Sistema Scuola: Generazioni di Insegnanti a confronto

socrateDopo aver approfondito il punto di vista degli studenti, continuiamo l’analisi del Sistema Scuola. Sviscereremo l’altra metà del cuore di questo microcosmo così complesso, eppure sottovalutato, sia dalla società civile, sia dal mondo del lavoro, quasi come se, oltre ai titoli di studio, non fosse necessario coltivare l’impatto che la scuola ha sulla nostra realtà politica, nel senso etimologico del termine polis. Accanto agli alunni, infatti, il ruolo di attori all’interno delle scuole è svolto dai docenti, da sempre non solo esperti conoscitori delle varie materie oggetto di studio, ma anche pedagoghi ed educatori a tutto tondo, in grado, come diceva Socrate, di far partorire le anime degli allievi, assecondandone le inclinazioni naturali per esaltarne le propensioni.
Se quello dell’insegnante è un compito non facile dalla notte dei tempi, come è cambiato il suo ruolo nel nostro Paese dal Dopoguerra a oggi? In una scuola pubblica che, da un lato garantisce un massiccio accesso all’istruzione, ma, dall’altro soffre ancora di una forte dispersione degli allievi, sempre meno motivati, e di una crescente diminuzione dell’autostima degli insegnanti, costretti ad anni di precariato prima di raggiungere la stabilità, cosa è cambiato tra una generazione di docenti e l’altra?
A raccontarci il loro punto di vista saranno Giovanni ed Emma, nomi di fantasia, ma veri padre e figlia, entrambi insegnanti di materie umanistiche in una scuola secondaria di primo grado e primaria, ma in epoche storiche ed economiche decisamente differenti. Giovanni è ormai in pensione da molti anni, mentre sua figlia Emma è attualmente nel pieno della sua attività lavorativa. Entrambi hanno ricoperto e stanno ricoprendo il proprio ruolo nel nord Italia, anche se le radici della loro famiglia appartengono al sud e sono stati protagonisti di una storia di emigrazione e integrazione simile a tante altre nel nostro Paese durante il secolo scorso.
Di seguito saranno gli stessi Giovanni ed Emma a esporre in prima persona le loro opinioni, rispondendo separatamente alle medesime domande della nostra intervista. Ciò che se ne deduce è che solo il confronto costruttivo può aprire strade apparentemente nascoste e costruire ponti là dove i percorsi sembrano irrimediabilmente interrotti, al fine di rafforzare l’approccio sistemico anche nella fragile scuola di oggi.

Cosa rappresenta oggi per te la scuola? Come mai hai intrapreso questo mestiere e quali soddisfazioni ti ha dato/ti sta dando? Quali speranze, invece, sono state disattese?

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Giovanni: Ho intrapreso il mestiere di insegnante sin dalla Maturità. Dopo la Licenza Media Inferiore avevo già scelto la scuola superiore che mi avrebbe permesso di avere il titolo per svolgere questa attività, insegnando la materia che mi ero prefissato. Ho avuto moltissime soddisfazioni da questa scelta di vita, specialmente dal rapporto coi ragazzi sempre amichevole e paritario. Parlavamo, scherzavamo quando le circostanze lo permettevano ed eravamo seri quando c’era bisogno di impegnarsi, ma senza mai perdere il sorriso. Spesso mi stupiva la loro maturità dimostrata anche in situazioni di difficoltà e ho imparato molto da loro. Non sempre le strutture scolastiche erano idonee o pronte ad affrontare i problemi quotidiani dei ragazzi, ma, forse proprio quella povertà di mezzi, ci univa a livello umano e ci permetteva di andare oltre, raggiungendo il cuore delle cose con una determinazione che forse oggi si sta perdendo.
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Emma: La scuola è passione, pura passione. Ho intrapreso questo percorso immaginandomi insegnante fin da giovanissima. Accudire, stabilire relazioni, condurre menti attraverso percorsi fantastici alla scoperta dell’universo attorno e del proprio interiore mi è sempre sembrato il compito più misterioso e utile che si potesse affrontare.
Ho amato studiare la psicologia e la pedagogia e ho viaggiato attraverso l’aritmetica razionale per imparare a smontare e a rimontare i concetti astratti e tradurli in stimoli concreti.
La scuola, per me, rappresenta l’opportunità fondamentale e il diritto più civile alla base di ogni società. L’occasione di sviluppo più democratica mai pensata: espressione di crescita e progresso, un diritto ed un dovere, ma anche fonte di speranza per ogni tipo di cultura e di religione.
La mia soddisfazione più grande sta nel poter constatare la gioia con cui i miei alunni vengono a scuola. Scorgere l’espressione di serenità sul loro volto al loro arrivo, nel momento in cui mi seguono in un lavoro e perfino nel momento in cui sono messi alla prova; ricevere i loro continui messaggi d’amore e affetto e raccogliere le loro confidenze; sapere di essere un punto di riferimento affettivo: queste sono solo alcune delle soddisfazioni che mi muovono e mi sostengono ogni giorno. Punto di partenza e punto di arrivo.
Poter constatare progressi anche nei ragazzi che partono svantaggiati non ha prezzo. E vedere un gruppo di ragazzi che si autoregola nel rispetto reciproco e nel rispetto altrui, perché consapevoli e non perché timorosi di castigo rappresenta il successo di cui essere più orgogliosi.
A proposito di speranza, la scuola talvolta ne disattende alcune. Chiariamo però: scuola non è una entità a sé e singola. Scuola è un complesso sistema fatto di famiglie, educatori e organi territoriali.
In questo insieme articolato e delicato di speranze talvolta se ne disattende qualcuna: a cominciare dal rapporto di sinergia e corresponsabilità che dovrebbe instaurarsi in modo attivo e costruttivo tra l’istituzione scolastica e la famiglia.
Troppo spesso trovo che la famiglia concepisca la scuola quale unico luogo deputato e delegato alla crescita dei suoi minori. A volte il genitore, pur nutrendo grandi aspettative ed attese, si colloca all’esterno del percorso, con atteggiamento a priori sospettoso e percependo se stesso al di fuori, come se il processo educativo e scolastico del figlio non lo riguardasse in quanto a responsabilità.
Un’altra sinergia attesa in un sistema scolastico, ma non sempre corrisposta in misura consona, è quella che dovrebbe stabilirsi con gli organi territoriali e i committenti politici in fatto d’attenzione e di cura, specie quando si parla di fondi e finanze. Ma questo è un discorso che porta lontano, ai vertici. La spaccatura tra chi lavora e chi legifera, tra la scuola vera e chi si occupa di introdurre variazioni e riforme è sempre più grande. E non vi è una concreta condivisione di intendi e orizzonti. L’insegnante non viene quasi mai interpellato, eppure è colui che vive le situazioni nel concreto ogni giorno. Colui il quale dovrebbe avere competenza per esprimere un’attenta analisi sui bisogni e proporre soluzioni.
L’insegnante ha frequentemente l’impressione di essere rimasto l’unico e l’ultimo soggetto a rendersi conto di quanto investire in cultura ed educazione sia alla base di ogni piramide.
Tutto ciò che è scuola, educazione, cultura e formazione, dovrebbe essere interesse di ogni cittadino. Non solo del docente affaticato, del genitore accanito o dello studente in formazione. Anche perché queste tre componenti formano un insieme molto vasto della popolazione. Come può non essere argomento e dibattito comune? Noi insegnanti siamo una categoria in continuo divenire e sempre sotto osservazione. Il ruolo dell’insegnante non è un ruolo lavorativo in senso unico. La prestazione che è richiesta all’educatore include una sovra-mansione: il coinvolgimento emotivo-affettivo nel processo di crescita di un altro individuo. Così come un medico o un infermiere è coinvolto in un processo di malattia o guarigione del suo paziente, allo stesso modo un educatore è coinvolto attivamente nell’evoluzione fisica, cognitiva e prima ancora emotiva ed affettiva del suo allievo: il mio lavoro è relazione.
Questo è al contempo l’aspetto più gratificante e più faticoso, sicuramente il più significativo, del mio compito. Cosa c’è di oggettivo in una relazione uno a uno? E cosa vi è di oggettivo in una relazione uno a molti? Lo scoglio duro del sistema scuola è la valutazione dei bambini. Sulla quale, però, per quanto mi riguarda, si dovrebbe aprire un lungo capitolo a parte. Anzi, un’enciclopedia in più volumi! Una cosa è certa: i bambini ci osservano. E ci valutano. I genitori ci osservano. E ci valutano. I colleghi stessi ci osservano. E ci valutano, direttamente o indirettamente.

Quali difficoltà e criticità pratiche incontri/hai incontrato quotidianamente nel tuo percorso?

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Giovanni: I principali disagi li ho riscontrati sempre a causa di scelte politiche azzardate fatte dai vertici e che poi si ripercuotevano nella gestione quotidiana delle classi. Non tutte le riforme fatte in ambito scolastico hanno avuto, infatti, i risultati sperati e spesso hanno portato a dei peggioramenti. Anche per quel che riguarda i programmi di studio è capitato che, per rispondere a provvedimenti ministeriali, ho dovuto fare delle modifiche durante gli anni scolastici e rimodulare il tutto assieme al Collegio docenti, cosa che non è mai semplice quando si ha a che fare con ragazzi dinamici spesso difficili da tenere sui banchi. Le carenze strutturali ci sono sempre state purtroppo, ma forse ai miei tempi c’era una maggiore capacità di andare al cuore dei problemi, tralasciando il superfluo quando necessario e questa abilità ci portava a fare di necessità virtù.
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Emma: Le difficoltà che come maestra incontro oggi quotidianamente sono tante. Per quanto concerne l’organizzazione e la gestione, riscontro tuttora un eccesso di burocrazia e formalità. Si parla di dematerializzazione per ridurre carta e snellire procedure, ma in molti casi si tratta solo di aver convertito le continue e innumerevoli richieste di formalizzazione di atti, procedure e documenti in formato digitale, o addirittura sia in formato cartaceo, sia in formato digitale.
Le segreterie didattiche sono sommerse di lavoro all’insegna delle formalità, dei protocolli e dei continui cambiamenti che devono andare a regime subito e non riescono a gestire poi le comunicazioni di base per l’organizzazione di fatti semplici e contingenti.
Inoltre, sarà forse scontato, ma voglio sottolineare anche in quale stato di degrado e decadimento strutturale molte delle nostre scuole versino. Calcinacci, pioggia che filtra, muffe, mancanza di carta igienica, guasti vari e assenza di dispositivi informatici in misura congrua e persino carenza di materiale di facile consumo che spesso portiamo da casa sono tutti sintomi di una crisi che riguarda le risorse destinate all’istruzione di base pubblica.
Gestire i ragazzi oggi è molto complicato. Perché bambini, preadolescenti e adolescenti oggi rappresentano un insieme generazionale che per la prima volta vive temi e questioni delicate e complesse che i genitori stessi affrontano per la prima volta, ritrovandosi anche piuttosto impreparati. Anche io sono mamma di due bambine che hanno la stessa età dei miei alunni e da genitore mi rendo conto di quali cambiamenti epocali stiamo vivendo nel rapporto genitore-figlio e nel mestiere del genitore a causa delle caratteristiche sociali e culturali della nostra società attuale. Per quanto riguarda le famiglie alle spalle dei bambini che arrivano nelle nostre scuole, gli educatori concordano nel rilevare le medesime carenze educative e i punti cardinali di un problema genitoriale di fondo. Per molti genitori l’amore passa dall’iperprotezione, da un lato, e dalle aspettative ultracompetitive e di perfezione, dall’altro. La scuola è diventata, dunque, l’organo deputato a farsi carico da solo delle emergenze sociali di oggi.

Quali sono, invece, i passi in avanti fatti, secondo la tua esperienza, e quali le aspettative future?

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Giovanni: La materia che io ho insegnato è stata l’Educazione Artistica. Inizialmente si trattava di una materia esclusivamente pratica, considerata la Cenerentola dell’orario scolastico degli studenti, perché considerata erroneamente poco impegnativa. Tuttavia ricordo con piacere quando, negli anni Settanta o giù di lì, venne introdotto anche lo studio della Storia dell’Arte, fondamentale in un Paese ricco di monumenti e opere d’arte come il nostro. Credo che questo sia stato uno dei principali cambiamenti in meglio ai quali ho assistito nella mia carriera dal punto di vista didattico, anche perché permetteva a noi insegnanti di portare i ragazzi fuori dalle aule e di far visitare loro mostre e siti archeologici, mettendoci in discussione in prima persona e permettendoci di conoscere meglio l’indole dei nostri allievi.
Oggi che non ho più esperienza diretta conosco la scuola attraverso i commenti di chi la vive ogni giorno, a prescindere da quale lato della cattedra si trovi, e devo ammettere che io mi troverei a disagio. Nessuno più ti domanda: “Cosa hai insegnato? Cosa hai trasmesso oggi ai tuoi ragazzi?”. Conta solo che tutto sia registrato, compilato, trasmesso per lo più utilizzando il computer. Ai miei tempi avevamo un registraccio di carta che serviva a malapena per fare l’appello, le cose importanti le tenevamo a mente!
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Emma: Il corpo docenti che conosco e di cui ho esperienza è caratterizzato da versatilità, motivazione, tenacia e dalla capacità di rigenerarsi continuamente. La scuola è Ricerca e Azione, cioè Ricerc-azione! Questa è una parola inventata forse, ma anche una prospettiva augurabile.
Da qualche anno l’insegnante motivato e attento è circondato e raggiunto da nuovi stimoli e da svariate proposte di formazione atte a superare le difficoltà concrete e ideologiche e a dotare i docenti di nuovi strumenti, di nuovi linguaggi, adatti ai cambiamenti e al passo coi tempi.
Io per esempio da qualche anno apprezzo l’uso della LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) e dei contenuti multimediali correlati per la strutturazione di lezioni dinamiche e accattivanti. La LIM è, a mio avviso, uno strumento dalle innumerevoli potenzialità, capace di aiutare a costruire ambienti di apprendimento stimolanti ed inclusivi. Rispecchia e si avvicina molto al linguaggio “per immagini” e al contatto diretto e immediato con i contenuti che caratterizza le generazioni attuali di studenti, anche i più piccoli.
Sono poi entrata a far parte del Team digitale del mio istituto e sto seguendo i corsi per la formazione previsti nel Programma Operativo Nazionale (PON) del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, intitolato “Per la Scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento”, finanziato dai Fondi Strutturali Europei che contiene le priorità strategiche del settore istruzione e ha una durata settennale, dal 2014 al 2020.
Sono inoltre molto incline ad una scuola fatta di attività esperienziali e scoperte sul territorio e nella natura, in grado di stabilire un positivo e coerente contatto tra i ragazzi e la realtà in modo semplice ed efficace che vengono promosse e sostenute ogni volta che si può.
Queste sono le carte che la scuola che conosco si sta giocando. E spero che il movimento di scambio e di apertura continui, pur senza stravolgere e scardinare in negativo quelle che sono le basi fondamentali e costituenti di un sistema scolastico pubblico, efficiente, riconosciuto e garantito.
La forza della scuola primaria è la cultura della condivisione, dello scambio, della cooperazione, all’insegna dell’innovazione tecnologica, dell’inclusività e dell’esperienza.

Raccontaci un aneddoto che è rimasto particolarmente impresso nel tuo cuore di uomo/donna e insegnante e perché.

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Giovanni: Un aneddoto che ricordo con forte emozione riguarda una sessione di esami di Licenza. Non avevamo un laboratorio attrezzato per determinati progetti pratici, ma questo non ha fermato i ragazzi che, presi dall’entusiasmo, si sono industriati e sono riusciti a creare perfino delle sculture in gesso, meravigliando l’intera commissione per la spontaneità e l’intraprendenza dimostrata.
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Emma: Talvolta mi capita di incrociare dei signori con barba e prole al seguito che con vociona di uomo mi dicono: “Ciao, maestra!” e i loro occhi si illuminano in un sorriso che torna fanciullo e spensierato, pieni di affetto e gratitudine. In quel momento volo indietro nel tempo a ritrovar quello sguardo e in un batter di ciglio eccolo là: nome e cognome, classe, anno e la sua personalità riaffiorano come non fosse mai trascorso del tempo.

Dai un suggerimento agli insegnanti che, oggi e domani, si apprestano a entrare nel mondo della scuola.

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Giovanni: Quando, ormai anni fa, ho saputo che mia figlia Emma avrebbe, in un certo senso, seguito le mie orme e si sarebbe cimentata in questo mestiere ho pensato che, nonostante le piccole o grandi difficoltà quotidiane, quello dell’insegnante resta sempre il lavoro più creativo che ci sia. È una professione che ti aiuta a dare un’occhiata al futuro ancor prima che si realizzi, attraverso gli occhi delle nuove leve. Quel che conta è, innanzitutto, aiutare i ragazzi a diventare cittadini consapevoli.
Ciò che vorrei consigliare agli insegnanti di oggi è, quindi, dare più importanza alla didattica e meno alla burocrazia. È dalla didattica che nasce l’essere umano e non dalla burocrazia del Ministero. Ho nostalgia della scuola, perché era un ambiente vivo dove non ho mai pensato di confrontarmi con dei bambini, ma con i cittadini di domani. E molti oggi hanno i capelli bianchi come me.
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Emma: Le esperienze d’osservazione reciproca tra insegnanti sono state utilizzate con grandi guadagni in molte scuole. Queste sarebbero da estendere e sostenere, ma le scelte politiche e le condizioni organizzative attuali stanno cancellando la possibilità di queste fertili occasioni di riflessione e apprendimento dall’esperienza.
Il neo immesso in servizio porta con sé sicuramente un grande bagaglio di conoscenze teoriche e nozioni. Forse, a mio avviso, ciò che può delinearsi come un gap ancora troppo netto è la linea che separa sapere da saper fare. E anche quella buona dose di problem solving che si apprende con l’esperienza e con l’esempio pratico delle colleghe più esperte. Insomma, come in tutte le situazioni un conto è la teoria, altro conto è la pratica. A volte ho visto approdare alla mia non facile realtà scolastica giovani supplenti indottrinati e carichi di entusiasmo giovanile. E mentre io li vivevo come nuova fonte di vitalità e di cambiamento, pozzi a cui attingere, loro non avevano la medesima umiltà di comprendere che osservare il veterano in trasferta poteva essere una chance. Spesso chi è in servizio da anni compie una sorta di vera e propria scuola di scuola. Che non è solo un gioco di parole. Ad ogni modo invito i docenti tutti, nuovi e veterani, a porsi sempre e costantemente delle domande e soprattutto a porre quelle giuste.

Alessandra Rinaldi

Sistema Scuola: cosa ne pensano gli studenti


Con questo primo articolo inauguriamo il percorso legato al Sistema Scuola, un filone per fornire una nuova panoramica su un argomento che, generalmente, si dà per scontato.

Ognuno di noi ha dovuto frequentare almeno la scuola dell’obbligo e i più fortunati, ammettiamolo, hanno anche potuto proseguire gli studi nei livelli di istruzione superiori e universitari, riuscendo così a percorrere le strade che più gli si addicevano.

Il “Sistema Scuola” è fatto di tanti e diversi elementi, istituzionali e umani. A partire dagli allievi, fino ai livelli amministrativi, il nostro intento è quello di dare voce a ognuno di loro, creando un quadro che rappresenti tutti i pezzi di questo fantastico mosaico per dimostrare che, solo se tutte le tessere sono in armonia tra loro, la scuola potrà essere, oggi come in futuro, un vero e proprio sistema aperto alle contaminazioni e al cambiamento.

Cosa diamo per scontato?

Il termine scuola deriva dal latino schola che, a sua volta, deriva dal greco scholè. Questa parola identificava il tempo concesso allo studio, al ragionamento e agli insegnamenti che venivano impartiti nelle ore in cui era permesso riposare dalle quotidiane attività lavorative.

Con il passare del tempo, l’evoluzione della Storia ha permesso di identificare con i medesimi termini i luoghi fisici in cui i docenti e gli allievi si incontrano e dove gli uni insegnano agli altri quanto di conosciuto e ritenuto necessario in base ai diversi periodi storici.

L’accezione moderna di scuola è riconducibile all’opera di Carlo Magno il quale, con la Schola Palatina di Aquisgrana, delineò un primo nucleo di scuola pubblica, immaginando nell’educazione intellettuale, morale e religiosa dei popoli barbari che componevano il suo regno un elemento di unità.

A dirla tutta, però, nelle fonti storiche sono riportate esperienze scolastiche già dai tempi degli egizi e successivamente in tutte le società organizzate.

Ovviamente non bisogna pensare al “sistema scolastico” di allora e che ha attraversato la storia con la mente di oggi, come bisogna considerare che nei tempi passati gli “alunni” erano solo i destinati a posizioni amministrative o di governo.

Perciò, con l’evolversi del tempo e lo sviluppo delle varie civiltà che si sono susseguite nel tempo, è stata costruita l’idea di scuola che andava da sistemi di istruzione per le elité, molto basici e tecnici, alle organizzazioni articolate e organizzate dei giorni nostri, aperte a tutti.

Insomma, il sistema scuola è giustamente mutato nella storia e, ringraziando il caso o chi per esso, se siamo nati in questi due ultimi secoli e nella parte fortunata del mondo, abbiamo potuto studiare, migliorare noi stessi e diventare quel che siamo.

I giovani e la scuola di oggi 

Siamo nel 2017 e, nessuno lo può mettere in dubbio, oggi la scuola è cambiata.

Pubblica, paritaria o privata, ciò che conta è la possibilità che viene data ai nostri figli di frequentare ambienti fatti di professionisti in grado di insegnare loro quello che è successo nel tempo, le basi della nostra cultura moderna, fino ai calcoli matematici più impensabili. I veri protagonisti del mondo della scuola sono prima di tutto loro, i ragazzi che dai sei anni, mese in più mese in meno, entrano in questo mondo per vivere un periodo di crescita e sviluppo che li porta alla terza media e all’esame di maturità. I più volenterosi e fortunati, proseguono gli studi e frequentano con successo le università, riuscendo in molti casi ad eccellere anche nel futuro mondo professionale.

Ma i bambini e i ragazzi come vivono e come vedono la scuola?

Parafrasando la regola delle 5 W del giornalismo, abbiamo fatto una indagine molto semplice e intervistato cinque di loro per sapere cosa ne pensano.

I cinque intervistati, che rimarranno anonimi per ragioni di riservatezza, rappresentano uno spaccato equilibrato per quanto riguarda la provenienza, l’età e il sesso, iscritti regolarmente dalla scuola  elementare all’università.

Le domande sono state molto semplici e dirette:

1. Cosa significa per te la scuola?

2. Cosa cambieresti e perché?

3. Come vivi la scuola?

4. Cosa ti ha insegnato?

5. Cosa ti piace della scuola?

Le risposte sono riportate in base all’ordine scolastico ed è indicata genericamente la scuola frequentata e un nome di fantasia.

Adele frequenta la scuola elementare.

Crede che la scuola sia un luogo per in contrarsi e per imparare, anche se ha già capito che è proprio in quell’ambiente che si iniziano ad avere i primi scontri con la realtà. Le piace fare i compiti ma preferirebbe svolgerli a scuola il pomeriggio con i compagni e le insegnanti, piuttosto che a casa, dovendo rinunciare ad altre attività pomeridiane. Il suo ambiente scolastico è variegato e lo vive in serenità, riuscendo ad intrattenere rapporti ed amicizie praticamente con tutti. Proprio tra i banchi  di scuola ha imparato a gestire i rapporti con gli altri, oltre che ad apprendere ogni giorno molte delle cose che oggi sa di sapere, dall’educazione alle materie.

Bruno frequenta la scuola media.

Ritiene la scuola un luogo dove si va per imparare prima di tutto ma anche dove fare nuove amicizie e divertirsi con gli amici. Se potesse cambierebbe il rapporto tra gli insegnanti e gli alunni, credendo che la troppa formalità limiti la voglia di ascoltare. Vive la scuola in maniera seria, fa i compiti, segue le lezioni con interesse, ma come può preferisce decisamente interagire con gli altri compagni e divertirsi con gli amici ai quali è molto legato. Grazie alla scuola ha imparato a relazionarsi con gli altri e sono stati proprio gli altri a fargli tornare la voglia di andare a scuola quando qualcosa non andava.

Caterina frequenta il bienno della scuola superiore.

Per lei la scuola è una fonte di istruzione, un luogo dove si impara a studiare, si apprendono argomenti, ma soprattutto è un luogo dove ci si confronta con gli altri. È un posto che forma culturalmente e moralmente. Preferirebbe intensificare le attività pratiche, dato che rispetto ad altre scuole nel mondo siamo molto legati alla teoria più che alla pratica, vorrebbe fare più ore di laboratorio e dare più spazio alla storia dell’arte che ritiene importante per il nostro paese. Le farebbe piacere che la scuola valorizzasse maggiormente ciò che le sta attorno. I ragazzi dovrebbero essere maggiormente considerati dalle “autorità” come il dirigente scolastico e dagli insegnanti perchè le cose vadano meglio. Vive la scuola con impegno ed è costante nel rendimento scolastico, mantenendo uno spirito adatto per imparare e per convivere con il gruppo classe e con i professori. Ha imparato molte cose e molte altre ne imparerà, perchè la scuola fornisce degli insegnamenti legati alla cultura ma anche alla  morale. Della scuola le piace la pluralità di indirizzi di studio adatti a tutti, lasciando così la libertà di essere ciò che si vuole diventare.

Daniele frequenta il trienno della scuola superiore.

La scuola per lui significa Istruzione. Dopo la famiglia pensa sia l’istituzione che dovrebbe guidare i giovani nelle proprie scelte di vita e del futuro. Vede la scuola come un luogo per ritrovare i compagni e condividere con loro opinioni diverse. Cambierebbe il modo di fare le lezioni, vorrebbe un mondo scolastico pronto a coinvolgere i ragazzi e non renderli semplici auditori. Riferisce che l’alternanza scuola-lavoro non è più lo specchio di ciò che si studia nelle ore scolastiche, restando quasi dei binari paralleli. Vive la scuola molto serenamente, la percepisce come un ambiente piacevole anche e soprattutto perchè ha potuto scegliere in libertà un indirizzo scolastico molto vicino alle sue passioni, nonostante senta avvicinarsi l’ansia per gli esami di maturità. E’ consapevole che dalla scuola ha imparato principalmente che le proprie idee, giuste o sbagliate che siano, vanno condivise e discusse insieme, apprezzando il duro impegno che viene svolto dai professori per indirizzare i giovani verso le loro scelte.

Elena frequenta l’università.

Prima di tutto si ritiene una persona fortunata perchè non tutti hanno la sua stessa possibilità di frequentare l’università, vista come una grande opportunità di crescita e formazione personale. Soffre il fatto che i professori incontrati nel suo percorso universitario, in alcuni casi, non abbiano dato lo stesso peso agli insegnamenti stessi e alle prove in itinere che sono programmate. Riconosce nell’università un percorso di studio sicuramente difficile che crea in lei l’ansia di fronteggiare le varie prove, laddove alcuni docenti non considerano gli sforzi degli studenti. Sicuramente per lei l’università è un luogo dove nulla è dovuto ed è consapevole che per raggiungere tutti i traguardi del percorso bisogna impegnarsi. Apprezza l’ambiente studentesco e il dialogo aperto con i professori, quando questi sono disposti a concederlo, senza nascondersi dietro troppi formalismi.

Adele, Bruno, Caterina, Daniele ed Elena esistono realmente, come realmente vivono il mondo scolastico, unendolo con le proprie esperienze di vita, le città in cui abitano, le passioni che gli attraversano le vene.

Sono ragazzi che hanno ben chiaro cosa significa la scuola e il viverla in tutti i suoi aspetti.

Sono ragazzi fortunati, liberi di poter pensare, di poter svolgere i loro compiti, certi che un giorno metteranno a frutto quanto imparato, cosa questa non scontata.

Ringraziamo questi ragazzi e le famiglie per averci concesso il privilegio di chiacchierare con loro e di averci mostrato un volto nuovo del Sistema Scuola. Il volto del futuro.

Francesca Tesoro