The Gifted: il talento è davvero un dono?

Mary (Mckenna Grace) ha un’intelligenza eccezionale ed è un talento prodigio della matematica che il piano di studi della scuola pubblica non ha la possibilità di esaltare – secondo la direttrice dell’istituto-, ma la promessa dello zio Frank (Chris Evans), fatta a Diane, madre della bambina, vale molto di più. La sua famiglia ha precedenti con scuole per bambini superdotati e Frank, tutore legale della piccola, crede che l’ultima cosa di cui possa aver bisogno la nipote è andare in una scuola che possa sottolineare la sua diversità, di cui lei è già consapevole nonostante la giovanissima età.
Frank vuole solo onorare la promessa fatta alla sorella e garantire, al meglio delle sue possibilità, che Mary possa vivere una vita normale come una qualsiasi bambina di sette anni.

La nonna materna Evelyn (Lindsay Duncan) però dopo anni di silenzio e disinteressamento torna e, scoperto l’immenso talento della nipote, inizia una battaglia legale affinchè possa averne la custodia al solo fine di poterle garantire, secondo lei, quell’istruzione che merita proprio per farla eccellere nel mondo accademico.

La famiglia di Mary, senza limiti di sangue o colore della pelle, composta dallo zio che se ne prende amorevolmente cura trattandola come una bambina normale, da Roberta (Octavia Spencer) la vicina di casa e figura materna e dalla maestra Stevenson (Jenny Slate) che allo stesso tempo, prima, crede di aver scoperto il talento della piccola e poi lo asseconda solo in modo positivo cercando di difenderlo dagli interessi degli adulti, per un attimo va in frantumi di fronte la volontà della nonna materna di accaparrarsi la bimba non tanto per un valore filiare e affettivo, ma piuttosto per soddisfare il proprio bisogno di vedere che il sangue del suo sangue abbia raggiunto quel traguardo ambito a cui non era (volutamente e a sua insaputa) arrivata la figlia Diane: risolvere e dimostrare uno dei sette problemi matematici del millennio, il Navier- Stokes, per vincere la medaglia Feels e il Nobel per la fisica, probabilmente.

Quanto i nostri talenti sono davvero un dono e non un intralcio?

Cosa significa avere un talento al limite del soprannaturale e imparare a gestirlo?

E quanto, di contro, i nostri talenti possono diventare terreno di scontro e ancor di più un qualcosa da sfruttare?

Ce lo siamo mai chiesti, veramente?

Queste sono le domande che ci sorgono spontanee vedendo questo film drammatico del 2017 figlio del regista Mark Webb. Ma, in realtà, la pellicola che vi presentiamo oggi vuole raccontare una storia familiare drammaticamente ed emotivamente profonda con un risvolto umano di altissimo livello. Frank ha sacrificato la propria vita per onorare la promessa fatta alla sorella prima che si togliesse la vita costipata e ingabbiata in un mondo in cui il suo talento era sfruttato per mero interesse. Ha fatto del suo meglio per crescere Mary come una bambina normale come voleva la madre e ha scelto di scendere a compromessi pur di preservare la propria adorata nipotina da un meccanismo perverso di sfruttamento delle capacità intellettive che aveva vissuto da bambino e che aveva già distrutto la vita di Diane. Evelyn, la nonna materna, invece rappresenta l’avidità del dover sfruttare ad ogni costo il talento altrui per soddisfare idee e pretese personali, perchè avere un nome su un millenium wall è molto più importante del potersi godere un normale rapporto nonna-nipote dopo aver perso il rapporto madre-figlia per lo stesso motivo, diventanto la rappresentazione della rivalsa personale sulla scelta della figlia di non voler risolvere volontariamente il “suo” problema.

Allora, l’interrogativo che vogliamo far sorgere dalla visione di questo film è: quanto il voler sfruttare il talento degli altri per il proprio tornaconto personale o professionale potrà realmente giovarci e farci percepire quell’agoniato senso di potere? Soprattutto, perchè?
Sareste voi disposti a passare sopra voi stessi e sopra la vita degli altri pur di raggiungere i vostri obiettivi sfruttando i talenti altrui?
Chiedetevelo e rifletteteci perchè se così fosse, non potreste mai essere persone integre e felici, correndo di contro il rischio di perdervi le cose più belle ed elementari della vita umana. Soprattutto, cosa da non dimenticare mai, i talenti sono veramente un dono e come tali non vanno sfruttati ma assecondati per il bene di tutti e nel rispetto di chi li ha dentro di sè.

Francesca Tesoro

Kung-Fu e l’arte di stare cami: i sette principi per l’autocontrollo di Bernhard Moestl

Bernhard Moestl lo abbiamo già conosciuto con la recensione di “Kung-Fu e l’arte di passare all’azione: supera le tue paure, agisci come uno shaolin” che è stata anche recentemente tradotta per Sistema Internazionale per via del grande interesse che ha generato in noi.

Del resto, sapete bene che le scelte che facciamo hanno sempre uno scopo definito e determinato che vogliono intensificare il nostro approccio sistemico alle cose.

 Ebbene, con oggi vi presentiamo un altro libro di Moestl che si intitola “Kung-Fu e l’arte di stare calmi. I 7 principi  Shaolin per l’autocontrollo”, sempre edito dalla Feltrinelli Editore.

Il nostro obiettivo non è certo trasformarci tutti in equivalenti occidentali dei monaci Shaolin, generalmente conosciuti come monaci buddisti cinesi dal grande temperamento fisico, psicologico e filosofico, dalla possente capacità e forza di sacrificio per i loro estenuanti allenamenti che li rendono i sapienti detentori dell’arte del Kung-Fu.

Piuttosto, ci siamo resi conto di quanto Bernhard Moestl, specializzato in consapevolezza e leadership, diventato famoso per le sue conferenze e seminari internazionali e per il suo essere un esperto business coach, in realtà riesca a rendere applicabili i principi appresi in vent’anni di vita vissuta in Asia e a stretto contatto con i monaci Shaolin alla nostra vita di tutti i giorni, rendendoli assolutamente validi sia per la nostra vita strettamente personale che per quella professionale.

Se riflettete, infatti, vi renderete conto di quanto ciò che facciamo sia maggiormente specchio delle aspettative altrui sul nostro conto e, di come, tanto il nostro personale che la nostra vita professionale e lavorativa, sia intrisa della necessità di raggiungere più obiettivi concreti validi per gli altri che per noi. In una situazione del genere, dove siamo letteralmente compressi per il bisogno spasmodico di piacere agli altri,  instauriamo un meccanismo che ci porta a dimenticarci di noi, delle nostre aspettative, dei nostri bisogni e delle nostre emozioni.

Ecco, la valenza di questo libro che oltre ad illustrarci strategie vincenti per far riemergere il nostro reale valore e volere – attenzione, non è solo un gioco di parole -, è quello di farci aprire gli occhi dando il giusto peso a ciò che facciamo e al modo in cui lo facciamo.

Nella vita frenetica che ci ritroviamo a vivere incondizionatamente, anche quando invece avvertiamo la necessità di più tranquillità nel fare ciò che facciamo e non solo per pigrizia, ma proprio per un bisogno intimo e personale, non ci rendiamo conto di quanto tutto possa diventare un nostro nemico: il tempo perchè sfuggente e mai abbastanza, il nostro capo che vuole sempre qualcosa in più rispetto a quello che abbiamo fatto, il collega che siede affianco a noi in ufficio e ci sembra non faccia abbastanza, i nostri hobbies quando vorremmo praticarli ma non riusciamo per colpa di altri, gli amici e i familiari perchè non gli diamo sufficienti attenzioni, e così via….

Fondamentalmente noi non siamo (più) in grado di renderci conto che “se odiamo i nostri nemici concediamo loro un grosso potere sulla nostra vita” di conseguenza, finiamo molto spesso per essere ingurgitati in meccanismi che ci stancano, ci spompano, ci devastano, ci fanno perdere di vista i nostri (veri) obiettivi ma, soprattutto, ci rendono vulnerabili a tutte le emozioni che proviamo.

Se le cose non ci soddisfano, saremo nella migliore delle ipotesi tristi e demotivati e in grado solo di provare emozioni tendenti al negativo, perciò il “fatto che le emozioni rafforzino dentro di noi, senza che noi possiamo evitarlo, fa sì che gli attacchi che sfruttano le nostre emozioni siano particolarmente efficaci e pericolosi”. Di contro, essendo “ogni reazione emotiva spia di una forma di sbilanciamento interiore” già presente in noi, significa che solo vagliando attentamente quello che ci sta intorno e  riequilibrando il nostro modo di essere, di sentire e sentirci, potremmo davvero riuscire ad uscire dal circolo vorticoso che gli altri ci disegnano addosso, perchè “uno dei maggiori pericoli dello squilibrio emotivo è che un’ emozione, quando agisce in modo costante, cambia la persona senza che lei se ne renda conto”.

Dunque, leggere questo libro – con accanto un quaderno e una penna sulla quale appuntare tutti i suggerimenti e le analisi che in cui ci guida l’autore – significherà percorrere quella via che Bernhard Moestl ci mostra e condensa nei sette principi Shaolin per l’autocontrollo, una via da seguire per chi vorrebbe iniziare ad avere il controllo della propria vita, non correndo più il rischio di essere manipolati o dominati dalla quotidianità e dalle emozioni che proviamo per riuscire a raggiungere i nostri obiettivi in modo equilibrato e attraverso un modo di pensare chiaro.

Francesca Tesoro

The Blind Side: dalla strada al successo grazie all’amore di una Donna

Memphis, primi anni duemila. Michael Oher, soprannominato e conosciuto come Big Mike per la sua imponente stazza, è un diciassettenne di colore, figlio della parte più povera e malfamata della città, di un padre sconosciuto e di una madre dedita al crack che, a pochi anni di vita, è stato strappato dalla sua famiglia, vivendo il valzer degli affidamenti ad altre famiglie, dalle quali scappava sempre.
Quando il padre del suo amico, si rende conto delle sue enormi capacità sportive, fa di tutto per farlo ammettere alla Wingate Christian School – dove fa le pulizie – con la complicità del coach Cotton che sposerà la battaglia fino in fondo per farlo ammettere, nonostante il team di insegnanti che decide sulle iscrizioni, non sia favorevole dati i bassi rendimenti scolastici del giovane, la propensione allo studio e il quoziente intellettivo ritenuti troppo bassi rispetto gli standard della scuola.
Mike comincia così a vivere in un ambiente completamente lontano da lui, nel quale fatica ad integrarsi, vuoi per il suo carattere estremamente introverso, vuoi per la situazione che vive, non avendo neanche un posto in cui stare, passando le notti tra la palestra della scuola e una lavanderia a gettoni, con indosso sempre i soliti abiti non avendone altri.
Finchè non comincia a fare amicizia con il piccolo S.J. e, alla vigilia del ringraziamento, viene notato dalla signora Leigh Anne Tuohy, madre di S.J., che decide di portarlo a casa con sé ed ospitarlo.
Da quel momento, Mike ricomincerà a vivere grazie alla famiglia Tuohy che non solo gli darà un tetto sotto il quale dormire, ma diventerà la sua famiglia a tutti gli effetti guidandolo dalla strada al successo, permettendogli di diventare un giocatore di football della NFL.

“The Blind Side” è un film del 2009 di John Lee Hancock, che ha scelto per i ruoli principali Sandra Bullock, Tim McGraw e lo sconosciuto ma mastodontico Quinton Aaron, ed è ispirato alla storia vera del giocatore di football americano Michael Oher. Trasposizione cinematografica del libro “The Blind Side: Evolution of a game” scritto da Michael Lewis appena tre anni prima, è una classica pellicola del filone american-dream. Per la sua storia prettamente statunitense, inizialmente non venne lanciato nel mercato europeo ma solo nei circuiti home video al punto tale che non esistono trailer doppiati ma solo sottotitolati. Nonostante l’errata previsione che non avrebbe avuto successo al di fuori dell’America, in realtà ha sbancato nelle vendite ed ha ottenuto numerose candidature e svariati premi cinematografici e della critica, facendo vincere proprio alla Bullock sia l’Oscar come Migliore attrice protagonista, che il Golden Globe, il Broadcast Film Critics Association Award e lo Screen Actors Guild Award.

Divenuto uno dei più famosi film e più belli di sempre con al centro il mondo dello sport americano, che per molti diventa la via di uscita dall’emarginazione, è una storia intrisa dei valori universali della famiglia e della solidarietà.
In questo film tutto diventa metafora, dai singoli personaggi all’intera storia, dimostrando come proprio la storia in sé non è per niente scontata e retorica, basti vedere anche solo una volta la scena al ristorante in cui Leigh Anne, a pranzo con le sue amiche ricche, fuga ogni dubbio sulla sua scelta di accogliere un “grande e grosso ragazzo nero sconosciuto in casa sua”. Senza dimenticare le altre figure che ruotano intorno a Mike: S.J. che prima ancora di finire la scuola elementare ne diventa allenatore e manager, la sorella Collins che abbatte qualsiasi distanza sociale nell’interagire con lui, il padre adottivo Sean che si fa mentore non solo con lui ma anche con gli altri figli sul senso di come fare le cose e la magistrale Kathy Bates che interpreta la Signorina Sue che, diventata la sua personal teacher, lo guiderà fino alla fine dell’anno permettendogli di sbancare la soglia per accedere alle selezioni del college.


Leigh Anne non è semplicemente una donna bianca e ricca tutta di un pezzo che vuole dare un senso alla propria vita o essere invadente con il suo modo di fare, ma è una donna tutta di un pezzo che sa come valorizzare al meglio la vita di Mike e le sue straordinarie capacità, come dimostra questo spezzone di una manciata di minuti che vi consiglio di vedere fino in fondo.

Meraviglioso film, commovente fino al midollo, che però nella sua struttura intrisa di amore per il prossimo e, soprattutto, per quel figlio arrivato per caso, diventa un esempio per tutti.
Un esempio di come sarebbe bello se tutti noi nel nostro piccolo riuscissimo a fare del bene agli altri, ognuno nei margini delle proprie possibilità, senza per forza scadere nei soliti retaggi che solo chi è ricco può far del bene agli altri, credendo invece ciecamente in ciò che ci ritroviamo tra le mani per caso o per fortuna.
E ancora una volta, una pellicola cinematografica, ci può far riflettere e ritrovare il giusto greep per quello che ognuno di noi dovrebbe avere: il coraggio di non fermarsi alle apparenze e riuscire ad andare avanti, con testardagine e dedizione, come esempio e come compagno di viaggio che, ovunque arrivi, sarà bellissimo.
Se Mike è passato dalla strada ai campi di football divenendo un atleta di successo non è solo grazie a Leigh Anne e al suo modo caparbio di essere Madre e Donna, ma è anche dovuto alla sua capacità di resistere e di impegnarsi ogni giorno un po’ di più, che ha compreso come “qualunque stupido può avere coraggio ma è l’onore che ti spinge a fare o non fare qualcosa, dipende da chi sei tu e forse da chi hai deciso di essere”, illuminato dall’amore di una famiglia che non aveva mai avuto prima, con l’umiltà e gli occhi di un bambino non più sperduto.

I veri protagonisti della storia

Francesca Tesoro

“El trabajo tiene futuro. O más bien tres ” por Mario Mantovani. Los nuevos horizontes de la economía.

El trabajo y los terremotos como fuentes de transformación irreversible de la sociedad por un lado, del medio ambiente, por el otro. Es a partir de esta valiente pero adecuada comparación que la investigación sobre el futuro del trabajo en nuestro país, pero también en nuestro mundo, esbozada por Mario Mantovani en su ensayo “El trabajo tiene futuro. O más bien tres “, GueriniNext.

El autor, vicepresidente de Manageritalia, guía al lector a través de un razonamiento complejo, pero también accesible para los no profesionales, proponiendo tres posibles escenarios para el mundo del trabajo. Pero procedamos en orden.

No es posible predecir el día, la hora y el epicentro de un terremoto. Los italianos lo sabemos bien, habitantes de un área altamente sísmica e históricamente a menudo sin preparación para enfrentar las numerosas reconstrucciones obligatorias de un paisaje natural y antrópico comprometido irreversiblemente. Sin embargo, como explica Mario Mantovani, al trabajar en equipo es posible obtener muchos datos útiles sobre terremotos, identificar las áreas más sujetas a riesgos e intentar evitar los efectos catastróficos del terremoto, para mejorar solo los agentes de cambio. Como, por ejemplo, la investigación de expertos en áreas de riesgo, o el desarrollo de nuevas tecnologías destinadas a reducir el daño a las cosas y a las personas, además de la “cultura” del cambio por parte de la población, que podría ser “educada” para tratar estos eventos de la mejor manera.

Todas estas dinámicas que giran en torno al terremoto podrían repetirse y reconstruirse en el mundo del trabajo, como el epicentro de los cambios para la sociedad, a veces catastróficos e impredecibles, pero que siempre se pueden abordar de manera constructiva.

¿Cómo cambiará el mercado laboral? ¿Cuánto tiempo se pueden hacer pronósticos razonables? ¿Y cómo pueden abordarse juntos estos cambios de época, empresas y trabajadores? Es a partir de estas preguntas que Mario Mantovani propone tres escenarios posibles para el mundo del trabajo y, por lo tanto, de la economía. El primer escenario evolutivo es el del futuro inmediato, dentro de los próximos cinco años. El segundo es el dirigido a los contemporáneos, dentro de los próximos cincuenta años. El tercero, el más valiente y visionario, es el que supera los cincuenta años y nos coloca hacia panoramas y pronósticos más atrevidos, pero no imposibles.

En el primer escenario evolutivo del mundo del trabajo, en los próximos cinco años, Mario Mantovani traza el camino de una transformación organizacional y, en consecuencia, regulatoria, capaz de superar la distinción entre trabajo independiente y dependiente. Esta distinción histórica, no solo en nuestro país, combinada con la existente entre el sector público y el privado, a menudo ha llevado a la sensación de disparidad en nuestro sistema económico y productivo. Mario Mantovani tiene como objetivo eliminar estos límites, reales o aparentes, superando todos los obstáculos que han implicado hasta ahora, especialmente a nivel organizacional.

En el segundo escenario evolutivo, dentro de los próximos cincuenta años, Mario Mantovani prevé el nacimiento de la era de la robótica y analiza los efectos secundarios que esta revolución tecnológica tendrá en el mundo del trabajo y la sociedad.

La entrada en el tercer escenario evolutivo, el de un futuro más allá de los próximos cincuenta años, depende de la capacidad de mantener el equilibrio en el segundo escenario previsto. Las habilidades organizativas deben haber sido refinadas hasta tal punto en un período tan corto, que la era marcada por el control de las Inteligencias Artificiales se hizo lo más traumática posible, de modo que los modelos económicos que surgirán después de mediados de este siglo estén formados por las necesidades de hombre y no máquinas.

El análisis de Mario Mantovani es amplio, pero también lúcido y convincente. El autor parte de los conceptos básicos de nuestros eventos actuales, pero no teme lanzarse a futuras hipótesis distantes en el tiempo, capaces de soñar y planificar una mejora.

Lo más llamativo es el valor dado al trabajo en equipo completo en cada época pensada e imaginada. Solo trabajando juntos, de hecho, cada cambio será absorbido y hecho suyo, no sufrido y sufrido.

Recensione di Alessandra Rinaldi

Traduzione di Sara Trincali

Wonder: il delicato e incisivo coraggio di un Bambino

Augustus “Auggie” Pullman è un bambino di dieci anni che non è mai andato a scuola, istruito e protetto amorevolmente dalla sua famiglia. Ma all’alba della prima media lo aspetta una scelta ardita spinto dall’infinito coraggio dei genitori: andare in una scuola vera, con bambini reali, come un bambino normale.
Auggie è un bambino senazionale, che adora Halloween e sogna di fare l’astronauta, innamorato della scienza, sempre in compagnia del proprio casco da astronauta che lo protegge dal mondo reale e nasconde agli occhi del mondo la sua Sindrome di Treacher Collins. Supportato dalla famiglia prima e, man mano, dai suoi coetanei che si dimostreranno amici veri o ostacoli crudeli, vivrà l’anno più bello della sua vita (e anche di chi gli sta accanto), facendo del proprio meglio per dimostrare l’autentica grandezza del suo essere un bambino come tutti con un immenso carisma e una profonda forza interiore che gli permetteranno di superare ogni ostacolo.

Wonder, film del 2017 con la regia di Stephen Chbosky e con un cast di tutto rispetto che vede tra i protagonisti Owen Wilson e Julia Roberts, tratto da un romanzo di R.B. Palacio, ha ottenuto una candidatura agli Oscar e una ai BAFTA, nonché tre candidature ai Critics Choice Award.

Pellicola a metà tra il drammatico e il family-film, è un delicatissimo ed emozionante feel-good movie sulla tolleranza e sull’umanità, che ci ricorda di praticare la gentilezza ed accogliere le difficoltà di chi ci sta intorno e di noi stessi, in primis. Con toni gentili, scene sempre lineari e mai – soprattutto – propriamente drammatiche ma riconducibili alla vita di tutti noi, Wonder è la storia corale di tanti piccoli eroi.

Un bambino che desidera solo essere considerato un ragazzino di dieci anni come gli altri, ma con la (diversa) capacità di interrogarsi e interrogarci sul valore che diamo alle relazioni e sul nostro modo di guardare gli altri, in grado di affrontare l’ostinato bullismo scolastico che lo fa sentire e lo considera un diverso, l’intreccio delle prime vere amicizie e lo scontro con i primi nemici, mai veramente tali, che si incrontrano nella vita.

Una madre che, prima, mette in stand-by sé stessa per proteggere ed educare suo figlio, per non farlo mai sentire non all’altezza del mondo e nel mondo che lo aspetta oltre la porta, primo ed unico soggetto di tutte le sue illustrazioni e che, poi, di riflesso al coraggio di Auggie, torna a prendere in mano la propria vita terminando il suo – secondo – più grande progetto della vita.

Un padre perdutamente innamorato di suo figlio che con la sua ironia, riesce sempre a mostrare il lato positivo, ad essere il punto di riferimento di tutta la famiglia e il trampolino di lancio della moglie, di Auggie e sua sorella.

Olivia, prima figlia della coppia e sorella paziente, capace di essere sempre spalla e mai peso, costante raffigurazione di esempio e un manipolo di ragazzini, ognuno con le proprie caratteristiche, che mettono in scena la bellezza e la crudeltà del mondo reale e nel quale viviamo, la capacità di comprendere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato ma, allo stesso tempo, in grado di rappresentare la capacità di fare delle scelte.

E per quanto Auggie sia solo un bambino, interpretato dall’irriconoscibile Jacob Tremblay, racchiude in sé la rappresentazione di tutti i sentimenti che normalmente ci attraversano ogni qual volta ci troviamo di fronte a qualcosa di nuovo o, più comunemente, di fronte ad una difficoltà.

Il terrore di iniziare, il coraggio di lasciare e di lasciarsi andare, il bisogno ancestrale di sentirsi protetti, la capacità di adattarsi e di resistere, la volontà e il desiderio di essere sé stessi senza mai confondersi tra gli altri, la tenacia e la resilienza di andare avanti nonostante tutto, il sacrificio per arrivare alla conquista dei nostri obiettivi, la bellezza di assaporare il successo, nostro e di chi ci sta accanto, in ogni situazione e ad ogni costo.

Auggie è senza dubbio un guerriero che ci insegna come la più grande opera di bene che si può fare, è nel giusto uso della forza e che se non ci piace quello che vediamo, dobbiamo solo cambiare il modo di osservare.

Senza dubbio un film da vedere, insieme, in famiglia, istruttivo, emozionante. Delicatamente incisivo per renderci migliori.

Francesca Tesoro

“Messaggio per un’aquila che si crede un pollo” di Anthony De Mello

Anthony De Mello, indiano di nascita, ha girato il mondo unendosi alla congregazione dei Gesuiti a neanche sedici anni, insegnando e studiando in diversi paesi, riuscendo così a coniugare ed allargare smisuratamente i propri orizzonti. Diventato successivamente psicoterapeuta negli Stati Uniti, ha dedicato la sua vita ad aiutare gli altri nel ritrovare energia nel quotidiano, ottimismo per il futuro, coraggio e conferendo un giusto valore alle difficoltà quotidiane. Integrando la sua formazione profondamente cristiana con le discipline orientali e gli studi psicologici, è diventato un maestro del pensiero positivo, considerato e seguito anche a molti anni dalla sua scomparsa, grazie alle innumerevoli pubblicazioni divenute, in brevissimo tempo, best sellers.

Messaggio per un’aquila che si crede un pollo, edito dalla Pickwick, è uno dei suoi libri più famosi, scritto in modo immediato ed umoristico, scorrevole ma mai banale, alterna a contenuti intrisi di grandi valori, storielle rappresentative della realtà e di come reagiamo ad essa, pillole di fiducia e di saggezza per migliorare sé stessi, aforismi di illuminanti per dimostrarci che il cambiamento è davvero possibile.

Probabilmente la forma delle sue opere è il fattore vincente, avendo (quasi) sempre la forma di brevi storie che contengono elementi profondamente validi ed integrati con la sapienza orientale e che possono aiutare il lettore a raggiungere il dominio di sé, rompendo i legami che ci impediscono di essere (veramente) liberi, insegnadoci in un certo qual senso ad affrontare serenamente i diversi eventi favorevoli e, ancor più, quelli avversi della vita.

Strutturato in una sequela di brevi capitoli con la forma di racconti ognuno dei quali incentrato su una determinata riflessione, l’intero libro conduce chi legge in un percorso di consapevolezza, mirando alla comprensione di sé e di quello che ci circonda, senza avere mai la pretesa di dare per assoluto ciò che, giustamente, può essere corretto per alcuni e non per altri.


Se nelle prime pagine potrebbe succedere di non capire realmente a cosa Anthony De Mello si riferisca quando parla del fatto che la maggiorparte delle persone è come intrappolata in un sonno perenne che non permette di comprendere la bellezza e lo splendore dell’esistenza umana, lasciandosi trasportare dalla lettura nei meandri di questo “percorso” si arriva ad assaporare quel messaggio di consapevolezza professato dall’autore.

Ognuno di noi ha in sé una luce che ci rende migliori di quanto pensiamo e viviamo quotidianamente, una luce che va trovata in certi casi o (ri)scoperta in altri ma che, in entrambe le situazioni, va tenuta accesa e messa a frutto, perchè “Non siete voi a cambiarvi: non è il me che cambia il me. Il cambiamento avviene attraverso di voi, in voi. Penso che sia il modo più adeguato di esprimere quest’idea. Voi vedete il cambiamento avvenire dentro di voi, attraverso di voi: nella vostra consapevolezza, esso si verifica. Non siete voi a farlo. Se siete voi a cambiare, è un cattivo segno: non durerà”. […] Assaggiare e sentire la verità, non conoscerla, ma assaggiarla e sentirla, percepirla. Quando la si percepisce, si cambia. Quando la si conosce solo nella propria testa, non si cambia”.


Questo libro, del resto, non va considerato come un oracolo nel quale trovare tutte le soluzioni possibili ed immaginabili per la nostra vita ma, piuttosto, va interpretato come uno strumento di consapevolezza per sé stessi al solo fine di comprendere in maniera non definitiva ma, sicuramente, migliore il modo in cui pensiamo ed agiamo troppo spesso influenzati dal bisogno di vincere che ci toglie la nostra abilità, esattamente come l’arciere di cui parla De Mello.

Conoscete la storia dell’arciere? “Quando l’arciere tira senza ambire a un premio particolare, ha tutte le sue capacità; quando tira per vincere una fibbia d’ottone, è già nervoso; quando tira per un trofeo dorato, diventa cieco, vede due bersagli, e perde la testa. Le sue capacità non sono andate perdute, ma il premio lo turba. Per lui è importante! Pensa più a vincere che a tirare, e il bisogno di vincere gli toglie la sua abilità”.

E non sorprendetevi, ma se ci riflettete, è esattamente così.

Francesca Tesoro

“Il lavoro ha un futuro. Anzi tre” di Mario Mantovani. I nuovi orizzonti dell’economia

Lavoro e terremoto come fonti di trasformazione irreversibile della società da un lato, dell’ambiente dall’altro. È da questo paragone coraggioso, ma calzante che inizia l’indagine sul futuro del lavoro nel nostro Paese, ma anche nel nostro Mondo, delineata da Mario Mantovani nel suo saggio “Il lavoro ha un futuro. Anzi tre”, GueriniNext.

L’autore, vicepresidente di Manageritalia, guida il lettore attraverso un ragionamento complesso, ma accessibile anche ai non addetti ai lavori, prospettando tre scenari possibili per il mondo del lavoro. Ma procediamo con ordine.

Non è possibile prevedere giorno, ora e epicentro di un terremoto. Lo sappiamo bene noi Italiani, abitanti di una zona altamente sismica e storicamente troppo spesso impreparati a far fronte alle numerose ricostruzioni obbligate di un paesaggio naturale e antropico compromesso in modo irreversibile. Tuttavia, come spiega Mario Mantovani, lavorando in squadra è possibile ricavare molti dati utili sui terremoti, individuando le aree maggiormente soggette a rischio e cercando di prevenire gli effetti catastrofici dell’evento terremoto, per esaltarne solo gli agenti di cambiamento. Come, ad esempio, la ricerca degli esperti sulle aree a rischio, o lo svilupparsi di nuove tecnologie atte a ridurre i danni a cose e persone, oltre alla “cultura” del cambiamento da parte della popolazione, che potrebbe essere “educata” ad affrontare questi eventi nel modo migliore.

Tutte queste dinamiche che ruotano attorno al terremoto, potrebbero ripetersi e ricostruirsi nel mondo del lavoro, come epicentro di cambiamenti per la società, talvolta catastrofici e imprevedibili, ma che si possono affrontare sempre in modo costruttivo.

Come cambierà il mercato del lavoro? Entro quanto tempo è possibile fare previsioni sensate? E come si può affrontare insieme, aziende e lavoratori, questi cambiamenti epocali? È da questi interrogativi che Mario Mantovani prospetta tre scenari possibili per il mondo del lavoro e quindi dell’economia. Il primo scenario evolutivo è quello dell’immediato futuro, entro i prossimi cinque anni. Il secondo è quello rivolto ai contemporanei, entro i prossimi cinquant’anni. Il terzo, il più coraggioso e visionario, è quello che supera il cinquantennio e ci pone verso panoramiche e previsioni più ardite, ma non impossibili.

Nel primo scenario evolutivo del mondo del lavoro, entro i prossimi cinque anni, Mario Mantovani traccia il percorso di una trasformazione organizzativa e, di conseguenza, normativa, atta a superare la distinzione tra lavoro autonomo e lavoro dipendente. Questa distinzione storica, non solo nel nostro Paese, unita a quella tra settore pubblico e privato, ha spesso determinato la sensazione della disparità nel nostro sistema economico e produttivo. Mario Mantovani mira a eliminare questi limiti, reali o apparenti, superandone tutti gli ostacoli che hanno comportato fino a oggi, soprattutto a livello organizzativo.

Nel secondo scenario evolutivo, entro i prossimi cinquant’anni, Mario Mantovani prospetta la nascita dell’Era Robotica e analizza gli effetti collaterali che questa rivoluzione tecnologica avrà sul mondo del lavoro e sulla società.

L’ingresso nel terzo scenario evolutivo, quello di un futuro oltre i prossimi cinquant’anni, dipende dalla capacità di mantenere gli equilibri nel secondo scenario prospettato. Le capacità organizzative dovranno essere state affinate a tal punto nel brevissimo periodo, da rendere il meno traumatica possibile l’era segnata dal controllo delle Intelligenze Artificiali, in modo che i modelli economici che nasceranno dopo la metà di questo secolo siano plasmati sulle esigenze dell’uomo e non delle macchine.

L’analisi di Mario Mantovani è di ampio respiro, ma anche lucida e stringente. L’autore parte dalle basi della nostra attualità, ma non teme di lanciarsi in ipotesi future lontane nel tempo, in grado di sognare oltre che di progettare un miglioramento.

Ciò che colpisce più di tutto è il valore dato al lavoro di squadra a tutto tondo in ogni epoca pensata e immaginata. Solo lavorando insieme, infatti, ogni cambiamento sarà assorbito e fatto proprio, non subito e sofferto.

 

Alessandra Rinaldi

Kung-Ku e l’arte di passare all’azione: supera le tue paure, agisci come uno shaolin di Bernhard Moestl

In un periodo come questo che tutti stiamo vivendo, ognuno con le proprie difficoltà, le proprie paure e la sensazione che i propri limiti stiano per prendere il sopravvento facendoci perdere la lucidità e la nostra normale routine, abbiamo scelto di presentarvi il libro di Bernhard Moestl, “Kung-Ku e l’arte di passare all’azione: supera le tue paure, agisci come uno shaolin” edito dalla Feltrinelli.

Per quanto possa sembrarvi un controsenso o qualcosa di estremamente lontano da noi, vi posso assicurare che questo libro può diventare una buona àncora di sopravvivenza ma soprattutto un ottimo strumento per riuscire ad attuare in noi un cambiamento che potrebbe accompagnarci per il resto della nostra vita e, ovviamente, aiutarci a superare con serenità questo momento.

Bernhard Moestl, specializzato in consapevolezza e leadership, è diventato famoso per le sue conferenze e seminari internazionali, seguitissimi, e per il suo essere un esperto business coach.
Dopo aver vissuto per molti anni in Asia convivendo con i monaci Shaolin, ha fatto del loro stile di vita quotidiano e del loro modo di pensare una chiave applicabile alla vita di tutti i giorni.
Questo suo bagaglio di conoscenza è stato da lui stesso riportato in diversi libri, ognuno dei quali si concentra su un argomento specifico, diventando così uno strumento di piena attuazione per chi, per caso o volontariamente, si è ritrovato a leggere i suoi scritti.

“Kung-Ku e l’arte di passare all’azione: supera le tue paure, agisci come uno shaolin” è il libro che parla e ci indica la via del cambiamento, che oggi appare attuale come non mai.
Generalemnte, siamo incastrati nella sensazione di vivere in un mondo eccessivamente accelerato dove il cambiamento ci spaventa e ci fa convivere con la paura di non riuscire a stare al (suo) passo. In questo momento, probabilmente, sentiamo la stessa paura dovuta invece alla necessità di vivere ritmi estremamenti lenti e decisamente fuori dalla nostra ordinaria vita (almeno per la maggiorparte di noi).
Allora questo è il momento giusto in cui avere questo libro tra le mani, leggerlo, praticarlo – come suggerisce Bernhard Moestl- attraverso un quaderno e una penna che vi accompagnino durante questo processo di cambiamento. Effettivamente, una volta terminato il libro, scorrendo le pagine del quaderno che avrete scelto come compagno di viaggio, vi renderete conto di quale percorso sarete riusciti a mettere in piedi rispondendo alle domande che lo stesso autore vi proporrà durante la lettura.

Il libro del resto non è un “semplice libro come tutti gli gli altri” ma è uno strumento che vi permetterà di acquisire consapevolezza del modo di pensare e che, normalmente, vi trattiene dal cambiare, mostrandovi come affrontare (ogni) cambiamento che vi potrebbe spaventare.
In fondo, anche se non ne siamo profondamente consapevoli “o subiamo o siamo gli artefici del cambiamento” e chi sceglierà la seconda possibilità non avrà di certo a disposizione tutta l’eternità per mettere in pratica il cambiamento che si realizza solo se siamo consapevoli che tutto parte dal momento presente. Questo perchè il cambiamento dura esattamente l’istante esatto in cui decidertete di cambiare il modo di fare qualcosa e non è sufficiente da solo a determinare il reale cambiamento nel nostro modo di essere o comportarci con noi stessi e con gli altri.

Se deciderete di affrontare questo viaggio accompagnati dal libro di Bernhard Moestl e da un quaderno ed una penna, ovviamente, riuscirete ad attraversare e praticare gli otto passi e gli altrettanti capitoli che parlano del cambiamento e vi insegneranno a metterlo in pratica, rendendovi conto di quanto il tempo dedicato a voi stessi attraverso il libro, vi abbia portato su una nuova strada.
Saranno l’ignoto e la conoscenza di sé, l’autostima e l’individuazione dell’obiettivo, l’identificazione della strada e il pieno potere, l’attuazione e il passo verso la durata, ad accompagnarvi in un cammino verso un cambiamento duraturo.


Insomma, “parlare non cuoce il riso” ed è “meglio inciampare un po’ lungo una via nuova che restare fermi su vecchi sentieri”, quindi, scegliete la vostra penna preferita e il vostro quaderno migliore. È ora di partire!!

Francesca Tesoro

“12 pasos para conseguir lo que quieres” de Umberto Santucci.

El poeta griego Costantino Kavafis también lo dijo por vía oral desde su Ulises: en un viaje, físico o metafórico, lo que realmente importa, además del objetivo a alcanzar, es el camino tomado para llegar allí y el cambio que lo ha desencadenado en su interior de nosotros.

Esta verdad, solo intuida por los poetas, ahora se demuestra por la investigación también en el campo profesional. Está comprobado, de hecho, que doce semanas son suficientes para metabolizar con éxito un cambio de hábitos, en cualquier sector, considerado un período de tiempo ideal para adquirir nuevas habilidades y alcanzar los objetivos establecidos. Basado en esta teoría, nació la serie fundada en el método de los 12 pasos, publicada por Franco Angeli: una serie de volúmenes específicos, cada uno de los cuales consiste en doce capítulos que se leen uno por semana para lograr un cambio significativo durante tres meses.

 El eslogan es realmente lectura lenta, aprendizaje rápido porque, si tres meses pueden parecer un período largo, para algunos, dedicar al estudio de un texto, siguiendo la disciplina de simplemente leer un capítulo por semana, los resultados que se pueden lograr, en cambio, desde el punto de vista de las habilidades adquiridas, en tan pocas semanas son, en realidad, estables y duraderas.

El volumen en el que nos enfocamos es “12 pasos para obtener lo que desea” de Umberto Santucci, experto en capacitación y autoformación, tanto en el aula como a distancia, que utiliza los contenidos y métodos desarrollados por la capacitación de Amicucci: Skilla, promotora de este innovador collar.

Lo primero que nos llamó la atención sobre este texto es cómo el título de cada uno de los doce capítulos constituye una exhortación y un consejo para el lector, tanto que los títulos mismos, colocados uno al lado del otro, constituyen un manual muy útil para mantener siempre en mente, especialmente al abordar nuevos proyectos empresariales en un contexto empresarial:Toma la vida proactivamente
Abordar problemas con una visión sistémica
Alcanza tus objetivos con pensamiento estratégico
Ir más allá con un pensamiento productivo para generar nuevo conocimiento.
Simplifica y resuelve las analogías
Multiplicamos las inteligencias en la red
Aprende a entrenar tu pensamiento
Siempre apunte al resultado
Sé flexible y mantén tu mente elástica
Siempre se optimista
Pensar creativamente
Aprende a gestionar el cambio.
Cada uno de los pasos hacia la mejora de nuestra inteligencia en la ronda se acompaña de gráficos, diagramas, tablas y el estudio de ejemplos y casos prácticos que colocan el poder del pensamiento como un motor insustituible de nuestra vida en el centro del camino para lograr nuestros objetivos.

Dado nuestro interés en el enfoque sistémico del cambio en las empresas, el capítulo que más despertó nuestra participación es el segundo, dedicado a resolver problemas a través de una visión sistémica. El análisis de este enfoque comienza con la comparación entre el pensamiento analítico derivado de Aristóteles, basado en la lógica lineal de causa-efecto, y el pensamiento sistémico, según el cual esta lógica lineal se vuelve circular cuando el efecto afecta la causa y, por lo tanto, es necesario ampliar el nuestro horizonte para estudiar todo el contexto empresarial y el futuro, si desea aspirar a lograr cambios estables y duraderos, resolviendo los problemas críticos de la manera más definitiva posible.

Como nos ilustra Umberto Santucci:

“El sistema de la empresa es una estructura compleja que interactúa con los elementos que lo componen, a su vez estructurados como subsistemas internos y externos de la empresa. La visión sistémica es la capacidad de percibir su oficina como un elemento del subsistema al que pertenece, que a su vez está estructurada por la empresa, también estructurada por el distrito de producción, etc. Es como un pájaro capaz de bajar para atrapar una brizna de hierba y levantarse para ver todo el campo, el río, las colinas”.

Por lo tanto, esta visión sistémica es necesaria para enfrentar problemas más complejos y variados de manera más efectiva, colocándolos en una red más amplia, permitiendo a todos los miembros de un grupo darse cuenta de lo que implica su contribución a la realización de un objetivo, a favor de compartir e interdisciplinariedad, sin quitar la vista de la armonía del clima global entre un proceso y otro.

Articolo di AlessandraRinaldi

Traduzione di Sara Trincali

E poi c’è Katherine: perchè non è mai tardi per cambiare

Nel 1991 è diventata la prima conduttrice donna di un talk show serale sulla rete nazionale, ha condotto più di seimila episodi vincendo 43 Emmy Awards per la prima serata, dimostrando di essere il punto di riferimento televisivo in quanto eccellenza senza compromessi. Questa è Katherine Newbury, la leggenda della televisione americana.

Ma cosa si nasconde dietro la leggenda?
Una donna estremamente sicura di sé, che dispoticamente dirige il suo staff composto di soli uomini, senza neanche ricordarne i nomi e che, fondamentalmente, non si preoccupa neanche di incontrarli o di farli accedere allo stage durante le riprese.
Ma Katherine, che è stata una delle rare eccezioni di donne che sono riuscite a fare carriera nel mondo prettamente maschile dei late talk show, per via della sua inflessibilità, della sua durezza e del suo non mettersi in discussione, viene tacciata di misogenia e si scontra, dopo trent’anni di successo, con la minaccia di essere cacciata dal suo stesso show per via degli ascolti in drastico calo.
Così, per far resuscitare gli ascolti bassi da troppo tempo ma soprattutto per non perdere il suo show, decide di tornare a lottare per non essere sostituita.

Chiede al suo assistente di ricercare un nuovo autore da assumere, necessariamente donna, e nella drammatica frenesia del momento lascia che il suo storico braccio destro, scelga tra i tanti e tutti ugualmente poco papabili al ruolo Molly Patel, una ragazza di origini indiane che da sempre ha sognato di lavorare al Tonight with Katherine Newbury e di fare la giornalista ma nel mentre proviene da un impianto chimico, arrivata fin lì per aver vinto un concorso letterario che metteva in palio l’incontro con un dirigente d’azienda a scelta.

Sarà proprio la giovane Molly con il suo esempio di perseveranza e positiva testardaggine ad aiutare la ostica ed irremovibile Katherine e ad attuare tutti i cambiamenti necessari, per farla tornare sulla cresta dell’onda e del successo.

Katherine Newbury, interpretata dalla magnifica Emma Thompson, e Molly Patel, che ha il volto della giovane attrice Mindy Kaling conosciuta dal mondo per la serie The Mindy Project, rappresentano pienamente uno spaccato reale tutto al femminile.
Contrapposte simpaticamente, Katherine è un volto storico della televisione che non si è mai smossa dal suo modo di essere e di comportarsi, sicura di sé e delle proprie capacità, che si è trasformata in qualcuno di intellettualmente superiore e un po’ snob, certa che nessuno possa indicarle un’altra via solo per via del suo essere Unica Donna in un mondo di maschi.
Molly è una grande sognatrice che fa di tutto per seguire i suoi sogni, che viene dal basso e lascia andare il suo lavoro certo per seguire la propria passione e che, soprattutto, ha avuto il coraggio di osare creandosi una progettazione mentale che è riuscita a mettere in pratica.

La passione per ciò che si fa, alla base di tuta la storia, è ciò che accomuna le due donne così diverse per età, cultura ed esperienza, etnia ed estrazione sociale, decisamente così distanti per il proprio modo di essere, di vedere e di vivere il mondo.

Film molto bello lanciato dalla Adler Entertaiment, scritto e diretto dalla regista di origini indiane Nisha Ganatra, con la componente femminile molto copiosa anche nel dietro le quinte, rappresenta l’impegno e la perseveranza di chi ci ha veremente creduto e crede talmente tanto in sé stessi e in quello che si vuole fare e diventare da essere disposta a cambiare, anche a costo di modificare profondamente il proprio modo di essere, pur di non perdere tutto ciò che si è duramente conquistato con il tempo e la fatica.
Con una grande dose di comicità, a tratti elegante, molte volte di gusto, in altri frangenti delicatamente amara, questa pellicola affronta temi davvero profondi legati al sessimo e a tutte le forme di discriminazione che si possono incontrare nel mondo del lavoro e nella vita comune. Con la straordinaria interpretazione di tutti gli attori, ma soprattutto del duetto Thompson-Kaling, si riesce ad assaporare e comprendere con gusto la bellezza dello scambio reciproco delle competenze tra generazioni, l’abbattimento delle barriere nell’ambito lavorativo ed anche il farsi travolgere dalla positività, riuscendo a puntare sul coraggio, l’onestà e il cuore di chi ci sta affianco.
Perchè in fondo, non è mai troppo tardi per cambiare!

Francesca Tesoro