi sociali, economici ed ambientali più urgenti e globali che già in altre occasioni ha collaborato con Chomsky.

Il frutto di questa collaborazione è un volume con dodici interviste che spaziano dallo “Spionaggio di stato e democrazia” alla “Presidenza Trump”, indagando ciò che è sotto gli occhi di tutti noi.

Il Medio Oriente, la radice dei conflitti, le strategie della paura piuttosto che le crisi e le mobilitazioni, i sistemi di potere che non regalano nulla e la memoria dell’uomo, l’analisi dell’ISIS, dei curdi e della Turchia, il senso del voto e delle elezioni, le alleanze e il controllo e, infine, l’auspicio verso una società migliore.

Chomsly parla di questi argomenti che storicamente sembrano così lontano da noi, con la pacatezza e la razionalità che lo contraddistinguono, senza mai diventare un maestro o un saggio supponente. Anzi, incarna una figura di riferimento che ci spinge ad interrogarci realmente su quello che vediamo e che soprattutto sentiamo intorno a noi, ricordandoci l’importanza della nostra intelligenza, unico strumento per fronteggiare e comprendere ciò che ci circonda ma, soprattutto, per capire realmente quello che sta succedendo intorno a noi e cosa è necessario fare perchè «Non possiamo ignorare che siamo in un momento unico della storia umana. Per la prima volta le decisioni che prenderemo determineranno la sopravvivenza o meno della specie. Non era così in passato. Oggi lo é.»

Personalmente ho letto questo libro due volte a distanza di poco tempo con la volontà di capirlo a fondo. Durante la seconda lettura mi sono imposta di non leggere le datazioni riportate sotto ogni intervista per non classificarle temporalmente “lontane” dal giorno d’oggi. Con immensa – ma amareggiata –  sorpresa ho ritrovato, anche nelle interviste più vecchie, una disarmante attualità.

Chomsky allora è un veggente? No. È una persona dotata di una grande capacità di analisi reale di ciò che lo circonda, sicuramente fonte di sapere inesauribile. Il suo particolare attivismo ed impegno politico e il suo essere un innovatore radicale, lo collocano tra le dieci fondi più citate nella storia della cultura – al fianco di  Shakespeare, Marx e la Bibbia -.

Questo volume diventa allora uno strumento per capire il mondo di oggi e per assumerci la responsabilità delle nostre scelte, ma prima ancora per il fatto che ci spinge a decidere cosa vogliamo per il mondo che sembra rischiare il proprio futuro. E, non potendo considerarci altro che Cittadini del Mondo, la sua sopravvivenza dipende da noi.

Volutamente, non ho voluto svelare nulla di quanto letto in questo libro, scegliendo di incuriosirvi per farvi diventare coraggiosi al punto da leggere “Venti di Protesta”, perchè Noam Chomsky ci parla della situazione politica mondiale di oggi (non di ieri) ed è un libro intriso di urgenza.

L’urgenza di fare qualcosa. 

Innanzitutto oggi.

Soprattutto qui.

Francesca Tesoro

“Il Cliente”: spunti di riflessione, dalla pellicola alla realtà

“Il Cliente” è un’avvincente pellicola del 1994, diretta da Joel Schumacher e interpretata da Susan Sarandon, Tommy Lee Jones, Brad Renfro e Mary-Louise Parker, tratta dall’omonimo romanzo di John Grisham.

Il protagonista della storia è Mark, un ragazzino ribelle che, a soli undici anni, conduce un’esistenza particolarmente difficile, cercando di essere un punto di riferimento per il fratellino più piccolo e di dare meno preoccupazioni possibile alla giovanissima madre, sola e con un lavoro precario. Un pomeriggio i due fratelli assistono casualmente al suicidio di un avvocato legato alla mafia statunitense che confida a Mark dove si trova il cadavere di un senatore da poco ucciso e la loro vita cambierà per sempre. Mentre il fratellino è ricoverato in ospedale a causa dello shock e sua madre è assalita dai giornalisti, Mark, messo alle strette dall’FBI, che vuole conoscere tutte le informazioni in suo possesso, decide di rivolgersi a Reggie Love, un’avvocatessa coraggiosa, dal passato difficile, che non ha nessuna intenzione di lasciare in balia delle trame, non sempre trasparenti, della legge, un cliente così speciale come Mark.

Lasciando da parte la trama legal-thriller per lo sviluppo della quale Grisham e Schumacher dimostrano di essere maestri, ciascuno nel proprio ruolo, questa pellicola offre numerosi spunti di riflessione sulla figura del “cliente” a tutto tondo, applicabili a molteplici e variegati contesti, sia in ambito aziendale, sia in ambito imprenditoriale.

Il piccolo, ma estremamente intelligente, Mark, infatti, può essere l’emblema del cliente tipo, difficile e sospettoso, e il rapporto di fiducia che l’avvocatessa Love riesce a stringere con lui, nonostante le difficoltà e il pericolo che entrambi corrono, ha un valore paradigmatico, dimostrando che non tutte le dinamiche che riguardano i clienti sono di natura prettamente economica.

Qualsiasi cliente, infatti, si trova in una posizione di forza, in quanto datore di un generico potere di acquisto, ma, nello stesso tempo, può trovarsi in una posizione di debolezza. Lo stesso Mark, quando si rivolge a Reggie Love, non è pienamente consapevole dei propri diritti e neanche dei propri bisogni, circostanza nella quale potrebbe trovarsi un qualsiasi cliente. Il modo migliore per guadagnare un cliente soddisfatto, che resti affezionato e fedele nel tempo, è renderlo edotto dei propri diritti, seguendolo passo passo e consigliandolo su quali siano le sue reali esigenze più profonde che, andando oltre l’aspetto economico, sono le stesse dell’azienda o dell’imprenditore.

Non sempre, infatti, il cliente sa cosa desidera realmente, così come, a volte, è convinto di avere necessità che invece risultano essere secondarie. Ecco, dunque, che la corretta comunicazione col cliente è alla base di un rapporto di fiducia profonda e soddisfacente. Mark e Reggie hanno spesso scambi di vedute colmi di tensione e la capacità dell’avvocatessa di correre rischi pur di fare gli interessi del proprio cliente che, in ultima istanza, sono anche i suoi, rende alla perfezione l’ideale rapporto che potrebbe esserci tra cliente e azienda a tutto tondo.

Il cliente va difeso e protetto, a costo di correre qualche pericolo. Tuttavia, anche il cliente commette errori, più o meno consapevolmente, ma, con la giusta strategia e facendo appello alla fiducia guadagnata assumendosi i giusti rischi, è possibile condurlo verso le decisioni migliori per tutti.

Pensando alla storia di Mark e Reggie, la quale si prenderà cura di lui come si prendeva cura dei suoi stessi figli, dei quali non ha più la custodia a causa di un passato come alcolista, e cercherà di instaurare anche un rapporto di fiducia con la giovane madre di Mark in difficoltà economiche, si può giungere alla conclusione che un cliente è come un figlio che ha un’altra mamma: è difficile calcolarne il valore e impossibile dargli un prezzo differenti da quello giusto.

Alessandra Rinaldi

“Ricominciare dalla Crisi”: un libro inaspettato

Ricominciare dalla crisi”, a cura di Massimo Orlandi e Paolo Ciampi, edito dalla Romena – Casa Editrice, quinta edizione della collana “Le parole e il silenzio”, è senza dubbio un libro inaspettato.

Inaspettato, prima di tutto perché lo abbiamo incontrato nella foresteria di un monastero ed era stato scelto per altro, invece, leggendolo ci si è rese conto che avrebbe dovuto avere uno spazio in Sistema Generale.

Inaspettato, per ciò che racchiude. In realtà questo libro, è la sintesi di un viaggio fatto di incontri che – nello specifico di questo titolo – sono avvenuti nel 2011 in alcuni dei luoghi più suggestivi del Casentino, permettendo ad un pubblico divenuto sempre più numeroso, di interfacciarsi con – cinque, per la precisione – presenze autorevoli e diverse per sognare con occhi nuovi e ridare slancio al quotidiano.

Inaspettato, per le tematiche affrontate e le personalità con cui si sono svolti gli incontri.

Le riflessioni riportate nel volume sono quattro, non con l’intento di recriminare e replicare talk show già visti che parlassero, indagando, la grande crisi economica di inizio secolo, ma con l’obiettivo di analizzare la possibilità del futuro e dei suoi bisogni, descrivendolo come un ragionevole punto di riferimento, attraverso speranze, valori e idee.

Le personalità che hanno fatto parte di questo viaggio, invece, sono assolutamente diverse tra loro ma decisamente complementari.

Silvia Ronchey, storica bizantinista e docente di filosofia classica e civiltà bizantina all’università di Siena, ha partecipato all’incontro che ha preso il titolo “La storia Siamo Noi”. Pier Luigi Celli, laureato in sociologia, imprenditore e dirigente d’azienda che per molto tempo ha gestito incarichi di direzione delle risorse umane, è stato direttore generale dell’università Luiss Guido Carli ed ha affrontato la “Fame di Futuro”.Vandana Shiva– ecologista, attivista, scienziata e filosofa – e Wolfgang Fasser – musico terapista e fisioterapista, non vedente – hanno invece parlato del “Ritorno alla Terra”.Roberto Mancini, docente di filosofia teoretica all’università di Macerata, ha dato una lettura diversa della crisi, completando il volume con l’ultima sezione intitolata “Più Forti della Crisi”.

La storia Siamo Noi”

Silvia Ronchey, durante il suo incontro avvenuto nell’aprile del 2011, ha parlato del passato, sicuramente per la sua identità di storica, ma soprattutto perché conoscere la storia non è solo prezioso, ma necessario, essendo l’impalcatura del nostro presente.

Guardare al passato per migliorare il presente, ha un valore provocatorio, ma un fondo di verità. Del resto, non si può ragionare senza considerare che l’esperienza del passato e l’impalcatura del presente – o del futuro – possono reggersi solo su una solida memoria che assicura realtà e consistenza. Studiare il passato, analizzarlo ed elaborarlo nella sua complessità, come dice la Ronchey, è necessario per avere un futuro. Si progredisce attraverso la bellezza della ricerca che è come un cammino, sicuramente faticoso, ma che produce cambiamenti tanto internamente quanto esternamente. Ed anche se l’epoca attuale condiziona la – nostra e personale – ricerca storica, la storia  fa il presente e un bravo storico deve comportarsi un po’ come un giudice che in modo obiettivo ascolta e determina l’istruttoria. È indubbio che la storia divenga un veicolo di cambiamento, soprattutto in un periodo come quello di oggi – nel nostro 2019 più che mai – dove la globalizzazione e la velocità delle informazioni ci distraggono, di deviano, ma soprattutto abbassano violentemente la nostra soglia di attenzione facendoci perdere la bellezza di un percorso di apprendimento meditato.

Fame di Futuro”

Una delle prime domande che si è sentito porre Pier Luigi Celli nel maggio del 2011, è stata quella di uno studente che gli ha chiesto se fosse meglio seguire i propri sogni o se, al contrario, era meglio metterli da parte scegliendo un atteggiamento più pratico e quindi preferire un indirizzo universitario che garantisse un lavoro.

Tanto allora quanto oggi, lo stato d’animo della generazione ricompresa tra il post liceale e il “lavoro stabile”, è ancora di un grigio scuro che non sta bene a chi avrebbe tutte le forze e la voglia di spingere fino in fondo sull’acceleratore dei sogni.

Siamo di fronte a un paese distratto che ha poca cura dei giovani, dei loro bisogni, delle loro necessità e del loro futuro. Siamo di fronte ad una generazione che si sente tradita. E proprio sull’onda di questo tradimento, reiterato aggiungo io, Pier Luigi Celli ha rivolto ai giovani un appello: riprendersi in mano il destino che gli è stato sottratto smontando qualche luogo comune sulla ricerca del lavoro.

I giovani non possono permettersi di demordere ed anzi devono puntare sulle qualità apparentemente poco valutate e valorizzate: la curiosità, l’entusiasmo, le proprie passioni.

Quelli che sono giovani ma ce l’hanno fatta, sono coloro che hanno avuto spazio, quelli che sono stati messi nella condizione di sbagliare e rischiare, perchè un problema dei giovani di oggi è che, se nessuno si prende cura di loro e li aiuta ad ambientarsi nei vari ambienti che vivono e non li sostiene nei progetti che fanno o nelle idee che hanno, non sapranno da che parte andare. E questa responsabilità spetta agli adulti. Celli lo dice chiaramente e senza mezzi termini. Conoscere le persone e parlare con loro significa guardare oltre la radiografia che rappresenta il cv di quella stessa persona e viceversa. È parlando e conoscendo le persone che ci si rende conto della loro storia e delle capacità che lo renderanno adatto o meno al ruolo. È una cosa di una importanza fondamentale. Perchè siamo uomini e donne fatti non solo di razionalità, di sapere e competenze, ma anche di sentimenti e passioni che sono il nostro motore animativo e che concorrono a completare e determinare il nostro modo di essere.

Per fare il manager, ci ricorda Celli, o qualsiasi ruolo per il quale si immagini che ci sia qualcuno al di sotto della nostra catena operativa, c’è bisogno di una testa larga, generosa, pensante. È necessario un pensiero critico che analizzi le cose prima di farle e che se ne chieda il senso. Invece, siamo stati costretti a sviluppare un pensiero altamente operativo, tecnico, immediato e produttivo che ci porta a fare le cose meccanicamente e senza chiederci il senso.

E ancora, nella discussione sono emersi altri due concetti che oggi affrontiamo sempre di più perché ci rendiamo conto che vengono meno e, invece, potrebbero diventare la soluzione per superare questa crisi sistemica nella quale ormai ci siamo impantanati: i “cervelli” che scappano altrove e lo spirito di gruppo, che si intrecciano tra loro.

La fuga dei cervelli, il problema importante non è che li perdiamo e basta, è che per quanto possano scapparne dall’Italia non ne importiamo abbastanza per creare quell’auspicabile scambio e ricambio culturale, perchè fondamentalmente, perdiamo i migliori che non trovano soddisfazione – non solo economica – nel loro paese.

Allora, una soluzione per affrontare la crisi, secondo Celli, sarebbe quella di alimentare un numero di persone sempre maggiore che vogliono provare a superarla questa crisi, dove alcuni falliranno, altri riusciranno, altri ancora daranno vita a cose diverse. Ma questo sarà possibile solo quando si riuscirà ad insegnare ai nostri ragazzi a essere imprenditori di se stessi e a porsi meglio sul mercato, riuscendo a negoziare la propria competenza.

D’altronde, se si mettono i ragazzi nella condizione di poter fare qualcosa, loro lo fanno e lo sanno anche fare bene, ma bisogna assumersi il rischio di lasciarli fare.

In gruppo è meglio, perchè ognuno ha qualcosa di diverso da mettere in pratica e ci si completa a vicenda. Ma il mondo del lavoro è cambiato tantissimo e la prima difficoltà è quella di prendere coscienza e consapevolezza che da soli non si va lontano, al contrario e a qualsiasi livello la propensione a giocarsi la propria vita in solitaria è cresciuta tantissimo.

Ritorno alla Terra”

Due percorsi estremamente differenti collegano queste due personalità così simili: Vandana Shiva ecologista, attivista, scienziata e filosofa, icona mondiale delle battaglie per la difesa della biodiversità e Wolfgang Fasser musico terapista e fisioterapista, non vedente, che predilige uno stile di vita essenziale a cavallo tra la toscana e il Lesotho dove pratica la professione in favore dei più deboli. Ciò che li accomuna è il sentimento che la terra è il “luogo dove la vita ci parla” e l’idea che per affrontare i guasti del presente, non serve chissà quale medicina ma un atteggiamento ben preciso: sgonfiare l’ego dell’uomo, chiedendogli di abbassarsi quanto basta per tornare a sentire la voce della terra.

Per noi, questi concetti potrebbero sembrare completamente lontani da qualsiasi logica. E invece è il contrario. Hanno ragione quando sostengono che sia necessario creare una cultura alternativa, fatta di rispetto per noi e per il futuro di chi verrà, della natura e del nostro pianeta, per la biodiversità. Vandana Shiva ci ricorda che dovremmo prendere anche un po’ esempio da questa biodiversità che è intelligente, creativa e che fa moltissimo per noi. Come dovremmo abbandonare l’illusione della crescita economica legata alla realtà dell’abbondanza che esiste nella normale concezione di tutti.

Hanno ragione entrambe quando dicono che la natura è oramai vista solo come una fonte materiale da sfruttare per interessi economici e non come colei che produce la capacità creativa degli esseri umani. La natura è la prima grande maestra che ci insegna, ci fa capire chi siamo ed è tanto piena di analogie con ogni singolo individuo che, solo mettendoci in suo ascolto, potremmo capire semplicemente la vita aiutando le persone a riscoprire la loro capacità di ascolto.

Come in natura la diversità è una ricchezza nelle relazioni, la stessa cosa dovrebbe essere tra i suoi abitanti, riuscendo a rivisitare e riesaminare tutte le idee della ricchezza, dell’economia, delle comunità e delle relazioni, abbandonando l’ossessione per i soldi che oscura la vita di comunità e le sue relazioni.

Più Forti della Crisi”

Roberto Mancini è un filosofo per il quale la filosofia significa saper leggere le logiche di costruzione dell’esperienza della vita individuale e della società. È il tentativo di decifrare le logiche di costruzione dell’esperienza, permette di non essere dominati da logiche che non si conoscono e di cui nemmeno ci si rende conto. Per quanto possa sembrare assurdo, l’essere umano è in continuo movimento e la filosofia è concreta, è coltivazione della sensibilità e della lucidità necessaria in questo movimento perpetuo.

La crisi della nostra società, non è una crisi sorta solo sull’onda del crack delle banche e dei mutui americani, è la rappresentazione di un sistema che non ha – più – i fondamenti di giustizia e che quindi produce, vive e fabbrica crisi a ciclo continuo. Parliamo di un sistema che ha dimenticato completamente il senso, il significato e il valore del fattore umano – ricordate ? – dove le persone non sono più tali ma diventano, a seconda dei casi, risorse o esuberi. Un sistema che ha messo da parte qualsiasi modo di intendere la vita che non sia legato all’economia, che ha dimenticato la differenza tra un fine da raggiungere e uno strumento per raggiungere il fine, un sistema che ha dimenticato di riconoscere la dignità delle persone, delle relazioni del mondo naturale.

E siccome le crisi sono tutte senza memoria, il primo passo dovrebbe essere proprio quello di recuperare la memoria delle crisi che nel passato si sono verificate, perchè siamo pronti a cercare le soluzioni alle crisi, ma dimentichiamo sempre di analizzare le cause che le hanno generate. Abbiamo perso il senso della bellezza del radicamento etico e dell’orientamento interculturale, nel nostro agire e nel nostro essere.

Roberto Mancini durante il suo incontro avvenuto nell’ottobre del 2011, ha citato sorprendentemente Simone Weil, quando ha detto “una civiltà fondata su una spiritualità del lavoro sarebbe il grado più elevato di radicamento dell’uomo nell’universo”.

Abbiamo dimenticato uno dei bisogni ancestrali dell’uomo, quello di poter convivere in un ordine armonico interiore, sociale, civile, con la natura, perchè l’uomo e la donna sono fatti di relazione ma ci siamo lasciati convincere che invece siano solo re(l)azione.

Nell’armonia si sviluppa la libertà ed è un dato di fatto che intelligenza della speranza, metodo e l’integrità delle persone, sono tre elementi fondamentali e ricorrenti che troppo spesso vengono messi da parte. Bisognerebbe uscire dalla logica di isolamento e competizione, risvegliando in noi la corresponsabilità del mondo comune e per la cura dell’integrità delle persone.

Ciò che ci vuole, è il cambiamento ed è un processo che richiede diversi passaggi.

Primo, il risveglio: riconoscendo che le logiche dominanti non sono adeguate, il mondo sarà cambiato quando le persone si renderanno conto che saranno felici e si prenderanno cura degli altri.

Secondo, la creazione di zone franche dove non contano più le cose materiali ma si da vero valore e peso alle persone.

Terzo, cambiare la nostra esistenza quotidiana, recuperando il buon funzionamento della vita sociale, l’educazione, l’economia, la politica e l’informazione di un tempo.

Il cambiamento è ostacolato dallo sguardo e dal cuore chiuso con cui ogni mattina affrontiamo quel pezzo di vita. Ognuno di noi ha una serie di doveri, dare peso e valore alla nostra libertà, al nostro percoso, alla nostra dignità e non lasciare, mi permetto di concludere, che il primo sciacallo incontrato sulla via ci convinca di tutt’altro, riuscendo magari anche a farci cambiare idea, atteggiamenti e convinzioni.

E di questi sciacalli ne sono piene le pagine di giornale, i telegiornali e le strade.

Buona lettura!

Francesca Tesoro

“La disciplina dell’imprenditore” di Bill Aulet

“Questo libro è stato ideato come una cassetta degli attrezzi per supportare gli imprenditori alle prime armi – e imprenditori più esperti – a costruire imprese di successo basate su prodotti innovativi. Anche imprenditori seriali con consolidata esperienza in un campo o in un settore specifico, possono riconoscere in questi 24 passi una guida utile per portare in maniera più efficace i prodotti sul mercato.

Come imprenditore, mi sono state utili molte fonti, dai libri ai mentor, e soprattutto la mia esperienza diretta. Tuttavia, non ne ho ancora trovata una unica in grado di unire diversi aspetti in modo esaustivo”.

Siccome nessun manuale prima d’ora ha mai messo insieme teoria e pratica, studio ed esperienza, in modo totalmente esauriente, il carismatico imprenditore Bill Aulet, Direttore Generale del Martin Trust Center for MIT Entrepreneurship presso il MIT e docente alla Sloan School Management del MIT, ha deciso di scrivere un libro che è stato di grande ispirazione per molti manager in tutto il mondo, “La disciplina dell’imprenditore”, edito in Italia da Franco Angeli.

Questo testo, divenuto un bestseller internazionale tradotto in oltre venti lingue, è costituito da quelli che Bill Aulet definisce i 24 passi necessari per creare una start up di successo, seguendo le orme dei migliori, ma anche imparando a percorrere, con coraggio e aspettativa, strade mai battute prima.

Come in un gioco dell’oca 2.0, che non è affatto un “gioco”, l’autore spiega, con stile scorrevole e metodo intuitivo, il “viaggio” che dovrebbe compiere ciascun potenziale imprenditore e come l’imprenditorialità possa essere insegnata e, quindi, imparata da chiunque, con l’umiltà di chi ha profonda fiducia nei propri mezzi, ma anche con la consapevolezza che persino il “fiuto” migliore vada affinato e tenuto in allenamento grazie allo studio e all’esperienza sul campo.  

I primi 24 passi da fare per dare vita a un’attività e gestirla con successo sono suddivisi da Bill Aulet in sei tematiche principali che rispondo ad altrettante domande fondamentali per iniziare col piede giusto:

  1. Chi è il tuo cliente?
  2. Cosa puoi fare per il tuo cliente?
  3. Come acquista il cliente il tuo prodotto?
  4. Come realizzi profitto con il tuo prodotto?
  5. Come progetti e costruisci il tuo prodotto?
  6. Come puoi espandere la tua impresa?

Quesiti solo apparentemente semplici, ma ai quali è necessario impostare risposte il più solide e concrete possibile fin dal principio per non avere falle nel proprio progetto. Ogni tema è costituito da un determinato numero di passi da compiere prima di affrontare il tema successivo e ciascun passo è sviscerato dall’autore anche grazie all’uso di esempi pratici, schemi, tabelle, schede riepilogative e fumetti simpatici ed esplicativi.

Alla fine dei 24 passi del percorso l’imprenditore sarà riuscito a focalizzare meglio e, quindi, a valorizzare la propria idea imprenditoriale, individuando la giusta opportunità di mercato da cogliere e coniugando al meglio gli aspetti prettamente economici e produttivi con le risorse umane che ha a disposizione. L’efficienza, sia nella gestione, sia nella costruzione del prodotto e nella sua promozione a favore del target di clienti, sono gli obiettivi da raggiungere che metteranno in moto il circolo virtuoso che dovrebbe caratterizzare la vita di ciascun imprenditore, tanto per il suo ruolo nella società, quanto per la sua personale soddisfazione, tra empatia e competitività. Un imprenditore disciplinato è un imprenditore che, oltre a costruire un’attività per se stesso, ne comprende e ne valorizza ogni potenzialità anche a favore degli altri, che siano clienti o competitor, in accordo con i valori di un più alto sistema sociale che dovrebbe essere per tutti il terreno fertile su cui seminare il proprio futuro e raccoglierne i frutti.

Maria Tringali

Matera: Capitale Europea della Cultura 2019

Il programma di inter scambio europeo con più di trent’anni di storia alle spalle, strumento di sviluppo territoriale ed economico con alla base l’obiettivo primario di  avvicinare i cittadini europei alle meraviglie del nostro continente, conosciuto come “Capitale della Cultura Europea”, quest’anno ha incoronato la città di Matera.

Per capire bene di cosa stiamo parlando, ripercorriamo un po’ di storia….

Inaugurata nel giugno del lontano 1985 grazie all’iniziativa dell’allora Ministro della Cultura greco Melina Mercouri, questa manifestazione ha attraversato gli anni divenendo una delle celebrazioni europee che hanno avuto più successo e impatto, nonché i maggiori risvolti sociali ed economici, grazie all’importante visibilità – non solo turistica- che ha determinato per le singole realtà locali che vi hanno partecipato nell’arco degli anni.

Se inizialmente le destinazioni designate erano città medio grandi che già avevano un riflesso di internazionalità e di fama culturale o turistica, il punto di svolta si ebbe negli anni novanta.

La designazione di Glasgow nel 1990, infatti, dimostrò per la prima volta come tale manifestazione potesse radicalmente cambiare quelle realtà non affermate turisticamente o addirittura sconosciute a livello europeo – questa città in quegli anni era una semplice realtà industriale in declino – usando la cultura come strumento di rigenerazione economica e sociale, riuscendo, addirittura,  a far mutare l’immagine percepita a livello internazionale.

Questa esperienza spostò il focus sull’importanza delle ricadute nel lungo periodo per le realtà designate, favorendo l’espansione di una coscienza europea e la valorizzazione delle città selezionate. Così, si decise di creare una rete volta allo scambio e alla diffusione delle informazioni per gli eventi futuri. Ne seguì un ingente studio sull’impatto positivo ricevuto dalle città prescelte negli anni precedenti arrivando, nel 1999, a ribattezzare la manifestazione conosciuta come “Città Europea della cultura” nella odierna “Capitale Europea della Cultura”, determinandone il formale finanziamento istituzionale con il “Programma Cultura 2000”.

Ad opera del Parlamento Europeo, l’evento dedicato alla “Capitale Europea della Cultura” fu integrato completamente nel quadro comunitario e venne introdotta una procedura di selezione per le manifestazioni che si sarebbero tenute dal 2005 al 2019, modificata poi con una successiva direttiva del 2006 per il restante periodo dal 2007 al 2019.

Data l’importanza della designazione delle capitali europee della cultura, a partire dal 2011, si è voluto ampliare il beneficio che ne discendeva a livello locale, modificando l’unicità della scelta e permettendo ogni anno la designazione di due capitali della cultura contemporaneamente.

Qual è l’importanza di  Capitals of Culture?

Rendere anche piccoli centri urbani capitali della cultura, comporta un grande risultato. Significa, attraverso la cultura e l’arte, migliorare la qualità della vita di queste città e rafforzare il senso di comunità locale, nazionale e internazionale, permettendo ai cittadini di prendere parte attivamente allo sviluppo culturale della propria città e ai cittadini – non solo – europei di conoscere realtà che sarebbero rimaste fuori dai normali itinerari turistici e culturali. 

Capitals of Culture, infatti, determina benefici reali e duraturi che vanno dalla crescita economica per l’economia locale, tanto in via diretta quanto indiretta, alla costruzione del senso di comunità e di rigenerazione delle singole realtà coinvolte, promuovendo la coesione e incoraggiando la comprensione e il rispetto reciproci, senza dimenticare le infinite connessioni europee che può generare attraverso progetti con  partner internazionali e scambi culturali.

Come si diventa Capitale Europea? 

Partecipare a questo evento prevede un grande lavoro alle spalle, fatto non solo di progettazione. Prima di tutto ogni città che intende candidarsi deve soddisfare criteri decisamente rigidi suddivisi in due categorie:  la “Dimensione Europea” e la “Dimensione Città e Cittadini”. La prima  mira al rafforzamento della cooperazione tra gli operatori, mettendo in evidenza la ricchezza della diversità culturale europea e gli aspetti condivisi delle culture europee, la seconda invece ha lo scopo di suscitare interesse pubblico per l’evento a livello locale, nazionale ed europeo, prevedendo uno sviluppo culturale a lungo termine della città.

 Il vero e proprio processo di selezione si articola in quattro fasi.

La prima riguarda essenzialmente la presentazione delle domande, per cui, fermo restando che tutti i paesi dell’Unione Europea possono partecipare, quelli interessati pubblicano un bando nazionale – in Italia tali bandi vengono emessi dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, meglio conosciuto come MIBACT -, affinché le città interessate possano parteciparvi. Tale presentazione delle candidature deve avvenire almeno sei anni prima dell’evento al quale segue il termine di dieci mesi entro cui le città intenzionate a partecipare devono rispondere.

La seconda fase è quella della preselezione. Cinque anni  prima dell’inizio dell’evento, la giuria di selezione si riunisce per esaminare le proposte e restringere la rosa delle città che saranno invitate a proseguire il processo. La giuria è composta da 13 esperti: sette  nominati dal Parlamento Europeo, dal Consiglio, dalla Commissione e dal Comitato Europeo delle Regioni, mentre i restanti sei sono scelti dai paesi europei interessati.

Nel termine dei nove mesi successivi alla prima riunione di selezione, la stessa giuria si riunisce per esaminare i progetti delle città candidate, determinando la shortlist delle prescelte. Tali città riceveranno dalla commissione giudicatrice una relazione in cui vengono formulate una serie di raccomandazioni, realizzando la terza fase del processo, chiamata selezione finale.

L’ultima fase è quella della designazione, cioè la scelta ufficiale delle due città europee – non dello stesso stato – che saranno capitali della cultura, alla quale segue una fase di monitoraggio con l’ausilio di esperti nominati dalle Istituzioni UE che hanno il compito di aiutare  le location prescelte ad attuare i propri programmi. Tale monitoraggio si articola di due momenti, uno a medio termine – generalmente due anni prima dell’evento – per la valutazione dei progressi compiuti nella preparazione e nella dimensione europea, l’altro definito finale perchè avviene entro e non oltre gli otto mesi precedenti l’evento, per prendere atto  e valutare lo stato dei lavori preparatori.


Il percorso di Matera

Il sogno di Matera 2019 è iniziato nel novembre del 2012 quando il MIBACT pubblicò il bando per la presentazione delle candidature rivolto alle città italiane. Quell’anno risposero ben ventuno città, determinando il maggior numero di candidature in assoluto in un unico paese europeo. 

Il processo di valutazione delle candidature è stato condotto da una giuria di selezione composta da membri appartenenti al Regno Unito, alla Spagna, all’Austria e all’Estonia, oltre che dagli esperti italiani.

Riunitasi a Roma nel novembre 2013, la giuria ha proceduto alla selezione delle città italiane, tra le ventuno iniziali, che maggiormente rispecchiavano gli obiettivi dell’azione comunitaria determinando la lista finale delle delle città italiane preselezionate: Cagliari, Lecce, Matera, Perugia, Ravenna e Siena.

Immediatamente dopo ha preso vita la seconda fase per cui, nei primi giorni di ottobre 2014, i rappresentanti della giuria di selezione, i rappresentanti del MIBACT e della Commissione Europea hanno visitato le città preselezionate constatando quanto effettivamente avessero maturato lo standard europeo richiesto e che permetteva l’accesso all’esame finale. 

La giuria, quindi, effettuate le opportune valutazioni ha proposto Matera al titolo di capitale europea della cultura, ritenendola la migliore candidata tra le città italiane.

Il dossier di candidatura di Matera ha rappresentato l’occasione per definire un complesso di progetti e iniziative volte a rendere la Basilicata una regione attenta alla valorizzazione dei beni culturali e soprattutto impegnata nella rimozione delle barriere di accesso al patrimonio culturale, per mezzo dell’impiego delle nuove tecnologie. L’adozione sistematica di misure orientate a sostenere un modello di sviluppo territoriale imperniato sulla cultura e basato su un processo partecipativo diffuso della cittadinanza, ha fatto la differenza. Matera 2019 è diventata “Open Future” cioè ha realizzato la volontà di voler costruire il futuro attraverso lo sviluppo di nuove competenze nel settore culturale, con la conseguente creazione di nuove professionalità, di posti di lavoro e di politiche orientate allo sviluppo, all’allargamento e alla diversificazione del settore culturale. Il concetto di “Open Future” si riallaccia strettamente a quello trasversale  che ha attraversato tutta la proposta di candidatura della creazione di forme culturali aperte, inclusive e accessibili. 

La giuria ha ravvisato che il progetto culturale proposto da Matera fosse particolarmente valido per il miglioramento dell’accesso alla cultura grazie all’impegno delle moderne tecnologie di digitalizzazione. Di grande rilevanza è stato il coinvolgimento attivo, non solo sul piano finanziario, della regione Basilicata, delle municipalità circostanti e soprattutto la partecipazione attiva di tutti i cittadini che sono stati coinvolti nella progettazione della candidatura, rappresentando un processo che è partito dal basso per arrivare verso l’alto. 

Particolarmente apprezzato dalla giuria è stata la dimensione fortemente internazionale delle attività proposte e la conseguente capacità di creare un polo attrattivo su scala europea, con l’ulteriore intento di valorizzare l’intera area mediterranea. 

Leggendo il dossier di candidatura di Matera 2019 e tutti gli incartamenti on line relativi, emerge come la candidatura di Matera abbia innescato un processo di riqualificazione territoriale, di rigenerazione urbana -soprattutto per mezzo dell’utilizzo di una progettazione integrata che si è avvalsa della cooperazione tra pubblico, privato e comunità locali – e una pianificazione strategica territoriale di lunga prospettiva.

Il primo risultato utile e fondamentale di Matera 2019 è stato quello di rafforzare la cittadinanza culturale, incrementare le relazioni internazionali, valorizzare un movimento emergente di creative bureacracy, trasformando la piccola realtà nella più importante piattaforma aperta del sistema culturale del mezzogiorno italiano e del Sud Europa

Sicuramente Matera 2019 è da considerarsi una candidatura unitaria che ha coinvolto tutti: le principali istituzioni della regione Basilicata, i comuni di Matera e Potenza e le loro province, la Camera di Commercio di Matera e l’Università della Basilicata hanno partecipato in modo compatto e corale alla realizzazione del progetto. 

Nel corso del tempo è aumentato in maniera significativa il numero di soggetti sostenitori della candidatura che è arrivato a ricomprendere tutti i comuni della Basilicata oltrepassando i confini regionali, comprendendone anche alcuni della Murgia pugliese e del Cilento campano. 

Il sostegno delle istituzioni locali e regionali non è mai mancato fin dalla prima proposta di candidatura avanzata nel 2009 da un gruppo di giovani costituitisi nell’Associazione Culturale Matera 2019. Per rafforzare e condividere tale percorso le istituzioni hanno dato seguito al lavoro di questa giovane associazione e, nel luglio 2011, hanno istituito il Comitato Matera 2019 con una sua autonomia giuridica per  preparare e sostenere unitariamente la candidatura. 

Insomma, la risposta alla domanda “Perché Matera?” è sicuramente la volontà cosciente di voler partecipare a questa grande manifestazione europea in modo coerente e unitario per cercare di prendere al volo un’occasione di rilancio generale e generalizzato. Una volontà talmente radicata che ha messo in moto un processo di discussione sulla città e sul territorio senza precedenti. Ed è per questo che la candidatura di Matera è risultata vincente, perché tutti i cittadini ci hanno creduto fino in fondo. Questa città ha una storia da raccontare lunga secoli e in pochi ricordano che fino a qualche decennio fa era considerata la vergogna di un paese intero. Oggi invece è l’esempio migliore dato al nostro paese – e anche un po’ al mondo – di come un paese di poco più di sessantamila abitanti possa, con impegno sacrificio e dedizione, arrivare sulla cima della cultura europea.

https://www.matera-basilicata2019.it/it/

Francesca Tesoro